«Vi mostro il mondo coi miei occhi»

Patrizia Genovesi si racconta, artista e divulgatrice, affetta da dislessia 

Videoartist, divulgatrice, fotografa e docente universitaria, Patrizia Genovesi ci ha presentato il suo progetto fotografico (di cui pubblichiamo alcuni scatti) sulla figura poliedrica e controversa di Ildegarda di Bingen, vissuta in epoca medioevale. L’artista si è poi aperta a noi, confidando che le arti visive hanno avuto per lei un potere salvifico. Affetta da dislessia, Genovesi ci ha parlato delle difficoltà incontrate e di come l’arte le abbia permesso di entrare in comunicazione con il mondo. 

 

Perché ha scelto Ildegarda di Bingen come personaggio per un suo progetto fotografico? Come ha conosciuto questa figura e che cosa l’ha colpita? 

Il mio incontro con Ildegarda di Bingen è stato abbastanza casuale. Un carissimo amico, un fisico appassionato di minerali, mi ha parlato di questa figura e mi sono incuriosita. In tutti i miei progetti c’è sempre stata una parte interessata allo studio dell’intelligenza umana, in particolare dell’intelligenza femminile: molte delle mie immagini – le più note sono dedicate ai premi nobel come Rita Levi Montalcini – sono nate proprio da una mia curiosità nei confronti della mente umana e della creatività femminile, quindi le due cose si sono sposate. Mi ha colpito soprattutto l’integrazione di questa persona di attitudini così differenti, in un periodo così complesso come il Medioevo. È quasi fuori dall’immaginario poter pensare che una figura così possa essere nata in quell’epoca. 

 

Nonostante Ildegarda non avesse avuto la possibilità di studiare, era una figura eclettica che denotava una profonda sensibilità e curiosità nei campi della scienza e dell’arte. Ci può parlare di questa personalità così complessa e sfaccettata? 

Ildegarda aveva una formazione molto approfondita in tantissimi campi, come la medicina, la teologia e la scienza ante-litteram. Aveva avuto modo, in età giovanile, di incontrare tanti campi del sapere umano e la sua elaborazione così complessa le ha permesso di utilizzarli in una maniera totalmente integrata: si esprimeva sullo stesso livello nella musica, nella filosofia, nella scienza; erano come mani diverse di una stessa mente che passava dall’una all’altra materia con grande facilità. 

 

Ritiene che Ildegarda sia una figura attuale e contemporanea? Se sì, per quali aspetti? 

In questo periodo stiamo discutendo a lungo su che cosa sia femminile e cosa maschile, su quali siano i portati della genetica, della cultura, dell’abitudine. Non è semplice capire dove finiscano delle specializzazioni cerebrali e quanto invece sia portato dall’esperienza e dalla cultura. In un momento di così ampio dibattito su questi temi, ritengo interessante portare in luce una figura che vive in pieno Medioevo (siamo tra l’XI e il XII secolo) e che dimostra che già allora la donna, non solo era capace di declinare le sue attitudini su discipline diverse, ma riusciva in questo a ottenere dei risultati anche sociali e collettivi. Ildegarda è stata teologa, scienziata riconosciuta, politologa, i suoi scritti musicali sono studiati tutt’oggi. Esiste sì la figura di mistica, che per noi è quella più difficile da digerire, poiché non si sa bene se ricondurre quella parte visionaria al misticismo, o se sia dovuta anche a una forma di “stranezza mentale”. Lei viveva questa integrazione, che oggi viene messa nuovamente in discussione, come se noi avessimo ancora bisogno di ridefinire quali siano i nostri ruoli, le nostre specificità. 

 

Pazza in vita e santa dopo la morte. Cosa pensa di queste etichette della società? Come le ha rappresentate attraverso la tecnica fotografica? 

In epoca medioevale tutto quello che faceva parte della visione era ascritto al misticismo. Oggi noi dove vediamo “visione” pensiamo a una persona “strana” o affetta da schizofrenia. In quell’epoca le visioni, le intuizioni, le premonizioni facevano parte della cultura: c’erano gli indovini, i maghi, gli sciamani ante-litteram. Tutta questa parte di immaginario che si esprimeva in modo profetico veniva chiaramente accettato. La medicina e la magia non erano così facilmente distinguibili, la scienza e l’alchimia erano un tutt’uno. Quindi questo passaggio così repentino che noi vediamo dal misticismo alla scienza, dalla “mistica/pazza” all’intellettuale è più un portato di nostra interpretazione contemporanea. Nonostante il passato visionario, Ildegarda di Bingen ha avuto il suo riscatto, dimostrando grande responsabilità e razionalità. L’idea della “pazza” è stata messa da parte a favore della valorizzazione della sua indole di politica efficace, teologa significativa, grande scrittrice di musica. Rappresentare tutto questo con la fotografia per me era una grande sfida. Però anche i miei lavori passati integrano arti diverse tra di loro e raccontano dei profili molto discussi della letteratura e della storia dell’arte: la pazzia di Macbeth, il mondo di Azucena de Il trovatore, un lavoro particolare di trascrizione in forma visiva del canone di Bach. Nel mio lavoro fotografico ho cercato di portare avanti l’idea di Ildegarda integrata, raccontando la sua parte scientifica, la visionarietà e i tratti volitivi del suo essere politologa. Per fare questo ho cercato una modella che avesse dentro di sé queste corde cercando di farle risuonare visivamente. 

 

Anche lei, come Ildegarda, è una figura molto eclettica: fotografa, divulgatrice, videoartist, docente. C’è un ruolo che la rappresenta meglio degli altri? 

