Laurence Anyways di Xavier Dolan e il diritto all’autodeterminazione

Il regista canadese combatte la transfobia in una società a cavallo tra due secoli 

Negli anni successivi l’uscita (1994) del DSM-IV, manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, si è riflettuto sul fatto che la transessualità non è né una disfunzione sessuale, né una parafilia, quindi non doveva rientrare nei disturbi sessuali, come era invece catalogata. Per questo motivo, nel DSM-V (2013) tale condizione viene classificata non più come “disturbo dell’identità di genere” ma come “disforia di genere”. 

Si tratta di un importante traguardo, dato che col termine “disforia” l’attenzione si sposta dall’identità e viene focalizzata sul disagio emotivo e psicologico vissuto dal soggetto che si identifica col genere opposto a quello assegnato. Chiarisce la testata specializzata State of Mind «esattamente come per i disturbi d’ansia (solo per citare un esempio) l’entità del disagio avvertito e le sue ripercussioni sono ciò che determinano la presenza di un quadro clinicamente significativo». Insomma, non si dice più alla persona che la propria condizione è dovuta a un disturbo che essa ha, in parole povere che è “nata sbagliata” e andrebbe “aggiustata” affinché si identifichi col sesso assegnato. Bensì si lavora per alleviare le sofferenze psicologiche che tale condizione comporta in una società che culturalmente non accetta chi è diverso dai cosiddetti “normali”. 

Proprio su questo ragionamento si apre Laurence Anyways (2012), terzo lungometraggio del talentuoso Xavier Dolan, che si interroga sulla definizione di “essere normale” e si batte per i diritti degli emarginati. Nel 2016 il regista riceve la laurea honoris causa in Diritto civile dalla Bishop’s University, in Canada, “per i suoi successi professionali e per il proprio servizio alla società”. Tra gli altri suoi film, ricordiamo Mommy (2014), in cui un’ipotetica legge consente ai familiari di minori affetti da disagio psichico di richiedere un TSO presso un istituto psichiatrico, senza procedere per vie legali o mediche. Un incubo terrificante che avrebbe potuto tramutarsi in realtà. 

L’incubo vissuto da Laurence (Melvil Poupaud) è un altro, e ha lo stesso impatto di una doccia fredda. Proprio la pioggia è un elemento ricorrente nella pellicola, una pioggia connotata da una potente carica simbolica, che rispecchia, e ancor di più, dipinge l’umore della protagonista nei diversi momenti della pellicola: all’inizio assistiamo a un vero e proprio acquazzone, correlativo oggettivo del tormento interiore di Laurence; intorno a metà pellicola, quando Laurence è finalmente se stessa e passeggia con la compagna (Suzanne Clément), una sequenza surreale ritrae, in una giornata di sole, una caduta dal cielo di vari capi d’abbigliamento colorati; infine, in una sequenza intrisa di malinconia, le foglie secche dell’autunno sembrano venire giù direttamente dal cielo, ricoprendo le strade. 

La protagonista (nata in un corpo maschile) non aveva immaginato tutte le ripercussioni che sarebbero conseguite al suo outing pubblico. Dopo essersi aperta alla compagna e alla madre, Laurence ha dovuto scontrarsi con il mondo della scuola, un liceo dove insegna da anni come “professore” di letteratura. Un giorno decide di non nascondersi più e di presentarsi in classe truccata e in abiti femminili. Sono gli anni Novanta e la commissione scolastica riferisce a Laurence la decisione di “allontanarla per il suo bene”, dal momento che un membro dell’assemblea dei genitori ha scritto al ministero che il professore di letteratura si presenta a scuola vestito da donna. Quando le viene citata la definizione del DSM che la considera affetta da una patologia psichiatrica, Laurence viene licenziata senza poter fare ricorso. 

Nei suoi 168 minuti, Laurence Anyways racconta in modo maturo e sensibile le difficoltà per le persone transessuali di portare avanti una vita allo scoperto, semplicemente esprimendo la propria natura. Il film affronta inoltre le diverse sfaccettature della transfobia nelle varie sfere della vita privata e sociale: a cominciare da quella sentimentale, familiare, fino al più duro scontro con le sfere lavorativa e pubblica. Il film si chiude nel 1999, alle porte del nuovo secolo, non con la speranza di porre fine alla divisione sociale tra il “normale” e l’“emarginato”, poiché sarebbe un’utopia, ma con l’augurio che venga riconosciuto a tutti il diritto all’autodeterminazione.