Passare il tempo in “Fuorigioco”

Ottantasette minuti di film, trenta ore di girato, cinque settimane di registrazione sul set, quattro anni di lavoro totale. Questi sono i tempi di Fuorigioco, film di Carlo Benso, girato nel 2013 e presentato nel 2015, che racconta la crisi personale di un top manager aziendale che, alle soglie della pensione, viene licenziato e cade in depressione. Una depressione di cui possono soffrire tutti, oltre l’appartenenza a un determinato settore delle società odierne, e che può provocare profondi cambi nella personalità.  

Abbiamo incontrato al regista Carlo Benso per riflettere sull’aspetto socioeconomico della disoccupazione e pure dell’impiego del tempo libero forzato che i disoccupati hanno in abbondanza. 

Così spiega Benso la particolarità del conflitto centrale del suo lavoro cinematografico: “Il personaggio di Fuorigioco è un manager, parliamo  di una classe sociale agiata, che viene improvvisamente licenziato. Lui non ha problemi economici. È una persona che vive uno stato culturale abbastanza elevato. Ma il problema non è solo economico ma d’identità. Il film vuole raccontare la perdita d’identità, perché abbiamo basato totalmente la nostra storia esistenziale su quella cosa; la vita è più aperta, è molto di più”. 

Quella cosa di cui parla il regista è il lavoro, diventato un riferimento fondamentale nell’organizzazione della vitta di ogni singolo nella società occidentale. In conseguenza, la mancanza di lavoro può arrivare a cancellare il senso d’appartenenza nella comunità. “Il tema del film è la perdita del lavoro. Noi siamo una nazione, siamo in un contesto sociale occidentale, in cui il lavoro è la base di tutto: ti da la dignità, ti da la sopravivenza, ti da il modo, non solo di poter sopravvivere, ma di vivere. Tolto il lavoro, tutto crolla. Il problema è si una questione economica, ma non solo; è anche di persona. Io mi trovo a sopravvivere in una società senza un ruolo”, riflette Carlo Benso.  

Tornando all’argomento sul tempo, il regista ci racconta che quel aspetto è stato lavorato con molta cura e per un lungo periodo insieme al protagonista, Tony Garrani, sulla base di tre assi: il profilo psicologico del personaggio, fondato sulla sofferenza di trovarsi senza fare nulla in quel tempo libero forzato; l’interpretazione di Garrani, basata in pochi gesti e movimenti; e una regia fatta di poche inquadrature scelte accuratamente. Nonostante il lavoro insieme al protagonista, Benso distingue l’importanza del tempo secondo ognuno di loro: “Il tempo più importante per il personaggio è il passato, perché da lì arriva e da lì a questo stimolo potentissimo che lo spinge verso una visione fallimentare, perché a quel tempo aveva una gloria . Per quanto mi riguarda come autore, l’importante è il tempo presente. Perché è in questo presente che puoi fare uno scatto oppure morire”. 

Tutto questo porta il regista di Fuorigioco a tentare un’analisi generale e più profonda: “Il problema di fondo è che la crisi che si sta continuando a vivere adesso, con tutte le questioni relative, è lampante di quanto l’occidente ormai stia crollando”. Perciò, se si potrà ricostruire dalle rovine, per Carlo Benso, dipenderà dalla capacità di pensare oltre l’immediatezza dei problemi: “Se  noi, oltre alle conseguenze che la crisi porta, riuscissimo ad approfondire, ad andare al di là, a capire quello che realmente sta succedendo, magari qualcosa di nuovo nella nostra mente, può nascere, che sia un’idea o una visione, magari un mondo nuovo è possibile”.