“Trattate peggio delle bestie”: donne e salute mentale in India

Un terzo del carico globale relativo ai disturbi psichici, neurologici e da uso di sostanze si concentra prevalentemente in India ed in Cina. Questi idati emersi su tre articoli, pubblicati in The Lancet e in The Lancet Psychiatry (2016), che presentano l’avvio della “China-India Mental Health Alliance”, un progetto a lungo termine che riunisce professionisti del settore, al fine di esaminare lo stato attuale della salute mentale e dei servizi medico-sanitari in entrambi i paesi. Le prime analisi condotte dagli esperti evidenziano come, in entrambi i Paesi, manchino figure professionali del settore, e ci sia scarsa possibilità di accesso ai servizi medico-sanitari dedicati alla salute mentale (particolarmente nelle zone rurali). Attualmente, meno dell’1% del bilancio nazionale di sanità in questi paesi è assegnato alla salute mentale.

Nonostante già nel 1980 il governo indiano abbia avviato un piano d’azione nel settore della sanità mentale all’interno del National Health Programme, il National Mental Health Programme (NMHP), attualmente, per una popolazione stimata di circa 1 miliardo ci sono:
– circa 4 milioni di persone con diagnosi di schizofrenia, con il relativo impatto su circa 25 milioni di famiglie;
meno di 40 ospedali psichiatrici, per un totale di 20.000 posti letto;
– approssimativamente 1 psichiatra ogni 1000 persone con diagnosi di schizofrenia

In India si contano tre posti letto per l’assistenza psichiatrica ogni 100.000 persone, per cui la maggioranza delle persone con disturbi psichici vive in famiglia, senza alcuna struttura sanitaria di tipo comunitario. In India infatti, non solo il numero dei professionisti è estremamente esiguo rispetto alla domanda ma anche le strutture di riabilitazione sia governative che private sono risultano essere inadeguate. Secondo il rapporto dell’Ong Human Rights Watch (2015), in India ci sarebbero più di settanta milioni di persone con disturbi psichichi e oltre un milione e mezzo con disabilità intellettuali. Isolati e abbandonati, vissuti come fardello dalle loro stesse famiglie, le persone con disturbi mentali non ricevono alcun aiuto dallo Stato: solo lo 0,6% del budget federale destinato alla sanità viene impiegato per aiutarli. La discriminazione nei confronti dei disabili si abbatte senza distinzioni su uomini e donne, ma quest’ultime subiscono un doppio stigma. Il loro destino è ben più fosco: secondo il rapporto “Violence against women with disabilities India” della rappresentante Onu Rashida Rao, non solo gli uomini sono favoriti nell’accesso alle cure, ma alle donne, soggette a sterilizzazioni e aborti forzati, è preclusa persino la possibilità di creare un nucleo familiare e addirittura di disporre del proprio corpo. In più, dice il report del HRW, le donne affette da qualche tipo di disabilità o disturbo vengono spesso ricoverate contro la loro volontà da familiari o tutori legali, nonostante l’ospedalizzazione forzata sia illegale. Il rapporto dell’HRW, pubblicato il 3 dicembre scorso dal titolo «Trattate peggio delle bestie: abusi contro le donne e le ragazze con disabilità psicosociali o intellettuali nelle istituzioni in India», descrive una situazione nella quale donne e ragazze con disabilità vengono rinchiuse negli ospedali e negli istituti psichiatrici, dove affrontano: condizioni antigieniche, il rischio di violenza fisica e sessuale, e il trattamento involontario, compreso l’elettroshock. La Commissione Nazionale per i Diritti Umani non monitora né gli istituti di salute mentale né gli ospedali pubblici e privati, come sarebbe tenuta a fare; di conseguenza la violenza sessuale sulle donne in questi luoghi è sempre più dilagante e incontrollata. La voce delle donne con disturbi mentali è spesso ignorata perché considerata poco credibile. Le sterilizzazioni forzate, l’isterectomia e l’aborto forzato di donne con disturbi mentali sono piuttosto diffuse e utilizzate ai fini di sfruttamento sessuale.

