Dal “Laboratorio Roma” all’era Alemanno. A che punto è la Capitale?

C’era una volta il “Laboratorio Roma”. Un laboratorio che partiva da lontano, da quelle giunte di sinistra che hanno cambiato, nella seconda metà degli anni ’70, il volto sociale della Capitale. In quel laboratorio vi era uno specifico ambito di sperimentazione, nato e progettato nelle periferie, riferito al consumo di droga e alla tossicodipendenza (sino a pochi anni prima tossicomania) che investiva pesantemente i quartieri popolari di Roma. Erano quelli, infatti, gli anni in cui i morti per overdose da eroina in Italia si contavano a centinaia, le famiglie mettevano i lucchetti agli armadi per evitare il furto delle lenzuola e lo scippo rappresentava una delle vie privilegiate per procurarsi i soldi necessari per il buco.

In quel laboratorio muovevano i primi passi un’intera generazione di operatori pubblici (prima nei CMAS, poi nei SAT, nei Ser.T ed infine nei Ser.D) e di operatori di quelli che all’epoca venivano definiti Enti Ausiliari, ovvero cooperative e associazioni, sia di natura laica che di ispirazione religiosa, nate per fronteggiare un fenomeno di cui si aveva una percezione ancora molto approssimativa e rispetto al quale gli strumenti di intervento erano fortemente influenzati dall’ideologia e dall’approccio emergenziale. Da quel laboratorio uscirono strutture in grado di elaborare inedite strategie di intervento, tanto nella prevenzione quanto nella cura e reinserimento socio-lavorativo. Grazie a quelle strutture, diffuse in tutti i quadranti cittadini, si è potuto fare fronte alla diffusione, anche nella nostra città, del virus Hiv. Ed è proprio per rispondere all’AIDS che Roma si è dotata, tra le prime città italiane, di un “Programma Integrato di Riduzione del Danno nei tossicodipendenti a Roma” (PIRD), promosso dalla Regione Lazio su indicazione dell’Osservatorio Epidemiologico e approvato dal Consiglio Regionale il 29 settembre 1993.

Nel luglio ’98, Parsec scriveva su Fuoriluogo: “Il Fondo nazionale per la lotta alla droga finanzierà, in base ai progetti presentati dal Comune di Roma, 3 unità di strada per tossicodipendenti, 2 di prevenzione e una rivolta alla prostituzione; inoltre, 8 centri diurni a bassa soglia, una comunità residenziale a breve termine e 2 servizi di assistenza legale. Sempre con lo stesso Fondo ma su istanza degli enti ausiliari o della Provincia di Roma sono stati finanziate 2 unità di strada per tossicodipendenti, 2 centri notturni e 2 centri diurni a bassa soglia. Con la quota del Fondo gestita dalla Regione Lazio si attiveranno o rafforzeranno 7 unità di strada per tossicodipendenti, 2 unità mobili metadoniche, 1 unità mobile di pronto intervento, 10 centri a bassa soglia, 3 centri notturni e altre iniziative basate sul concetto di accoglienza senza barriere”. Altri tempi, in cui una seria e competente policy community è stata in grado di fronteggiare un fenomeno complesso (le dipendenze) e la diffusione di un virus letale. E oggi? Ecco quanto scrive il Social Pride il 29 giugno 2015: “Prima dell’era Alemanno-Canu, attraverso un sistema di accreditamento istituito dall’ACT, nel pieno rispetto della Legge 328/2000, erano attivi e finanziati nella città, circa 50 presidi, tra servizi e progetti che, in collaborazione con agli altri servizi del sistema sanitario, realizzavano azioni di prevenzione e rispondevano ai diversi bisogni di trattamento e reinserimento socio-lavorativo espressi dai cittadini con problemi di dipendenza. Oggi, dopo il magnifico lavoro del Direttore Canu, di quel prezioso patrimonio è rimasto un solo servizio.”

Roma ha subito un impoverimento drastico di quello che è stato il suo modello di intervento, in parte per motivi ideologici, in particolare durante la giunta Alemanno, in parte per motivi economici, di “razionalizzazione e risparmio”. Restano attivi servizi di riduzione del danno finanziati dalla Regione Lazio, e una serie di progetti, sempre regionali, che in questi anni hanno garantito l’innovazione e la sperimentazione in ambiti di frontiera. Ne cito tre, scelti per il l’alto livello di sperimentalità. Il progetto Nautilus, che da 10 anni raggiunge i luoghi del loisir notturno, tanto a carattere commerciale quanto eventi autorganizzati come teknival e rave, garantendo un serio intervento di informazione, limitazione dei rischi e riduzione del danno; il progetto Care, che garantisce la presa in carico dei consumatori di cocaina anche attraverso residenzialità brevi (weekend), nel rispetto dei tempi di vita e di lavoro delle persone; il progetto Macondo, che accoglie minori consumatori di sostanze in misura penale. Alla fine di marzo, secondo il calendario della Regione Lazio, tutti questi progetti dovranno accedere all’accreditamento, e successivamente, trovare una o più ASL che li “comprino”. Si tratta di un processo faticoso e dai grandi margini di incertezza, da cui dipenderà la continuità di attività che hanno garantito il diritto alla cura delle persone dipendenti, come anche la sopravvivenza delle organizzazioni e degli operatori che a tali diritti hanno dato un volto e una voce.

Claudio Cippitelli

Gianni Dominici | Flickr| CCLicense