L’8 marzo di ogni anno, in molti paesi del mondo si celebra la Festa della Donna, che ha l’obiettivo principale di ricordare le conquiste che le donne hanno ottenuto nel corso della storia. Inoltre, è un’occasione per rivendicare i molti diritti delle donne che vengono ancora calpestati, come per esempio in ambito lavorativo (basta pensare alla dominanza maschile nei principali ruoli dirigenziali e alle evidenti differenze di retribuzione tra uomo e donna).
La parità di diritti è sinonimo di civiltà e evoluzione, come espresso dal Presidente Sergio Mattarella quando per la seconda volta è stato chiamato a giurare alla Camera: “Affinché la modernità sorregga la qualità della vita è necessario assumere la lotta alle disuguaglianze come asse portante delle politiche pubbliche”.
Combattere le disuguaglianze è fondamentale per un paese che si definisce democratico e liberale, ma ciò non vuol dire annientare le differenze e costringere all’omologazione a ciò che il pensiero comune reputa “normale”.
Se non ci fossero differenze, probabilmente verrebbe meno la voglia di esprimere sé stessi; sarebbe tutto dello stesso colore, completamente piatto e nessuno avrebbe poi tanto voglia di descriverlo, raccontarlo, dipingerlo o cantarlo. Essere tutti uguali non significa accettare un ruolo prestabilito, ma avere le stesse possibilità di espressione e anche di ribellione.
Nel 1982 Loredana Bertè, artista indomabile e donna poco allineata agli standard femminili del tempo, cantava un elogio alla forza e al coraggio a non uniformarsi alla massa e ai diktat imposti: “Non sono una signora”
Lei “non è una signora”, non ha quei valori e quelle virtù che, secondo il pensiero maschile e maschilista del tempo, avrebbe dovuto avere. Non è “una con tutte stelle nella vita”, ma è una che affronta costantemente le difficoltà e che le canta con la sua voce graffiante e costantemente arrabbiata.
Diceva sul palco dell’Arena di Verona, dopo aver vinto il Festivalbar:” Da bambina sognavo di diventare una regina… Ho avuto le mie vittorie. E come tutti, i miei guai. Li ho cantati, e la gente ha capito che in certe emozioni c’era qualcosa di più forte della comune rabbia che può avere qualcun altro. E forse non sono una signora, ma la regina di un’estate sì”.
Loredana Bertè era ed è quello che cantava, essendosi identificata perfettamente con quella giovane donna arrabbiata che non voleva lasciare a qualcuno il privilegio di collocarla dove meglio credeva. “Forse dovrei stare sempre tranquilla, educatina, fare la riverenza, ma io non ci sto. Qualunque aria tiri, comunque si mettano le cose, io non sono una signora” rispondeva così la Bertè durante un’intervista al Messaggero, chiarendo la sua natura ed esaltando la sua femminilità ribelle.
Il brano scritto da Ivano Fossati per la cantante di Bagnara Calabra è l’esaltazione impetuosa di una femminilità fuori dagli schemi, che nasce sì dalla possibilità democratica di espressione fornita a tutti grazie ad un “ammorbidimento “delle disuguaglianze di genere e di classe, ma che ne prende anche le distanze, dato che celebra a gran voce la voglia di essere diversi.
Ecco che la Bertè ci ricorda come tutti dovremmo avere lo stesso diritto di essere diversi.