I dati della Sanità: tra pubblico e privato

Una lettera di Mario Draghi (governatore della Banca Centrale Europea), indirizzata all’ex premier Mario Monti nel lontano 5 agosto del 2011, ha segnato un punto di svolta politico-economico, non da poco, in Italia. La lettera conteneva un concentrato di disposizioni economiche che il governo Monti avrebbe dovuto attuare per contrastare la discesa dei conti finanziari italiani che, come ricordano in tanti, rese di pubblico dominio termini come “spread”, “BTP” e “BUND”. Il governatore scriveva: “È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala”. 

 

Tra i servizi pubblici di larga scala, locali e professionali, non può non rientrarvi la Sanità pubblica, settore che, negli anni della crisi, viste anche le disposizioni europee, ha conosciuto una crescita delle privatizzazioni a scapito del funzionamento dei servizi in area pubblica. 

 

I progressivi tagli alla spesa pubblica hanno prodotto un aumento di quella privata: secondo i dati riportati dalla Corte dei Conti, il costo per i servizi sanitari e le spese per la salute sostenute dai cittadini nel 2015 hanno sfiorato i 35 miliardi di euro, crescendo di circa 10 miliardi dal 2005 al 2015. 

 

La ripartizione della spesa del servizio sanitario nazionale nel 2015 era composta per il 76% da un sostegno economico pubblico e per il restante 24% da fondi privati. La spesa privata è sostenuta da polizze assicurative e fondi sanitari integrativi. 

 

La legge di bilancio del 2017 ha stabilito il finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard consistente in 113 miliardi di euro per il 2017, 114 miliardi per il 2018 e 115 miliardi per il 2019. 

 

La salute dei cittadini non può essere considerata soltanto da un punto di vista economico, ma anche con uno sguardo politico, come scritto nel documento sullo stato di salute del SSN proposto dai senatori Nerina Dirindin e Luigi D’ambrosio Lettieri, iniziato nel 2013. Inoltre, Roy Romanow, politico canadese, esperto di salute pubblica, si è espresso in chiave di lettura politica della sanità: “Non vi è alcun standard su quanto un paese dovrebbe spendere per la salute. La scelta riflette la storia, i valori e le priorità di ciascuno”. 

 

La crescita del settore privato della sanità non ha dato lustro o quantomeno rilancio alla sanità pubblica, poiché per una minor richiesta del pubblico (e crescita del privato) si è deciso di indirizzare meno fondi alla sanità statale. 

 

Anche le differenze tra i paesi del G7 sono cresciute. Infatti, nel 2000 la Germania investiva 2.099 dollari contro i 1.467 dell’Italia (+30%); nel 2015 la differenza è 4.477 dollari contro 2.470 (+45%). 

 

La crescita del settore privato della sanità nazionale non ha rappresentato un tappo per le falle del servizio pubblico in termini di accesso alle cure da parte dei meno abbienti. Resta comunque un dato preoccupante pubblicato dall’Istat: cinque milioni di italiani nel 2014 hanno rinunciato a cure mediche specialistiche. Circa un italiano su dieci. 

 

Nel giugno 2016, inoltre, ebbe grande risonanza mediatica la notizia degli undici milioni di italiani che, secondo una ricerca del Censis, avrebbero rinunciato o rinviato cure mediche per mancanza di denaro. Anche in quel periodo si registrò un aumento della spesa sanitaria privata, favorito da malfunzionamenti e disagi d’attesa per le liste di prenotazione della sanità pubblica.