Domandarsi se la Garbatella abbia subito “quei fenomeni di rigenerazione e rinnovamento dal punto di vista spaziale e sociale e cioè la transizione dall’economia industriale a quella postindustriale” ( def.Treccani di gentrificazione) potrebbe essere argomento di un impegnativo convegno di studi.
Le origini
Cominciamo a mettere in fila gli argomenti, a partire dalla sua vocazione originaria. Da quella mattina del 18 febbraio del 1920, quando la Borgata Concordia (Garbatella) fu inaugurata dalla mano augusta del re Vittorio Emanuele III, negli intenti dei progettisti e del tecnocrate Paolo Orlando, rampollo di una famiglia di industriali-liberali, quel primo nucleo edilizio ( lotti 1-5) avrebbe dovuto diventare un borgo operaio e marinaro. Sì, perché su quel colle di San Paolo si voleva dare ospitalità agli operai della prima zona industriale di Roma in odore di sviluppo, l’Ostiense, e ai “camalli” del porto fluviale per collegare il mar Tirreno con la Capitale attraverso un canale navigabile. Erano già stati approntati i disegni della darsena con i calcoli per la manovra dei piroscafi. Poi più niente, dopo la marcia su Roma delle camicie nere, l’Ente per lo Sviluppo Marittimo e Industriale portò i libri contabili in Tribunale e venne liquidato. I terreni espropriati dall’Orlando “furioso” furono acquistati dall’Istituto per le case Popolari e di quel sogno non rimase quasi nulla: una ferrovia da diporto tra Roma-Piramide e Ostia e un nucleo di casette economiche, con orto annesso, intorno ad una fontana di seconda mano prelevata dai depositi del Comune. E poi, qualche anno dopo, la borgata Garbatella, che aveva preso il nome, già a metà Ottocento, da una ostessa (figlia di Maddalena Garbata), divenne un minestrone di case rapide per sfrattati, villini a riscatto, dimore padiglione per sbaraccati, fino ad arrivare ai quattro falansteri degli alberghi suburbani intorno a piazza Michele da Carbonara. Lì le famiglie abitavano in una stanza coi servizi in comune, il pranzo e la cena era servita in un refettorio e se non pagavi l’affitto la Milizia ti sbatteva negli scantinati come scarafaggi.
La Garbatella è stata, dunque, una delle soluzioni alle emergenze abitative che si presentarono a Roma dagli anni Venti in poi, con lo sblocco degli affitti, la demolizione di interi quartieri medievali e rinascimentali nel centro città e l’abbattimento delle baracche abusive addossate ai resti monumentali dell’Impero romano in vista del decennale della famosa marcia dell’ottobre 1922. Gli architetti che l’hanno studiata in lungo e in largo affermano che si tratta di un vero e proprio laboratorio di stili architettonici ( barocchetto romano, razionalismo ecc…) e tipologie edilizie. Insomma la Garbatella è un sogno incompiuto, una Borgata giardino non del tutto realizzata, ancora oggi un quartiere anomalo, non omologato al resto della metropoli, un villaggio in città dove si vive a misura d’uomo.

