Fabrizio De André e la follia: analisi di Un matto (dietro ogni scemo c’è un villaggio)

«Senza musica la vita sarebbe un errore» scriveva Friedrich Nietzsche nel 1888. A distanza di 132 anni il silenzio che risuona oggi al Ghione di Roma fa intuire che ci sia qualcosa di sbagliato. Infatti la chiusura del teatro e la conseguente cancellazione dello spettacolo Il suonatore Faber di Michele Ascolese (a causa del DPCM del 25 ottobre 2020) ci appaiono come uningiustizia. 

Se fosse stato ancora vivo, Fabrizio De André non avrebbe esitato a pronunciarsi artisticamente anche sui più recenti accadimenti, come del resto non si tirò indietro quando si trattò di mettere in musica la sua opinione in merito alla follia. 

Un matto (dietro ad ogni scemo c’è un villaggio) è una chiara presa di posizione allinterno del dibattito di quello stesso anno sulla follia, che condusse allapprovazione della legge Basaglia e alla chiusura dei manicomi. La canzone è tratta dallalbum del 1971 intitolato Non al denaro non allamore né al cielo, liberamente ispirato ad alcune poesie dellAntologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. 

Il motivo si rifà allepitaffio di Frank Drummer, un uomo ritenuto pazzo e internato in manicomio perché non riusciva a comunicare i suoi pensieri tramite il linguaggio. Lincipit del pezzo ci fa subito immedesimare con il disagio di questa persona: «Tu prova ad avere un mondo nel cuore e non riesci a esprimerlo con le parole». Il dramma dellincomunicabilità di questo essere umano diviene oggetto di scherno da parte degli abitanti del villaggio, fino a indurre luomo a un disperato tentativo di comunicare con loro. Così egli cerca nella Treccani «le parole sicure per farsi ascoltare», provandole a memorizzare tutte, ma pronunciandole in un ordine privo di logica. Gli abitanti del villaggio, anziché provare empatia e compassione per lui, interpretano la sua azione come il gesto di un folle, facendolo rinchiudere in un manicomio.[Ritorno a capo del testo]Gli ultimi versi di questa poesia musicata sono tuttavia quelli che colpiscono di più, in quanto celebrano quasi la vittoria sulla morte stessa da parte del matto, le cui ossa «regalano ancora alla vita […] erba fiorita». Ovvero una bellezza che contrasta con la bruttezza dellipocrisia degli abitanti del villaggio, cioè «di chi ha perso lo scemo e lo piange in collina» o di coloro che bisbigliano, sempre ironicamente, «una morte pietosa lo strappò alla follia». 

La dicotomia fra “pazzia” e “normalità” è il tema che attraversa tutta la canzone, e quello che fa emergere De André è che non esiste una definizione univoca né di ciò che è folle né di ciò che è normale. Entrambi questi concetti seguono una dinamica interna al gruppo cui appartengono gli individui a cui ci riferiamo. Per dirla utilizzando limmagine del cantautore: ci saranno sicuramente dei villaggi in cui lo scemoin questione verrà considerato normale e gli abitanti in questione folli. Ma quel che ci dovrebbe interessare, e per cui ci dovremmo adoperare ogni giorno, è invece la costruzione di villaggi dove lo stigma non attecchisca. Dove la diversità di coloro che vengono generalmente considerati folli sia ritenuta, al contrario, una risorsa preziosa. 

 

Federico Sorge