Le cliniche degli orrori: omicidi in corsia

Le cronache recenti hanno registrato dei particolari casi di malpractice negli ospedali italiani legati a infermieri e medici che uccidono i pazienti o non si comportano come dovrebbero. Molti dicono che sia un problema di burn-out dati i ritmi e lo stress che si accompagnano a questo tipo di lavoro, altri più pessimisti giudicano essi come dei veri e propri mostri psicopatici.

Un caso di poco tempo fa del 30 novembre 2016 è quello di Saronno in provincia di Varese dove un medico, un’infermiera e altri 14 indagati avrebbero ucciso 5 persone. I principali arrestati sono il medico e l’infermiera, legati da una relazione, cioè Leonardo Cazzaniga e Laura Taroni, lui anestesista di 60 anni in servizio al Pronto Soccorso, accusato della morte di quattro pazienti tramite dosi di anestetici letali, lei infermiera di 40 anni accusata di aver ucciso l’ex-marito perché costituiva un ostacolo alla relazione con il medico. L’inchiesta è stata avviata dalla Procura di Busto Arsizio, dopo che i carabinieri hanno notato morti sospette che portavano a Cazzaniga. Secondo testimonianze, lui si faceva chiamare “Dio” e “Angelo della morte”. Quello che lui definiva “Protocollo Cazzaniga” era invece un mix di farmaci che provocavano la morte dei suoi poveri assistiti. Il marito della Taroni è morto nell’estate del 2013, dopo che dal 2011 la stessa infermiera gli aveva consigliato di prendere dei farmaci per aumentare la libido; nascondendogli che erano psicofarmaci e antidepressivi a dosi massicce. La Taroni il giorno della morte di suo marito disse alla guardia medica che era un infarto, Cazzaniga intanto provvide subito a farlo cremare grazie a quella che lui ha definito un’ idea “geniale”.

Un altro caso assurdo è quello dell’infermiera-killer di Lugo, Daniela Poggiali, che secondo il procuratore generale di Ravenna potrebbe aver ucciso 93 pazienti, durante i suoi turni di lavoro. Un numero considerevole, se si pensa che secondo il Daily Mail l’infermiere con più decessi sulla fedina penale è arrivato a 45 e, secondo altre statistiche dell’orrore, ci si ferma invece a 30. Poggiali avrebbe fatto tutto questo per liberarsi dei suoi pazienti e non accudirli più. In certi casi, ha detto lei stessa, le bastava iniettare delle fiale di potassio ai degenti: confessando di aver compiuto questa azione ad un medico è partita poi l’indagine su di lei che ha portato all’arresto e al licenziamento. Ad aggravare la situazione ci sono le terribili foto scattate su WhatsApp che la mettono sotto accusa per vilipendio di cadavere, dei veri e propri selfie col morto.

Un’ulteriore inquietante vicenda è quella accaduta a Treviso dove Manuela Petrillo, infermiera nella Asl di Treviso, avrebbe finto di iniettare diverse dosi di vaccini ai bambini mentre in realtà gettava le fiale. La Asl ha deciso così di richiamare 500 pazienti per ripetere le vaccinazioni, ma i casi dubbi in tutto il Friuli sarebbero 20mila. La denuncia è partita dai suoi colleghi che non sentivano piangere i bambini, cosa inusuale quando si fanno le punture ai più piccoli. Ma l’infermiera nega ogni accusa e si difende: dice di essere favorevole alle vaccinazioni e di avere la coscienza apposto.

Un ultimo caso non tanto recente è quello che ha coinvolto alcuni malati psichiatrici in una struttura milanese, dove una persona è finita in manette e altre tre denunciate dopo che gli agenti hanno indagato installando telecamere. È successo tutto alla fine del 2014: si tratta di umiliazioni e vessazioni continue, percosse con le scope oltre a pugni e schiaffi. Il tutto contro persone che non potevano né scappare né difendersi o denunciare tutto ciò che stava accadendo.

Nessun uomo può prendersi la responsabilità di sopprimere un suo simile, a meno che la legge italiana non regoli l’eutanasia. Al di fuori di ciò si tratta di vero e proprio omicidio compiuto in questi casi a discapito dei diritti fondamentali dei pazienti per aumentare la sensazione di onnipotenza dei curanti. Il legislatore deve fare in modo che la legge preveda il rispetto massimo della volontà della persona, ed in primo luogo la volontà di non proseguire nell’accanimento terapeutico.

Foto: JmArX Poetry | CCLicense

Roberto Rueca