Nonna, cosa è successo il 25 aprile del 1945?

Quel giorno scoprii il sapore della cioccolata e il gusto della libertà. Io ero una ragazzina avevo 15 anni; ricordo bene ogni dettaglio.

Come lei io ricordo ora quelle storie come un’immagine nitida nella mente, non si può dimenticare siamo obbligati a ricordare, siamo la memoria per chi verrà dopo di noi anche se oggi sembra che viviamo di costanti rimossi dato quello che succede in Palestina, al popolo Curdo, in Siria e in tutte quelle parti del mondo dimenticate.

Ada raccontava: “ero in cucina con la mia mamma mi stava pettinando i lunghi capelli, con mie grandi lamentele dato i nodi. Sai a quel tempo non ci si lavava sempre, non c’era l’acqua calda e noi non avevamo l’acqua corrente in casa. Mia madre aveva appena iniziato a intrecciare la seconda treccia e stavamo cercando un nastro per legarle insieme quando sentimmo forti rumori con sottofondo musicale e una lingua mai udita, non era italiano e nemmeno tedesco idioma che ormai avevamo tutti nelle orecchie. Uscii di corsa con disappunto di mia madre, non si esce in disordine Ada, tutti festeggiavano erano arrivati gli americani su grossi carrarmati, lanciavano cioccolata e caramelle. In quel momento assaporai il sapore della cioccolata e le parole di mio padre sussurrate ora siamo liberi Ada!”

Il 25 aprile 1945 l’Italia fu liberata dal nazifascismo grazie alla lotta e alla vita di moltissime e moltissimi uomini e donne partigiani/e.

Esiste nella storia un costante rimosso: le donne. In ogni epoca e in ogni contesto ci viene raccontata una storia mancante e erronea. Oggi non vogliamo rimuovere ma ricordare tutte quelle compagne, donne, ragazze, quasi bambine che negli anni del ventennio come staffette, combattenti furono determinanti, al pari dei loro compagni uomini, per la liberazione del paese. L’associazione nazionale partigiani d’Italia ha raccolto i dati del contributo che le donne diedero per la liberazione del paese: furono 35000 le partigiane combattenti, 70000 le donne organizzate nei gruppi di difesa, 683 le donne fucilate o cadute in combattimento, 4633 le donne arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti.

Durante la guerra le donne, non solo si erano fatte carico delle responsabilità sociali tradizionalmente maschili sostituendo l’uomo nel lavoro e nel mantenimento della famiglia, scelsero anche di schierarsi e combattere ribaltando la consueta divisione di ruoli maschili e femminili. Le donne si occupavano della stampa e della propaganda del pensiero d’opposizione al nazifascismo, attaccando manifesti o facendo volantinaggio, curando collegamenti, informazioni, trasportando e raccogliendo documenti, armi, munizioni, esplosivi, viveri, scarpe o attivando assistenza in ospedale, preparando documenti falsi, rifugi e sistemazioni per i partigiani. La resistenza, per queste donne, non significò solo impugnare un moschetto, ma soprattutto significò la conquista della cittadinanza politica.

Il desiderio di liberarsi dai tedeschi si intrecciava con quello di conquistare la parità con l’uomo: allora la donna acquistò la consapevolezza del proprio valore e delle proprie capacità, derivante dalla rottura del sistema di controllo sociale causata dalla guerra.

Simbolo del nuovo protagonismo femminile fu lo “sciopero del pane” del 16 ottobre del 1941. La protesta scoppiò per la riduzione della razione pro capite di pane, nonostante le rassicurazioni dello stesso Mussolini. Le donne assaltarono un furgoncino della Barilla, formarono un corteo numeroso ed agguerrito che, al grido di “Pane, pane” riempì le strade cittadine ed impegnò le autorità fasciste per tutta la giornata. Con questa protesta le donne, casalinghe ed operaie, non operarono solo sul fronte delle rivendicazioni materiali, ma espressero tutta la rabbia ed il dissenso popolare contro il regime, la guerra e le restrizioni da essa imposte.

Questa manifestazione di massa è, quindi, da considerare l’atto di ingresso delle donne nel movimento antifascista e preludio del salto di qualità del loro ruolo all’interno del movimento clandestino. Salto di qualità dovuto anche alla graduale maturazione di una coscienza politica che fra le donne possedeva solo chi lavorava in fabbrica a causa delle attività sindacali e di propaganda antifascista che lì erano svolta. Nel momento in cui decidevano di essere contro il fascismo, esse erano obbligate non solo a schierarsi politicamente, ma anche a rompere oggettivamente con la separatezza che le vedeva recluse dentro le mura domestiche per proiettarsi sulla scena pubblica.

Simbolo della loro opera è una comune borsa da spesa, nella quale nascondevano sotto pomodori e peperoni, le informazioni cifrate dei partigiani nelle pericolosissime missioni di collegamento. L’esperienza resistenziale accomunò, in nome della Liberazione della propria Patria dagli occupanti nazifascisti, donne di varia matrice politica, donne di sinistra, militanti del Partito comunista italiano, del Partito socialista italiano, del Partito repubblicano italiano, della sinistra cristiana, e donne cattoliche.
Le basi di entrambi i gruppi vanno a ritrovarsi nell’associazionismo, con l’Udi (Unione donne italiane di sinistra), e la Gioventù Femminile di Azione Cattolica e del Centro Italiano Femminile, che contribuirono alla formazione della cultura popolare femminile,

Il desiderio di liberarsi dai tedeschi si intrecciava con quello di conquistare la parità con l’uomo: allora la donna acquistò la consapevolezza del proprio valore e delle proprie capacità, derivante dalla rottura del sistema di controllo sociale causata dalla guerra. Si trattò di una guerra nella guerra, della battaglia per la loro emancipazione dopo una millenaria subordinazione. La motivazione politica portò ad un risultato importantissimo: la richiesta di un riconoscimento di un ruolo pubblico nel nuovo sistema democratico, fino ad allora negato alla donna da una società prevalentemente maschilista.

In conclusione ricordiamo la prima partigiana fucilata dai nazifascisti in Italia, ricordiamo lei e con lei ricordiamo tutte quelle donne che morirono durante il ventennio, nella lotta al nazifascismo

Francesca de Giovanni più conosciuta con il suo nome di battaglia Edera nata il 17 luglio 1923 a Monterenzio, torturata e fucilata dai nazifascisti il primo aprile 1944. Fece parte del primo gruppo di partigiani formatosi a Monterenzio, che confluirà nella 36a brigata Bianconcini Garibaldi. Alla fine del marzo 1944, insieme al suo compagno Egon Brass lasciò Savazza per prendere contatti con i dirigenti della lotta di liberazione. Giunta a Bologna, fu catturata in seguito ad una spiata. Torturata, venne fucilata l’1 aprile 1944 dietro le mura della Certosa di Bologna insieme con Egon Brass, Attilio Diolaiti, Enrico Foscardi, Ferdinando Grilli e Ettore Zaniboni.

La liberazione è una lotta quotidiana, non è qualcosa di dato per sempre, oggi più che mai abbiamo bisogno di intelligenze, pensieri, rivoluzioni, dobbiamo continuare a lottare con gli/le ultimi perché saremo davvero liberi solo quando anche l’ultima della terra sarà libera.

 

Foto di contrasto_gp Flickr – CClicense (CC BY-NC-ND 2.0)