I cambiamenti
Ma come si è trasformata negli ultimi cinquant’anni? Il declino e il trasferimento della zona industriale dell’Ostiense, alla fine degli anni Settanta, ha pesato anche sui destini del limitrofo polo residenziale della Garbatella. Qui, infatti, hanno tradizionalmente abitato nelle case Iacp i facchini dei mercati generali, gli operai delle officine del gas e gli addetti dei numerosi stabilimenti privati, vetrerie, falegnamerie e altri che avevano stanza principalmente sulla riva sinistra del Tevere, tra l’Ostiense e il Portuense. Tra loro si respirava o una cultura operaia autodidatta cresciuta a pagine dell’Unità e sospirati viaggi premio in Unione Sovietica o gli insegnamenti cattolici dei Padri Filippini dell’oratorio di Sant’Eurosia. Ma fin dalla fine dei Cinquanta e nei primi anni Sessanta, con l’avvento del boom economico, anche qui, come nel resto del Paese, si registrò un deciso cambiamento nella cultura popolare e consumi di massa. La televisione aveva messo in soffitta gli incontri serali nei cortili dei lotti popolari e gli spettacoli del teatro di massa in Villetta 8 la sezione locale del Partito comunista), “i cravattari” e i conti in banca avevano sostituito le polverose società di prestiti e mutuo soccorso tra le Sgarbatelle. Cominciavano ad avanzare i valori della piccola borghesia impiegatizia, quella dei ministeri; alle serenate di primavera con chitarra e mandolino sotto le finestre dei lotti si sostituirono le feste con juke bok e mangiadischi. Anche le roccaforti della classe operaia, come i partiti della sinistra storica ( Pci, Psi), aprivano le porte ai ceti medi e avanzavano quei fenomeni di omologazione che Pier Paolo Pasolini già da tempo denunciava sulle riviste dell’epoca: la genuina cultura proletaria, l’idioma, si snaturava di fronte ai primi programmi del piccolo schermo e agli scaffali stracolmi dei supermarket.
Nonostante tutto, fino a metà degli anni Ottanta, il patrimonio immobiliare è rimasto esclusivamente di proprietà pubblica ( Iacp poi Ater), gli inquilini dunque erano nella quasi totalità in affitto e questa condizione ha notevolmente rallentato i processi di ricambio sociale e omologazione avvenuti in altri ex quartieri popolari come Trastevere, Testaccio e San Lorenzo.

La vendita delle case Iacp
Un altro passaggio cruciale avvenne tra metà degli anni Ottanta e i primi Novanta quando più di 10 mila appartamenti furono messi in vendita dallo Iacp agli affittuari, a prezzi calmierati e convenienti. Quella deriva, forse non evitabile, con l’ingresso del capitale privato e la destinazione commerciale di alcuni stabili centrali, avrebbe potuto accelerare i processi di gentrificazione. Ma non è stato così perché nel quartiere si sono verificate alcune congiunture che hanno difeso il carattere popolare e il primato del pubblico sul privato. A partire da un’occupazione delle istituzioni locali ( municipio) di una generazione di giovani amministratori, che ha saputo innovare la tradizione della sinistra storica, legna nuova su brace antica, capace di costruire luoghi diffusi di socialità, di cultura e intrattenimento, una serie di casematte sul territorio.
Un campus universitario
Infine in quegli anni la scelta della Terza Università di Roma di insediarsi negli edifici ex industriali dell’Ostiense, nel Cinema teatro Palladium e più tardi negli ex Bagni pubblici della Garbatella segnò una svolta decisiva. L’ex borgata Iacp era diventata anche un campus studentesco, col proliferare di centri culturali e sociali, dove quotidianamente si può assistere ad uno spettacolo teatrale, ad una presentazione di un libro, visitare una mostra o semplicemente passare una serata in un pub di tendenza.
Ancora oggi la Garbatella, forse per la sua peculiare struttura urbanistica, resiste all’ingresso nel quartiere dei grandi marchi commerciali e alla penetrazione massiccia dell’immigrazione, confinata ai suoi limiti. Sembra avere solidi anticorpi nei confronti dei fenomeni di omologazione e gentrificazione. Anche se i segnali di questo processo sono sotto gli occhi di tutti.
Gli ampi margini di profitto sulla vendita delle ex case popolari, infatti, ha sicuramente sbloccato il mercato immobiliare con l’ingresso nel quartiere di famiglie di medio-alto reddito, tanto che nei lotti Ater governano condomini misti tra proprietari privati e inquilini Ater, a cui sono rimaste le aree verdi interne ai cortili popolari. L’anima popolare della Garbatella è dunque ancora viva, è una brace ancora accesa. Tra le sue mura opera una comunità sociale solida, orgogliosa delle sue radici democratiche, irriverente ma aperta alla solidarietà e ai diritti civili e di genere.
