Sono passati cinque anni dal primo Festival dell’Architettura di Roma (FAR), che quest’anno è tornato alla ribalta dal 5 al 8 ottobre con significativi cambiamenti. E’ stata infatti un’edizione più corale e aperta. La prima si era tenuta alla casa dell’architettura e solo nel quartiere Ostiense con quattro installazioni, quest’anno invece si è allargata, sono state lanciate ben quattro call e coinvolti più professionisti: tra creativi, film maker, studenti di architettura e di materie varie. Tutti hanno messo a disposizione le loro variegate esperienze in quest’unico progetto, frutto di un anno di lavoro.
Il festival è iniziato il 5 in uno spiazzo semi abbandonato di viale Leonardo da Vinci, nel quartiere San Paolo. Poi il giorno dopo la carovana si è spostata nel Dodicesimo e il 7 nell’Undicesimo; l’incontro organizzativo si è chiuso domenica 8 ottobre alla Casa dell’Architettura in piazza Manfredo Fanti all’Esquilino, sede dell’Ordine degli architetti di Roma che ha ideato e organizzato la manifestazione.

Il primo tema affrontato è stato quello della comunità educante. Questo concetto vuole esprimere un contesto in cui tutte le persone coinvolte – membri di una comunità e giovani – lavorano insieme per garantire un ambiente educativo positivo e di apprendimento reciproco. Queste figure, che fanno parte di una zona di città o di un quartiere, operano sul territorio con scopi diversi. Il loro obiettivo ultimo è il benessere e la crescita delle persone al fine di costruire un futuro migliore.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Alice Buzzone, rinomato architetto romano nonché direttrice del festival, che ha collaborato al FAR. Lei ci racconta il progetto dell’esposizione, che definisce come un dispositivo culturale in evoluzione. “Quest’anno gli architetti sono scesi in piazza- ci racconta- per affrontare in un dibattito comune il tema della città. Essi sono entrati in campo e si sono tuffati nello spazio pubblico in un modo del tutto inedito. Si è voluto dare dignità a luoghi un po’ abbandonati per ripensarli e riprogettarli. Si è dato spazio ad architetture leggere, che liberassero l’immaginazione. L’expo può produrre cultura in nome dell’architettura”.

“Anche la scelta del luogo occupato – continua la consigliera dell’ordine degli architetti di Roma -durante questo evento non è stata fatta a caso, bensì si è optato per questa strada vicina alla scuola Leonardo da Vinci, perché non è accettabile che ci sia una piazza così degradata e non sfruttata. Dunque gli architetti arrivano laddove serve un intervento tempestivo per ridare vita a quartieri con piazze o rotonde abbandonate a se stesse, grazie a iniziative sociali e culturali che vengono portate avanti. L’architetto è vicino al popolo e si sta mettendo a suo servizio. Tuttavia questa sembra una cosa nuova ma in realtà non lo è, perché questa figura professionale esperta della progettazione urbanistica ha sempre lavorato per la gente, basti pensare a Renzo Piano, noto architetto italiano forse tra i più illustri del XXI secolo. Costui è stato al fianco della popolazione in occasione del Laboratorio di quartiere ad Otranto, voluto dall’Unesco. Ma poi c’è stato anche Giancarlo De Carlo urbanista e teorico dell’architettura italiana. Insomma ci sono tantissimi professionisti che hanno lavorato in rappresentanza degli enti locali e delle decisioni pubbliche. Questo perché in realtà l’architetto è lì presente per soddisfare la società, tant’è che l’OAR non è il sindacato degli architetti, ma è un ente che vigila su di loro in modo tale che possano lavorare bene per la collettività e con i criteri di sicurezza. Per cui in realtà l’ordine nasce proprio per questo. Forse a Roma da troppo tempo, purtroppo, questo mestiere non si è poco legato con i cittadini. L’ordine attraverso questa manifestazione architettonica in particolar modo ha ideato delle politiche pratiche per mischiarsi con la folla. Ma in verità, in città come Milano e Bologna, già ci sono da tempo delle agenzie specializzate, in cui gli architetti lavorano fianco a fianco dei cittadini e della popolazione comune. Dunque l’obiettivo del FAR è far capire che c’è un’architettura diversa, che non è solo quella delle grandi opere, ma è anche quella dei progetti minori che non richiedono ingenti spese e non per questo sono meno importanti. Anzi, attraverso le piccole cose si prende l’ispirazione per creare in grande progetti nuovi, che non prevedano la chiusura di intere aree per lungo tempo. In questo incontro- conclude Alice Buzzone- l’architettura è una provocazione, un dibattito culturale esteso a tutti e non solo agli addetti ai lavori, che diventa un museo abitabile all’aria aperta, senza spendere milioni di euro, aprendo spazi pronti all’uso. Tutto ciò ha un fine ultimo, costruire delle reti di contatti del settore, di relazioni, per aprire nuove possibilità di lavoro conseguendo obiettivi simili. E tra un anno, nella piazza ove si è svolto l’evento, ci sarà un’installazione curata da nuovi architetti.
Perciò ci aspettiamo grandi cose al termine del FAR, che lascerà un segno di cambiamento in un futuro non troppo prossimo.”
