Polonia. Le proteste contro la legge anti-aborto in un paese che sta cambiando

Intervista a Fabio Turco di Centrum Report, progetto giornalistico sullEuropa Centrale 

Lantico filosofo greco Eraclito avrebbe descritto con la sua celebre frase sul divenire delle cose, «Panta rei», la situazione che si sta verificando in Polonia, paese in cui, dallo scorso ottobre, molte persone, tra cui tanti giovani, sono attive nella protesta contro linasprimento della legge anti-aborto, voluto dal tribunale costituzionale e dal governo di Jaroslaw Kaczynski del partito Diritto e Giustizia. Ma perché Eraclito avrebbe detto «Panta rei» dinnanzi alla Polonia di oggi? In generale sui progressi, e nello specifico sulla legge che regola laborto di questo paese, una risposta lha data Fabio Turco, al microfono di 180gradi, giornalista freelance e co-fondatore di Centrum Report, un progetto fondato nel 2018 insieme ad altre quattro persone, che hanno deciso di unire le forze per diffondere informazioni su paesi come Polonia, Ungheria, Rep. Ceca e Slovacchia, per la limitata copertura mediatica che hanno in Italia. 

Fabio ci racconta il background sociale della Polonia, sul quale si sono attivate le proteste contro la legge anti-aborto. Un retroterra in trasformazione, che da lidea dellincessante divenire delle cose: «certamente la Polonia è un paese con un background cattolico molto forte. Il ruolo della Chiesa cattolica, in passato, è stato molto decisivo nel passaggio dal vecchio sistema comunista a quello democratico. Negli ultimi anni però la Polonia è molto cambiata. Soprattutto nei grandi centri urbani ci sono sempre meno persone che vanno in chiesa. La roccaforte della Chiesa risiede soprattutto nelle campagne e nei centri urbani più piccoli». In merito alla causa delle proteste, che durano da mesi in Polonia, Fabio racconta che «il 27 gennaio il governo polacco ha pubblicato in gazzetta ufficiale, rendendo effettiva una sentenza del tribunale costituzionale risalente allo scorso ottobre, una sentenza che va a limitare in maniera quasi totale l’accesso all’aborto per le donne polacche, in quanto dichiara incostituzionale uno dei punti della legge sull’aborto in cui era prevista la possibilità di interrompere la gravidanza, e cioè quello in cui il feto presentasse delle malformazioni». Ricordando che «la legge polacca era già una delle più restrittive in materia, in quanto prevedeva la possibilità di abortire solo in poche circostanze: nel caso in cui la gravidanza ponesse a rischio la vita della madre, nel caso in cui il concepimento fosse avvenuto a causa di uno stupro o un incesto e, appunto, in caso di malformazione del feto». Fabio Turco ribadisce che «quest’ultima casistica è stata cancellata», e prosegue spiegando che «la sentenza del tribunale si rifà a un principio della costituzione polacca, che prevede che lo Stato si impegni a difendere la vita di ogni essere umano. Assumendo, quindi, che la vita di ogni essere umano inizi dal concepimento, i giudici hanno deciso di pronunciare tale sentenza. Quest’ultima è stata molto contestata sia per la sostanza stessa, sia per la modalità, poiché è avvenuta attraverso una decisione del tribunale costituzionale, e non attraverso la via parlamentare. Il tribunale stesso è stato oggetto di una riforma negli anni scorsi, ed è ritenuto essere in mano dell’esecutivo». 

Ciò dà lidea di una mancanza di divenire, di cambiamento. Ma dallaltro lato del fiume, a contendere la legge c’è una parte della Polonia che vuole aprirsi al divenire e al progresso, infatti Fabio afferma che le proteste dei movimenti e delle associazioni pro-aborto «vengono portate avanti su base settimanale e sono molto partecipate. Sono coordinate dal collettivo che si chiama Strajk Kobiet che significa “sciopero delle donne” e hanno avuto come target coloro che vengono visti come i responsabili di questa decisione: il tribunale stesso, la Chiesa e soprattutto Jaroslaw Kaczynski, che è il leader del partito “Diritto e Giustizia”, da sei anni al governo in Polonia. Esistono associazioni pro-life che cercano di rendere più restrittiva la legge sull’aborto, e proprio in occasione di uno di questi tentativi nacque Strajk Kobiet. Si pensi che la legge sull’aborto in Polonia risale al 1993». Le proteste hanno avuto un gran sostegno anche al di fuori del paese, «c’è stata una solidarietà internazionale molto partecipata, hanno avuto una grande eco mediatica, ma anche da parte di diverse associazioni. Tra le tante, in Italia, per esempio c’è stata Non una di meno. In Polonia, la sentenza non è condivisa dalla maggior parte dell’opinione pubblica. Anche per questo motivo c’è una grande partecipazione. La novità di queste proteste è che coinvolgono tanti giovani. Giovani che tradizionalmente non erano inclini a partecipare alle manifestazioni o non erano molto addentro la politica, invece stavolta sono scesi in piazza e hanno fatto sentire la loro voce». Quanto al caso dei neonati venuti alla luce con malformazioni, lintervistato spiega che «il governo sta preparando dei correttivi alla legge, per sostenere le famiglie e per poter intervenire nei casi più estremi. Certo è che questa legge viene percepita come una persecuzione, perché pone le donne nella condizione di non poter scegliere, e quindi di portare avanti la gravidanza anche in casi più estremi». 

Facendo parlare i dati, nel 2019 in Polonia, ufficialmente, sono stati effettuati 1.100 aborti illegali, di cui il 98% per malformazione del feto. In un quadro generale che ne conta tra gli 80.000 e i 120.000 eseguiti clandestinamente in Polonia, oppure in paesi vicini, come la Germania e la Rep. Ceca. In risposta allelevato numero di aborti clandestini, il governo polacco ha sancito che il medico che tenta laborto rischia una pena pari a 3 anni di reclusione.