Una nuova “normalità”: reazioni psicologiche al terremoto

 La casa, le mura, il tetto, sono per antonomasia gli emblemi della protezione e della sicurezza. Quando questi si sbriciolano sotto gli occhi, anche l’apparato dell’architettura psichica precipita e l’Io ne esce altrettanto squarciato quanto le rovine del terremoto.
L’esperienza estrema di vivere una catastrofe naturale sfugge alle nostre possibilità di controllo e ci pone davanti alla nostra vulnerabilità: le macerie, le case polverizzate o le crepe sugli edifici hanno moltissime similitudini con le distruzioni e le crepe che si creano all’interno di chi subisce i danni di un evento catastrofico. I terremoti, a un livello profondo, producono qualcosa di destabilizzante, legato all’identità delle persone, alle certezze di una vita e alla quotidianità che di colpo viene interrotta, frantumata, distrutta. Il trauma che si sviluppa in chi viene colpito direttamente è collegato quindi alle perdite affettive e materiali ma anche allo sgretolamento della sicurezza e del proprio futuro.
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Una simile sollecitazione emotiva innesca spesso a livello fisiologico, una serie di effetti tipicamente legati all’esposizione cronica di stress, quali modificazioni dei livelli ormonali (cortisolo e catecolamine, nelle donne anche gli estrogeni), alterazioni del sonno e, nel lungo termine, variazioni cardiovascolari associate a un maggior rischio di sviluppare ipertensione, tachicardia e talvolta infarto del miocardio.
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Se è possibile quantificare i danni materiali della catastrofe, non è possibile invece misurarne le sue conseguenze psicologiche: l’elaborazione di un trauma di tale violenza è un processo di complessità differente a seconda della persona colpita e della perdita che ha subito. Di certo l’esposizione ad un episodio violento, catastrofico e traumatico nel quale hanno perso la vita centinaia di persone tra cui i propri familiari, compromette le fondamenta dell’equilibrio psicologico e può determinare crolli emotivi intensi o disturbi che si verificano anche molto tempo dopo il verificarsi dell’evento.
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In Psichiatria, gli effetti psicologici del terremoto vengono raggruppati nella “sindrome post traumatica”, termine che compare all’epoca della Seconda Guerra Mondiale (Kardiner, 1941; Grinder e Spiegel, 1943). La sindrome viene inserita ufficialmente nel manuale diagnostico dell’American Psychiatric Association (DSM) nel 1980, ma già nella letteratura del Novecento è stata descritta con dizioni differenti (es., nevrosi da guerra, cuore del soldato, shock post-traumatico), per indicare una patologia che insorge acutamente in conseguenza dell’esposizione ad eventi stressanti di gravità estrema che mettono a repentaglio la propria o altrui incolumità.
Più nello specifico, appena l’evento è accaduto e le sensazioni di smarrimento, irrealtà, ottundimento, sono normali e fisiologiche si parla di Disturbo Acuto da Stress, caratterizzato da elementi specifici, elencati dal Dsm:
-sperimentare una paura molto intensa e persistente
– sentirsi continuamente inermi ed impotenti
-provare sentimenti di orroreNei bambini, tali reazioni si presentano sotto forma di comportamenti ansiosi e disorganizzati, a volte aggressivi.
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Questa primissima fase di sperimentazione di forte stress e paura, transitorIa e non patologica, serve ad elaborare quanto vissuto. Successivamente, di solito l’individuo inizia a compiere una serie di azioni volte a ristabilire la propria idea, di normalità. La ridefinizione stessa del concetto di normalità dopo un terremoto è un processo che richiede tempi diversi per ognuno. L’adattamento ad una nuova condizione è quindi un percorso e allo stesso tempo un obiettivo degli individui: talvolta è favorito da situazioni sorte spontaneamente, altre volte deve essere incoraggiato e supportato da professionisti.
