L’arte come terapia in quanto possibilità di espressione del proprio essere, dei propri vissuti ed emozioni inespresse o ‘non vissute’

Dal 9 all’11 maggio a Roma, presso l’ex Cartiera latina, si è tenuto un evento di grande impatto e risonanza sociale: l’Expo salute mentale. In tre giorni l’Expo ha ospitato persone provenienti da tutta Italia e i locali dell’ex cartiera hanno visto operatori, utenti, medici, psichiatri e psicologi collaborare attivamente nel promuovere una condivisione di esperienze e storie di vita. Tutto ciò è stato possibile grazie alla voglia di lottare contro lo stigma considerando la psicopatologia come un momento di vita di profonda difficoltà che può e deve trovare una modalità di espressione e comunicazione. Uno sguardo al disturbo psichiatrico non come qualcosa da “curare” o “allontanare” ma come condizione che fa parte della persona in un determinato momento di vita e che tuttavia spesso la isola.

Proprio per questo la possibilità di trovare uno spazio di espressione che sia la radio, l’arte o altre forme espressive, facilitano l’inclusione sociale e diventano strumenti utili al non isolamento in momenti di vita difficili. In questo contesto tematico, sabato 11 maggio si è tenuto presso l’Expo un convegno sull’arte come terapia in contesti psichiatrici, come possibilità di esprimere le proprie emozioni e il proprio modo di essere.

Il convegno ha affrontato il ruolo dell’arte come terapia da molteplici punti di vista in una tavola rotonda e, grazie agli interventi di numerosi operatori della salute mentale, è stato possibile cogliere diverse sfaccettature del connubio tra salute mentale e arte. 

Ciò che sembra accomunare le varie tecniche di arteterapia è il potere espressivo dell’arte e la sua capacità, sia essa una fotografia, un dipinto, un canto, di impregnarsi del vissuto del suo autore, come se l’opera d’arte fosse creatura del suo creatore ma al tempo stesso creatura autonoma e in grado di comunicare oltre il comunicabile.

Durante il suo intervento, il Dott. Maurizio Peciccia, psichiatra e psicoterapeuta operante a Perugia, spiega bene questo concetto introducendo quello di opera artistica come “soggetto psichico”, che arriva ad assumere un’identità propria. Attraverso l’arte la persona, che nel caso specifico era una donna abusata in adolescenza, riesce a comunicare con i suoi disegni vissuti che non era stata in grado di elaborare ma che riescono così a trovare un senso, la possibilità di essere comunicati e quindi accolti. L’abuso è un trauma e in quanto tale, per la sua violenza e capacità distruttiva, comporta un alto rischio di sviluppare una psicosi, proprio perché distrugge l’integrità del Sé attraverso l’atto sessuale che, già in condizioni di una relazione consenziente, richiede un totale abbandono di Sé all’Altro.

La lettura di alcune lettere di donne abusate sessualmente ha rappresentato un momento particolarmente emozionante in quanto ha portato l’esperienza diretta di persone che, attraverso l’arteterapia e altre terapie sensoriali, sono riuscite ad elaborare il trauma dell’abuso. A proposito delle terapie sensoriali, viene presentata la Terapia Amniotica, un nuovo metodo che si svolge in gruppo in acqua calda. L’obiettivo di questa terapia innovativa è rinforzare nei partecipanti la sicurezza in se stessi e offrire un sostegno (“holding“) a chi non lo ha avuto in un particolare momento di vita, riproducendo la condizione all’interno del grembo materno. In questa condizione la comunicazione non verbale prevale su quella verbale e si tenta così di ripristinare quel senso di essere sostenuti e abbracciati ricostruendo l’holding perduto nell’abuso. Il concetto di holding rimanda proprio al sostegno e al contatto con la parte più vera di Sé, connessa con i bisogni più autentici in ognuno di noi e l’arte diventa quasi un soggetto a sé, una “madre”, capace di sostenere e offrire amorevolezza e protezione, proprio come nell’abbraccio con il proprio bambino.