La ricerca dell’HRW è stata condotta dal dicembre 2012 al novembre 2014 in 24 strutture tra ospedali psichiatrici o ospedali generali, con posti letto psichiatrici, centri di riabilitazione e istituzioni di assistenza residenziale in sei diverse città indiane (Nuova Delhi, Calcutta, Mumbai, Pune, Bangalore e Mysore), e si basa su più di 200 interviste fatte a donne e ragazze con disabilità psicosociali o intellettuali, alle loro famiglie, ai professionisti della salute mentale, ai responsabili dei servizi sanitari, ai funzionari di governo, e alla polizia. Il rapporto si articola lungo 106 pagine che descrivono storie di orrore e violenza ed evidenzia come le donne ricoverate forzatamente nelle istituzioni governative e negli ospedali psichiatrici subiscano gravi abusi. In particolare, in molte strutture, i gabinetti erano «infestati e traboccanti di feci con un fetore nauseabondo che permeava i reparti adiacenti»: il Pune Mental Hospital su 100 bagni per 1850 pazienti, ne aveva 25 funzionanti: «una situazione che rende la defecazione all’aperto la norma», riferisce il dottor Vilas Bhailume. Le donne e le ragazze vengono internate dalle famiglie che lasciano recapiti e nomi sbagliati per non essere più rintracciabili, e possono essere rinchiuse per motivi che non hanno a che fare con un disturbo mentale, in quanto se un marito, un padre o un tutore dichiara che una donna è psicologicamente labile, quest’ultima perde la capacità giuridica dopo l’esame medico e su presentazione di due certificati. Referti su cui il magistrato può emettere un ordine per il trattamento in ospedale psichiatrico dopo il quale la donna o è ripresa dalla famiglia, o viene inviata ad un istituto: e questo malgrado nel 2007 l’India abbia ratificato la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. Secondo questa Convenzione, l’istituzionalizzazione forzata è vietata ed i governi devono rispettare e proteggere il diritto alla capacità giuridica delle persone con disabilità e il loro diritto a vivere in comunità in condizioni di parità, come gli altri. Tuttavia, le leggi dell’India consentono ai tribunali di nominare tutori che prendono le decisioni a nome delle persone con disagio mentale, senza il loro consenso libero e informato. Nel tentativo di portare la propria legislazione nazionale in linea con la CRPD, nel 2013, il Governo ha introdotto due disegni di legge in Parlamento, (La salute mentale e I diritti delle persone con disabilità) che però non garantiscono appieno alle donne e alle ragazze con disabilità mentali il diritto di capacità giuridica e il diritto alla vita indipendente, come richiesto dal trattato. Human Rights Watch chiede quindi al Governo centrale dell’India che si adottino misure tali da porre fine agli abusi e alle condizioni disumane vissute dalle donne negli ospedali psichiatrici e nelle istituzioni statali, e che si intraprenda senza indugio una riforma giuridico globale atta a riconoscere la capacità giuridica di tutte le persone con disabilità, e lo sviluppo di un piano globale per sviluppare strutture alternative di assistenza e sostegno a lungo termine.

Nei contesti urbani, a differenza delle zone rurali, c’è un numero elevatissimo di persone senzatetto. In India i senzatetto che vivono per strada rientrano nel Prevention of Beggary Act (Decreto per la prevenzione della mendicità) del 1975, secondo il quale i mendicanti sono arrestati e rinviati a detenzione provvisoria per un periodo fino a un anno. Amministratori e politici però non hanno preso in esame in modo approfondito le condizioni di vita che hanno ridotto alcune di quelle persone nella situazione in cui si trovano: non c’è infatti alcuna considerazione per le necessità dei senzatetto che soffrono di disturbi mentali.  La cura delle donne senzatetto che soffrono di disturbi mentali presenta problematiche specifiche, per affrontare le quali uno sforzo pionieristico è stato fatto nelle città di Chennai e Vellore. Il progetto “The Banyan” ha avuto inizio il 27 agosto 1993. Le fondatrici, la signora G. Vandana e la signora Vaishnavi, avevano appena finito il college, ma non sono né medici né assistenti sociali.

Gli scopi del Banyan sono principalmente quelli di: 1) accrescere e mantenere la qualità dei servizi; 2) fissare standard e modelli di servizi di qualità nel settore della cura della salute mentale dei senzatetto; 3) nell’ambito degli interventi aumentare l’accesso alle cure e agli altri servizi; 4) creare consapevolezza e stimolare azioni con il governo e le organizzazioni non governative 5) coinvolgere sempre più individui, organizzazioni non governative, utenti ed erogatori di cura, organizzazioni sostenitrici, mezzi di comunicazione, rappresentanti del governo, della polizia, del potere giudiziario; 6) lavorare in partnership con il governo (dello Stato di Tamil Nadu) per avviare interventi che mutino l’approccio programmatico governativo per quanto riguarda i servizi, sia istituzionali che comunitari e 7) lavorare all’interno dei sistemi governativi per indurre cambiamenti significativi che possano poi essere replicati in altre parti dell’India affinché tutto il settore ne tragga il più ampio beneficio possibile.

La modalità tipica di ingresso al Banyan è la seguente: la donna con disturbi mentali che vagabonda per strada viene segnala alla polizia attraverso la Mental Health Helpline (Telefono amico della salute mentale), una linea dedicata nata in collaborazione con l’Institute of Mental Health (Istituto di salute mentale) di Chennai e una sezione della Police Control Room in cui operano assistenti sociali del Banyan. Il Banyan quindi invia sul posto due persone del suo staff con il furgone. Le persone dello staff, compreso l’autista, non sono assistenti sociali, anzi in genere hanno un livello di istruzione minimo; però sono state addrestrate dal Banyan ad affrontare situazioni del genere Il più delle volte il solo parlare con loro non è sufficiente. Ed è a questo punto che entra in scena la polizia. Nel corso degli anni il personale del Banyan e la polizia hanno instaurato un rapporto per cui quest’ultima risponde a questo tipo di chiamate con sensibilità e tempismo. Una volta terminato l’intervento, lo staff del Banyan distribuisce alle persone che si sono raccolte sul posto degli opuscoli che illustrano in dettaglio le attività del centro. I volontari sono quindi un fattore importante delle attività del Banyan. Il Banyan inoltre, sostiene il ricongiungimento delle persone con disturbi mentali con le famiglie d’origine che vengono incluse nei processi di cura e riabilitazione. 

Oltre questa piccola eccellenza, per le donne con disturbi psichici in India c’è pochissimo altro. Del resto, quanto emerge da una ricerca del TrustLaw della Thomson Reuters Foundation sui Paesi del G20 (2012), resa pubblica in occasione del G20 tenutosi in Messico, evidenzia come l’India sia il paese peggiore per una donna.