Probabilmente la figura di videoartist è quella che più mette insieme un po’ tutte le mie caratteristiche. C’è anche una storia un po’ antica in questo, io ho iniziato a suonare il pianoforte molto prima di imparare a scrivere, sono stata messa presto vicino alla musica, alla danza, al teatro. Tutte queste situazioni sono diventate parte integrante della mia espressione. Essendo io una persona dislessica, tutto questo ha contribuito a consentirmi di esprimermi in maniera completa. Quindi oggi dire di essere videoartist – nell’immaginario collettivo più che in me – mi focalizza meglio perché fa capire un po’ più facilmente il passaggio che c’è tra l’immagine, il video, la musica e anche la scrittura. La parte divulgatrice nasce proprio dal mio profondo desiderio di fare sì che gli strumenti dell’arte siano di tutti, e siano modi che tutte le persone possono avere per raccontare se stesse e il mondo come lo vedono. 

 

Sapere del suo percorso virtuoso da persona dislessica è importante e può aiutare tanti ragazzi che hanno un DSA. Hai dei consigli da dare ai giovani che vogliono lavorare nel mondo della fotografia o della videoarte? 

L’approccio con le arti visive per me è stato salvifico. Ho cominciato a fotografare perché non si capiva bene quello che dicevo. Ero talmente infuriata che la mia reazione è stata: visto che non mi riuscite a capire, vi faccio vedere il mondo coi miei occhi. Ho cominciato a disegnare e a fotografare. È stata come una sfida. Nonostante la rappresentazione nella mia testa fosse molto chiara, dovevo per forza tradurre il mio mondo. Il mio percorso è stato lungo, ma sono felicissima di avere avuto la fortuna di approcciare il mondo dell’arte, che mi ha dato occhi, gambe e soprattutto mi ha dato modo di entrare in comunicazione con il mondo e viceversa. Spesso le persone affette da dislessia non ce la fanno e si isolano. 

Per quanto concerne la metodologia di apprendimento, avendo io questa mappa concettuale un po’ alternativa, ho sviluppato un metodo di insegnamento che parte dall’osservazione e arriva alla fotografia passando dal disegno. Si inizia prima a guardare e a disegnare, per poi arrivare a concepire una storia. E a partire da questa, entrare dentro la tecnica fotografica, che ha una grande componente di tecnologia, ma anche di ascolto della realtà: tu devi vedere, concettualizzare, riorganizzare e restituire. I miei consigli sono: frequentare i luoghi dell’arte; approcciare tante arti differenti; guardare e ascoltare moltissimo; soprattutto lavorare su se stessi, lavorare con metodo e fare più esperienza possibile. Ora c’è molto lavoro in questo settore, purché si sia estremamente professionali e affidabili. C’è un’esplosione infinita di serie tv, fumetti, visual effects… c’è tanto da fare. 

 

Lei ha un’esperienza di fama internazionale, ma è anche molto attenta al territorio, con i suoi eventi. Che rapporto ha con quest’ultimo e, più in generale, con le tematiche sociali? 

Per quanto riguarda la divulgazione, ho voluto essere presente nel mio territorio, con un’attività continuativa in gallerie, spazi pubblici, teatri. Ho fatto più stagioni con l’Università degli Studi “Roma Tre” proprio per fare in modo che l’arte raccontata fosse una maniera che integrava l’arte vista andando incontro alle persone comuni. Sono riuscita a portare nei teatri tantissime persone che non necessariamente erano storici dell’arte, musicisti, fotografi, ma semplicemente appassionati del bello. Quindi questa parte divulgativa è diventata un appuntamento ricorrente sul territorio romano e si è diffusa. Poi ho espanso ulteriormente questo tipo di attività aprendo il mio atelier e portando avanti sia l’attività di divulgatrice, che i corsi di specializzazione. Questi ultimi per persone che hanno delle disabilità cognitive, e per bambini che non hanno difficoltà, ma comunque con un modo diverso di apprendere e approcciare l’arte. Tutta questa attività è principalmente sul territorio perché ho voluto essere un punto di riferimento. 

 

Nelle sue masterclass, ha analizzato la fotografia nel cinema di diversi autori, tra cui Iñarritu, Tarantino, Leone. Ci può parlare del suo rapporto con il cinema? 

Il cinema fa parte integrante della mia creatività e sensibilità, del mio modo di vedere il mondo. Oggi insegno direzione della fotografia cinematografica. Con Roma Tre si sono aperte delle collaborazioni, perché io facessi le aperture e le chiusure del Film Festival, ma anche perché portassi avanti delle monografie, che hanno come centro gli studi critici che io ho fatto su ciascuno di questi registi, piuttosto che direttori della fotografia. Ho parlato dei registi che hai citato e di grandi direttori della fotografia, perché credo che conoscere il mondo che c’è dietro la costruzione fotografica di un film sia di grande fascino. Abbiamo continuamente rapporti con le immagini, ma non sempre queste sono facilmente decodificabili, c’è dietro un universo da conoscere. Quindi perché non portarlo anche agli altri? In questo, l’università mi ha appoggiato tantissimo e sono stati ben contenti di portare questa cosa in teatro. 

 

Che progetti ha per il futuro? 

In questo momento sto realizzando un film di ispirazione dantesca, perché questo è l’anno di Dante. Per cui stiamo girando e ho iniziato un percorso formativo piuttosto innovativo sul Data Journalism che approccia in maniera professionale le arti visive, in particolare il mondo delle immagini sul web, dai punti di vista della comunicazione e del controllo. E poi ho in mente un progetto fotografico abbastanza lungo, però siccome siamo tutti scaramantici non lo racconto. 

 

Martina Cancellieri, Francesca Ruggieri