Spesso usati come sinonimo, fiaba e favola sono in realtà forme letterarie ben distinte.
Per quanto riguarda la prima, può essere considerata il regno del meraviglioso, dove si manifestano creature fantastiche con poteri magici. Oggetti inanimati prendono vita e succedono eventi prodigiosi, che caratterizzano la narrazione: la magia fa da padrona in questo genere letterario. Tutto ciò si presenta in luoghi generici (regno, castello…) tendenzialmente ambientati in un Medioevo fantastico. L’epoca in cui è ambientata la fiaba è indefinita, orientata nel richiamare stili di vita medioevali. Di solito le fiabe iniziano con il famoso “C’era una volta”, un indicatore del tempo indeterminato, come sempre indeterminato spesso è indicato lo scorrere del tempo lungo il racconto. La stessa struttura narrativa può essere definita semplice e lineare con vari elementi ricorrenti: ad esempio, abbiamo l’allontanamento da casa, delle prove da superare, un aiutante magico incontrato durante la narrazione…
I personaggi della fiaba possono essere considerati piatti, ossia possiedono poche e semplici caratteristiche fisiche e psicologiche fisse. A tal riguardo, detengono una sola qualità o vizio (bontà, malvagità…) e sono indicati solo con il nome proprio o con il loro ruolo. Il linguaggio è familiare, dove prevalgono sequenze dinamiche, narrative e dialogiche, in quanto nella fiaba conta ciò che i personaggi fanno e dicono con le loro azioni.
Lo studioso russo Vladimir Propp (1895-1970) ha rilevato una struttura ricorrente che tenderebbe a contraddistinguere questo genere letterario, mettendo, in particolar modo, a fuoco i concetti di funzione (ben trentuno rilevate da Propp) e ruolo. Più precisamente, nella fiaba rileva non tanto chi compie l’azione, ma la cosiddetta funzione, ovverosia l’azione stessa, come l’allontanamento da casa, l’infrazione di un divieto… Attraverso l’individuazione della funzione con maggiore facilità si possono riconoscere i ruoli svolti dai personaggi.
Le origini della fiaba in occidente risalgono almeno fin all’età antica, intrecciandosi con i racconti mitologici (famosa, a tal riguardo, la storia mitica di Amore e Psiche di Apuleio, vissuto nel II d.C.). Successivamente, possiamo considerare l’Ottocento il secolo d’oro della fiaba. In sintonia con la cultura romantica del secolo, che esaltava gli ideali di identità nazionale, patria e popolo, diversi intellettuali si interessavano alle fiabe delle tradizioni, anche perché ritenute espressione dello spirito autentico delle genti che le avevano elaborate e tramandate. Tra gli autori più importati di quest’epoca, possiamo rammentare i tedeschi fratelli Grimm, il russo Aleksandr Nikolaevic Afanas’ev e il danese Andersen. Invece, nel nostro Paese, nella metà del Novecento, Italo Calvino pubblica nel 1956 le Fiabe Italiane: raccolta di fiabe rintracciate in ogni regione e poi trascritte dal dialetto.
Per quanto concerne la favola, si tratta di una forma di narrazione anch’essa molto remota, risalente almeno all’antichità, ove due furono gli autori più importanti: innanzitutto il greco Esopo (probabilmente uno schiavo liberato del VI secolo a.C. circa), che fissa i caratteri propri del genere, e, in secondo luogo, in ambito romano Fedro (20 a.C – 50 d.C. circa), anch’egli di origine servile, si ispira a Esopo e con le sue arguzie stigmatizza i comportamenti dei potenti. Già sulla base di quanto detto circa le origini, si può evidenziare che esse sono popolari, nel senso che dovrebbero essere opera dei ceti sociali più umili che, non potendo esprimere apertamente le proprie convinzioni, le affidano ad un mondo parallelo di esseri zoomorfi.
E qui veniamo alle caratteristiche generali della favola.
Abbiamo a che fare con una forma di narrazione molto breve, il cui elemento fondamentale è la finalità morale, laddove una morale esplicita o implicita è sempre presente nella storia (se esplicita, alla fine) con lo scopo di trasmettere un insegnamento pratico che aiuta a comprendere come comportarsi nelle diverse situazioni. I protagonisti sono animali o esseri inanimati che prendono parola nella misura in cui esprimono rappresentazioni allegoriche di vizi e virtù degli esseri umani. La struttura narrativa è fissa con una storia breve che si apre con la presentazione dei personaggi, continua con lo svolgimento della storia e culmina rapidamente in una conclusione sintetica che svela le sorti dei personaggi.
I luoghi sono stereotipati e generici (un fiume, un albero…). L’epoca è indefinita, situata fuori dal tempo storico degli uomini con formule fisse come “un giorno”, “una volta”… La forma della favola è generalmente in prosa, ma ne sono presenti anche in versi ed in rima. Stile e linguaggio sono semplici e colloquiali, ove il discorso diretto è molto usato. Tornando alla storia del genere letterario, tra gli autori più importanti della modernità e della contemporaneità possiamo ricordare il francese Jean De La Fontaine(1621-1695), il quale per mezzo delle sue Favole in versi esprime i vizi e le virtù della sua epoca. Più vicino ai nostri tempi, rammentiamo Trilussa, Aleberto Moravia, Antoine de Saint-Exupery e Gianni Rodari. Fare una distinzione tra la fiaba e la favola è molto interessante perché se in entrambe le forme abbiamo una finalità educativa, nella favola è maggiormente presente la funzione morale. Inserire nella favola indicazioni su come bisogna agire nelle situazioni pratiche e orientarsi nel comune sentire, sancisce le leggi universali che si applicano a tutti gli esseri umani e ne determinano il comportamento.