Breve storia dei DCA

L’aspetto corporeo costituisce un sistema organico di notevole rilevanza psicologica, poiché si pone come il meccanismo di separazione tra l’ambiente organico interno relativamente stabile e l’ambiente esterno relativamente instabile ed è inoltre, l’unico sistema dell’organismo completamente accessibile all’osservazione esterna.

Indissolubilmente legato con l’aspetto fisico, il momento dell’alimentazione ha assunto per l’uomo significati che sono andati ben oltre la sola funzione nutritiva. Il rito del pasto nelle varie culture ha infatti assunto funzioni diverse, tra cui quella di socializzare, di rinforzare l’appartenenza ad un gruppo, di rispettare le gerarchie sociali.

Strumento di potere o semplice mezzo di sostentamento, arma di seduzione o unica possibilità di espressione creativa, il cibo gioca da sempre una parte principale anche nella differenziazione fra ruolo maschile e femminile: nel Medioevo, e fino agli albori dell’età moderna, la funzione sociale della donna all’interno delle mura domestiche era parificata a quella dell’uomo in ambito pubblico. Durante il Medioevo i tentativi di conquista di un ruolo sociale attivo e decisionale al di là delle mura domestiche, potevano condurre le donne ad adottare comportamenti patologici. Gli studi di Rudolph M. Bell ad esempio, hanno portato alla luce sorprendenti analogie tra esperienze di anoressia medioevali e problematiche alimentari a noi contemporanee (R. M. Bell, La santa anoressia. Digiuno e misticismo dal medioevo a oggi, 1998).

L’analisi delle vite di alcune sante vissute tra il 1300 e il 1500 ha rivelato l’incidenza di patologie alimentari che affondano le loro radici nell’esigenza di realizzazione personale e nell’aspirazione al libero arbitrio negati in una società rigidamente patriarcale. La scelta della vita religiosa, della verginità, insieme al rifiuto del cibo divenne per alcune mistiche una via per guadagnarsi uno spazio pubblico, per avere un ruolo attivo nel mondo esterno e divenire parte di quell’universo che era prerogativa maschile. Sante come Caterina da Siena o Veronica Giuliani si privarono del cibo fino a morirne, ravvisando nella loro capacità di sopravvivenza senza cibo un segno di grazia divina. Il rifiuto di alimentarsi, di sostenere la vita materiale va inoltre a sottolineare il ripudio della fisicità, di quel corpo con cui le donne venivano strettamente identificate in una cultura in cui erano valutate soprattutto per la loro capacità riproduttiva.

Anche se l’interesse per i disturbi dell’alimentazione come disturbo psicosomatico si è diffuso solo nella seconda metà del XX sec., sostituendo l’isteria dell’800 per proporzioni epidemiche ed interesse scientifico, le complicazioni legate all’atto nutritivo sono state menzionate nei trattati dei medici in epoche ben più remote ed erano riferibili anche al genere maschile. Senofonte, nel libro IV dell'”Anabasi”, riferisce di un fenomeno di fame irrefrenabile che colpiva i soldati nelle spedizioni di guerra che gli esperti chiamavano “Bulimia“. Per quanto riguarda il digiuno volontario, i romani parlavano di “inappetentia” (Ippocrate). In un commento al primo libro delle Epidemiche di Ippocrate, Galeno scrive: “Coloro che rifiutano il cibo e non assorbono nulla sono chiamati dai greci anòrektous (anòrektous) che significa coloro che non hanno appetito ed evitano il cibo.”

In epoche le cause iatrogene dei disturbi alimentari venivano trattate esclusivamente a livello organico con una scotomizzazione totale della psiche.
Per trovare una messa in gioco della psiche nei disturbi dell’alimentazione e un riferimento al disturbo maschile, bisogna arrivare al 1758, quando il medico francese Joseph Raulin nella sua monografia sull’isteria riconosce il contributo patogenico dei disturbi dello spirito e dei sentimenti e riconosce che anche i maschi sono soggetti alle “affections vaporeuses”.