Altri interventi, pur sottolineando il potere terapeutico dell’arte, hanno posto l’accento sul fatto che l’arte permette di dare visibilità ad esperienze altrimenti invisibili. A tale proposito risulta significativa l’esperienza condivisa dalla Dott.ssa Calvano, psichiatra e psicoterapeuta operante a Napoli che ha unito in una mostra di arte contemporanea delle opere realizzate da pazienti recluse in case circondariali e quelle di pazienti che frequentano i centri diurni. Questo impegno ha rappresentato un momento di condivisione e incontro tra le istituzioni della salute mentale e quelle penitenziarie ma dimostra anche come l’arte rappresenti una corsia preferenziale per accedere al mondo interiore della persona e per consentire a quel dialogo interiore di diventare comunicazione con l’esterno.

Altre esperienze e testimonianze hanno sottolineato l’importanza dell’arte come strumento di libertà dall’isolamento sociale e in particolare La Dott.ssa Porazzo che opera in Liguria, ha condiviso la sua esperienza in un centro diurno per pazienti adolescenti psicotici dove vengono realizzati laboratori che lavorano con i cinque sensi: gusto (laboratori di cucina), tatto (teatro e danza), vista (pittura, fotografia), olfatto (piante officinali) e udito (musica). L’isolamento sociale viene combattuto organizzando i laboratori fuori dai luoghi di cura, affiancati da artisti e operatori presso pinacoteche, musei e centri culturali. I ragazzi, che hanno realizzato un video dove trapela con delicatezza il difficile passaggio di ognuno di loro dall’isolamento, mostra delle biglie lanciate fuori una porta e che rotolano faticosamente su terreni dissestati e oltre ogni tipo di ostacolo. Sulle biglie, la messa a fuoco della telecamera, sullo sfondo ragazzi di cui non si scorgono i volti e a volte l’unica cosa in lontananza che si nota sono solo le loro gambe. Le biglie rotolano affannosamente e sembrano accompagnare i passi dei ragazzi sullo sfondo in un movimento quasi sconclusionato fino a quando l’attore (un utente) prende coraggio e, spalancando la porta che all’inizio temeva di aprire, si apre al mondo.

L’aspetto dell’isolamento viene affrontato anche in termini pratici, attraverso l’intervento di due architetti, Lucina Caravaggio e Cristina Imbroglini. Il loro impegno è rivolto a far sì che, nell’ambito dei servizi socio-assistenziali, i luoghi adibiti al lavoro nella salute mentale siano adeguati e rispettosi della dignità della persona. Al momento ci sono 1285 km quadrati di territori in disuso o confiscati e il loro ambizioso progetto è quello di replicare il progetto che hanno condotto con l’Ospedale Santa Maria della Pietà a Roma. Qui, in collaborazione con varie cooperative, hanno ristrutturato i locali dell’ex manicomio di Roma, che ben si prestava a una riorganizzazione dello spazio per la sua struttura a padiglioni, la versatilità botanica e per la sua facile raggiungibilità, ribadendo ancora una volta il concetto della lotta all’isolamento.

Il convegno ha visto poi numerosi interventi di operatori e psichiatri di vari centri diurni italiani che hanno condiviso le loro esperienze con l’arte e le sue molteplici espressioni, dai laboratori di ceramica alle band composte da utenti e operatori. In ogni suo utilizzo, l’arte sembra aderire alla persona, comunicando vissuti impronunciabili e spesso non elaborati, abbracciandone le debolezze e creando un ponte laddove le parole o la ragione falliscono.

Le mille sfaccettature dell’individuo sembrano essere valorizzate anche dalla fotografia e nello specifico Barbara Cursi, dell’associazione torinese “Il bandolo”, ha condiviso un video dove l’arte era proprio rappresentata dalla fotografia. Il video riproduceva immagini scattate da utenti e alcune loro frasi che dicevano cosa per loro rappresentasse la fotografia. Nel video una delle frasi recitava così: “Una persona può avere anche delle ombre ma uno scatto può rivelare la giusta luce. Giuseppe”. L’arte torna quindi ad essere non solo un prodotto, qualcosa che “esce da noi”, ma qualcosa che “ci fa uscire” e ci rivela, come una biglia che ci accompagna fino a che non decidiamo di essere noi ad aprire quella porta che ci separa dall’Altro.

Sara Gaudenzi