“Parlare di affetti non è facile per un detenuto: il carcere è prima di tutto distruzione sociale, famigliare e personale di chi ha commesso reato: privare dell’affettività sembra essere la punizione adeguata per qualunque reato commesso. La pena da infliggere, così pensata, non punisce soltanto il detenuto, ma tutta la sua famiglia: padre, madre, fratelli, moglie e figli. Tutti pagheranno nella sfera affettiva” (Alfredo S.). E’ questa una delle testimonianze raccolte nel libro “Per qualche metro e un po’ d’amore in più”, un volume curato Angelo Ferrarini da poco pubblicato da Turato Editore, che si sviluppa in 400 pagine e raccoglie oltre 200 testimonianze sul tema degli affetti da liberare in carcere anche per la sicurezza. Il libro è frutto di un lavoro collettivo che ha coinvolto detenuti, familiari, studenti delle scuole del Veneto, insegnanti e docenti universitari, nonché molti volontari che già operavano per migliorare le condizioni di vita nelle carceri italiane ed allinearle al modello europeo.
La proposta era scaturita dalla redazione del giornale Ristretti Orizzonti (vero e proprio laboratorio di scrittura in carcere che pubblica una newsletter quotidiana), che già nel 2014 aveva organizzato un convegno su questo argomento. Dal convegno era uscito un Manifesto, con alcune proposte concrete per rendere il carcere “più umano”: dai tempi e frequenze delle telefonate alle sale colloqui, migliorando i locali e l’attesa, con una attenzione adeguata per le esigenze di anziani e bambini; una maggiore trasparenza sui trasferimenti, che dovrebbero essere ridotti al minimo, rispettando i principi della vicinanza alle famiglie e della possibilità di costruire reali percorsi di reinserimento sul territorio. Al Manifesto era seguito un bando, in seguito al quale già nel 2015 erano arrivate alla redazione di Ristretti ben 300 tra testi e materiali da tutti i soggetti coinvolti. All’inizio del 2016, dopo un’ulteriore revisione, per i 207 testi rimasti (uno per autore, cominciava il lavoro editoriale affidato ad Angelo Ferrarini, esperto di scrittura del laboratorio di Ristretti, con sistemazione in unico ordine alfabetico, commento o note ai testi, più indici e un’appendice di materiali e riferimenti legislativi. Il corposo volume ‐ vero codice di esperienze, vite, riflessioni ‐ arriva dunque in stampa a due anni dal bando grazie anche ai cento donatori del crowdfunding organizzato per l’occasione sulla piattaforma “produzioni da basso” sostenuta da Banca Etica.
Come spiega Ornella Favero, direttrice di Ristretti “questo libro abbiamo voluto definirlo una raccolta disordinata di testi proprio perché c’è disordine in tutto quello che riguarda il carcere, ma è un disordine che qualche volta va salvato per opporsi a chi vorrebbe “riordinare” le vite difficili in modo da averle sotto controllo”. E nel corposo volume -“liberamente e obbligatoriamente ispirato ad affetti veri” come dicono i curatori. – fra le varie testimonianze non manca neppure la poesia un registro con cui in diversi hanno scelto di esprimersi. “Fuori dalle mura un esercito silenzioso, coraggioso nelle proprie dolenze, muove i passi con i pacchi per i colloqui, novelli Re Magi; donne madri, mogli, figlie, in fila, quasi un lungo cordone ombelicale collegato alle mura, una dura placenta che alimenta e sostiene e nutre i corpi e gli spiriti che vi sono rinchiusi. Non ho avuto mia figlia tra le braccia, la sento crescere al telefono, sento la sua voce tra le altre: venti minuti al mese sono quattro ore l’anno. Una goccia è cosa le ho detto, un oceano le cose taciute. Le ho appena scritto, nel tentativo di stabilire un ponte, ‘che mi è sempre mancata’ ed ho temuto a tal punto di perderla che l’ho perduta” (Carmelo L.L.).
E poi ci sono gli ultimi, nella scala dell’interesse che la società dimostra nei confronti dei detenuti e famiglie, i “figli del 41‐bis”. Qualcosa andrà fatto anche per loro, non certo quel trattamento disumano che ora gli è riservato, un’ora al mese di colloquio con il loro padre, separati da un vetro, e solo per i minori di dodici anni la possibilità di un abbraccio e un contatto fisico negli ultimi dieci minuti del colloquio.
A tutti loro e a chi può e vuole contribuire a cambiare questa terribile realtà si rivolge il libro.
Paola Sarno