Fondamentalmente, i rischi più consistenti per la sfera psicologica di chi subisce l’esperienza del terremoto, sono legati alla cronicizzazione della paura che si protrae nel tempo, anche molto dopo l’evento sismico, provocando l’insorgenza del Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS) cronico. Mediamente, la comparsa dei primi sintomi del disturbo cronico, si registra a partire dal secondo o terzo mese successivo al trauma. Nelle forme croniche, il disturbo rappresenta l’incapacità di integrare l’esperienza traumatica con la visione integrata di sé e del mondo. Le persone con diagnosi di DPTS rimangono incastrati nel ricordo terrifico, incapaci di concentrarsi sul presente. Il disturbo è caratterizzato inoltre dalla continua intrusione nella coscienza di ricordi dolorosi a cui segue una forte attivazione fisiologica con relativi tentativi di impedire il riaffiorare dei ricordi attraverso strategie di evitamento attivo e passivo. Nonostante la vasta gamma di risposte soggettive/individuali al terremoto, si può individuare e delineare una serie di sintomi principali:
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Riesperienza intrusiva. I ricordi dell’evento traumatico possono essere altamente intrusivi, ripetitivi, sempre uguali e possono esprimersi in forma di flashback, incubi, riattualizzazioni interpersonali, sensazioni somatiche, stati affettivi e/o temi di vita pervasivi (van der Kolk et al. , 2004), indipendentemente dalla volontà delle persone.
Iperreattività autonoma. Le persone sopravvissute ai terremoti attivano risposte fisiologiche condizionate a reagire agli stimoli evocatori del trauma con la reattività autonoma dell’ emergenza, mettendo in allerta l’organismo.
Ottundimento della sensibilità. I soggetti traumatizzati sembrano impiegare le loro energie per evitare le sensazioni interne che provocano stress, affrontando l’ambiente con ritiro ed ottundimento emotivo (in forma di depressione, anedonia, mancanza di motivazione, reazioni psicosomatiche, stati dissociativi).
Reazioni emotive intense. Le persone che hanno vissuto l’esperienza del sisma, perdono la capacità di regolare gli affetti e provano intense sensazioni di paura, ansia, rabbia e panico, anche di fronte a stimoli di lieve entità. Possono svilupparsi facilmente disturbi del sonno e/o difficoltà di concentrazione.
Difficoltà di apprendimento. In seguito alle difficoltà di concentrazione e all’iperreattività fisiologica, le persone frequentemente sviluppano la mancanza di capacità di apprendimento dall’ esperienza. Sono state osservate anche perdite di modalità di coping dello stress elaborate in precedenza e assunzioni di modalità di coping regredite.
Disturbi della memoria e dissociazione. Da una parte può presentarsi l’ipermnesia dell’evento traumatico che, come ricordo intrusivo si ripete nel tempo. Dall’altra parte possono comparire invece sindromi amnesiche relative all’ evento traumatico, parziali o complete. La dissociazione in questo caso è “capacità psicologica” (Reddeman, Dehner – Rau, 2006) usata per fronteggiare l’insopportabilità dell’ evento. Putman (1989) scrive che i bambini esposti a traumi gravi e/o prolungati possono organizzare interi tratti di personalità per far fronte alle esperienze traumatiche.
Reazioni psicosomatiche. Molte persone esperiscono lo stress causato dall’esposizione a catastrofi ed eventi traumatici (ansia, arousal elevato, rabbia) a livello fisico e non come stato psicologico (Saxe et al., 1994). Questa modalità di reazione prende il nome di alessitimia: l’ incapacità di identificare, articolare e tradurre le sensazioni somatiche in sentimenti elementari quali rabbia o paura. Secondo Krystal, (1978) e Pennebaker (1993) proprio l’ansia “cronica” e l’ottundimento emotivo possono ostacolare la capacità di riconoscere gli stati emotivi interni.Che cosa può permettere di reagire di fronte alle situazioni traumatiche, come quella vissuta a causa di una catastrofe naturale? Il termine di una situazione di emergenza, paradossalmente, non coincide con la fine delle sofferenze, ma, al contrario, sancisce il momento del loro inizio.
In questa prospettiva, il trauma rappresenta una sfida che mobilita le proprie risorse interne, oltre che quelle socioculturali dell’ambiente circostante: l’insieme di queste qualità emergenti è la resilienza. Il concetto di resilienza (resiliency) è nato e si è sviluppato negli Stati Uniti e racchiude le idee di elasticità, vitalità, energia e buon umore. Si tratta di un processo, un insieme di fenomeni armoniosi grazie ai quali la persona traumatizzata si introduce in un contesto, affettivo, sociale e culturale. La resilienza non è una peculiarità dell’individuo, ma un divenire, che inserisce lo sviluppo della persona in un contesto e imprime la sua storia in una cultura. Sono, dunque, l’evoluzione e la storicizzazione della persona ad essere resilienti, più che il soggetto in sé.
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Foto di supergiball Bansky| Flickr |CCLicense
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