Al 1689 invece è fatta risalire la prima descrizione clinica dell’anoressia:
il medico Morton parla della cosiddetta “consunzione nervosa” definendola “una consunzione del corpo senza febbre, né tosse, né dispnea, ma accompagnata da perdita dell’appetito e da cattiva digestione…”. Morton non tralascia possibili cause emotive, che descrive come “violente passioni della psiche”. La scoperta dell’anoressia nervosa nell’accezione diagnostico-clinica in cui oggi la si intende è invece attribuita a due psichiatri dell’epoca vittoriana: W. Gull e E. Lasègue, nel 1868.

È proprio nell’Ottocento che si inizia a parlare dei disturbi alimentari anche nell’arte e nella letteratura: fra le prime intellettuali ci fu Jane Austen che racconta la storia di Jane Fairfax in Emma (1815). Jane è colpita da una malattia senza nome che nessuno sa spiegare, un male che le toglie la gioia di vivere e l’appetito. La malattia di Jane, che si manifesta solo con il rifiuto di cibo, altro non è che la somatizzazione del dolore, del tormento interiore collegato alle sue difficoltà di inserirsi in un contesto che vive come opprimente. Il suo male diventa allora un atto d’accusa all’intera comunità sociale e la qualifica come una delle prime figure anoressiche della letteratura inglese.

Nonostante alcune caratteristiche dell’anoressia nervosa siano già state già descritte nel 1800, il terrore di ingrassare e il “vedersi grasse”, benché spesso sottopeso, sono stati definiti esplicitamente come anoressia nervosa soltanto a partire dal 1900, di pari passo al cambiamento dei ruoli sociali delle donne e dei modelli di bellezza femminile che esaltavano un corpo più magro rispetto al passato.

La bulimia nervosa invece è stata descritta per la prima volta soltanto nel 1979, da uno psichiatra di Londra, dopo un’inaspettata conferma dell’esistenza del problema attraverso le risposte inviategli da moltissime ragazze e donne ad un suo breve questionario sul tema, pubblicato sulla rivista femminile Vogue. Da questo momento, i disturbi del comportamento alimentare diventano caratteristici quasi del solo genere femminile e smettono di rappresentare una denuncia sociale o la spinta ad una maggiore emancipazione: insorgono soprattutto in età adolescenziale e le loro cause vanno ricercate nelle personali storie di vita e di sviluppo psicologico e relazionale.

In ogni periodo storico disturbi mentali di rilevanza epidemiologica o di particolare drammaticità sembrano far luce su un aspetto specifico della natura umana, mettendo in evidenza paure e conflitti di quel particolare periodo storico. L’esplosione esponenziale dei disturbi del comportamento alimentare si va dunque a collocare su uno sfondo socio-antropologico che diventa il catalizzatore della diffusione di sindromi “culture bound”, legate ovvero ad aspetti culturali caratteristici del proprio Paese rispetto ai quali il disagio psichico sembra adattarsi. La difficoltà a conoscere esattamente la diffusione dei disturbi del comportamento alimentare rispetto ad altre malattie, mentali e non, sembra essere nella tendenza delle persone ad occultare il proprio disturbo e disagio e ad evitare, almeno per un lungo periodo iniziale, l’aiuto di professionisti e la possibilità di un progetto di cura tempestivo.

In una review del 2003 molto accurata, seppur limitata alla popolazione dei Paesi Bassi, gli studiosi Hoek H.W. e Van Hoeken D. stimavano che solo un terzo delle pazienti affette da Anoressia Nervosa e il 6% delle persone bulimiche giungevano all’attenzione dei servizi di Salute Mentale. Gli studi condotti in Italia sono invece relativamente pochi e per la maggior parte limitati a realtà regionali. Uno studio di Favaro A. e coll. fornisce uno spaccato della diffusione dei disturbi alimentari nel Nord-Est Italiano con dati epidemiologici concordanti con la letteratura internazionale e probabilmente estendibili alla realtà della maggior parte del nostro Paese. Lo studio, condotto su un campione di 934 ragazze di età compresa tra i 18 e i 25 anni residenti in due aree contigue della provincia di Padova stimava per l’Anoressia Nervosa una prevalenza puntuale dello 0.3% ed una prevalenza nell’arco di vita del 2.0%. La prevalenza puntuale della Bulimia era dell’ 1.8% mentre quella nell’arco di vita del 4.6%. Le forme di Anoressia sottosoglia registravano una prevalenza puntuale dello 0.7% e una prevalenza life-time del 2.6% mentre le forme atipiche di Bulimia raggiungevano una prevalenza puntuale del 2.4% e una prevalenza nell’arco di vita del 3.1%. La prevalenza di tutti i disturbi del comportamento alimentare nel campione era infine pari al 5.3%.

Come cogliere i segnali di allarme?
Poiché gli interventi precoci sono più efficaci nel risolvere questi problemi, è molto importante da parte dei familiari, partners, amici, compagni, colleghi, insegnanti e medici, cogliere al più presto i segnali di allarme che possono indicare la presenza di un DCA.
Spesso di fronte ai sintomi le persone con DCA si rivolgono ad alcuni specialisti (ginecologo, endocrinologo, dietologo, dietiste, dentista, etc.) cercando risposte parziali al problema e riferendo quindi solo i sintomi secondari (le carie, la mancanza di ciclo mestruale, la pressione bassa) per imbarazzo o vergogna, difficoltà a chiedere aiuto, scarsa consapevolezza delle conseguenze della perdita di peso o delle condotte di eliminazione, paura di essere indotti a mangiare o a salire di peso. Questi disturbi sono un modo di affrontare un disagio profondo e radicato e spesso il desiderio di cura è ambivalente. Se da un lato chi ne soffre vorrebbe tornare a stare meglio, dall’altro non rinuncia al controllo assoluto sul corpo e sull’alimentazione. Nei DCA tuttavia, il mantenimento del controllo risulta instabile e precario, e prevale la paura di abbandonare i sintomi. Questi, per quanto dolorosi e problematici, sembrano essere le uniche risposte possibili.

Di seguito un breve elenco di sintomi, richieste o atteggiamenti che possono essere indicativi di un DCA:
• dieta troppo rigida o variazioni importanti dello stile alimentare
• eccessiva attenzione alle calorie e al tipo di cibi consumati, passaggio ad abitudini vegetariane, rifiuto di molti alimenti anche prima graditi, o di partecipare ai pasti comuni e ad altre riunioni conviviali
• richiesta insistente di mangiare in modo diverso dal resto della famiglia (tipo di cibi, orari o quantità)
• consumo di biscotti, merendine o altro cibo in eccesso, cibo che viene nascosto o che scompare
• attività fisica eccessiva
• lunghe permanenze in bagno
• dimagrimento rapido ed eccessivo
• rifiuto di rivelare il peso o di svelare il corpo svestito
• assenza di ciclo mestruale
• sviluppo carie dentarie, rigonfiamento delle ghiandole parotidi, stanchezza, “vedere buio”
• isolamento, abbandono di attività prima gradite
• irritabilità, depressione, ansia
• richieste di rassicurazioni rispetto al corpo o a quanto si è mangiato
• richiesta di rivolgersi a specialisti (dietologi, endocrinologi), anche in assenza di cause apparenti
• cucinare per gli altri e controllare quanto/cosa mangino.

Gli interventi per affrontare i problemi legati ai DCA sono descritti in numerose linee guida internazionali fondate sugli esiti delle cure e sull’esperienza di chi ha trattato a lungo questi disturbi. Trattandosi di problemi che riconoscono una molteplicità di cause, è raccomandabile un supporto multidisciplinare che permetta di affrontare i DCA nei loro vari aspetti: fisici, nutrizionali, psicologici e di mantenimento.