Convenzione di Istanbul
L’Italia ancora non ha recepito e attuato nella legislazione nazionale alcuni articoli della Convenzione di Istanbul, poiché permangono pregiudizi e stereotipi sessisti che discriminano ancora oggi le donne limitandone i loro diritti.
- Riconoscere ogni forma di violenza maschile contro le donne compresa quella psicologica, economica ed assistita agita nei confronti dei figli/e minorenni nonché le molestie sessuali sui luoghi di lavoro, sul web e attraverso i social media, violenze ad oggi non considerate. Riconoscere come forma di violenza sulle donne l’impedimento nell’accesso ai diritti sessuali e riproduttivi, garantendo una piena attuazione della legge 194 ed impedendo così ogni abuso dell’art. 9 (obiezione di coscienza) (artt. 3, 26, 33, 40 della Conv. Di Istanbul).
- Predisporre interventi integrati e sistematici aventi la finalità di contrastare la cultura patriarcale e che mettano al centro i diritti della vittima di violenza maschile anche attraverso una efficace prevenzione, una protezione immediata abbattendo i tempi della giustizia civile e penale anche mediante la previsione di una corsia preferenziale nei procedimenti civili ad oggi inesistente (artt. 7, 18, 50, 58 della Conv di Istanbul).
- Rispettare nei casi violenza il divieto di mediazione familiare e di soluzioni alternative nelle controversie giudiziarie ed il divieto di pratiche che rappresentano forme di vittimizzazione secondaria per le donne e per i/le figli/e minorenni ed il divieto di procedere a valutazione psicologica e psicodiagnostica sulle donne e sulla loro capacità genitoriale.
- Disporre provvedimenti ablativi e/o limitativi della responsabilità genitoriale paterna e in ogni caso escludere l’affidamento condiviso nei casi di violenza intrafamiliare, facendo prevalere la protezione ed il superiore interesse del/la figli/a minorenne anche attraverso una tutela integrata effettiva dei minorenni (nullaosta al trasferimento scolastico, accesso ai percorsi di sostegno psicologico, ecc.) (artt. 15, 29, 31, 48, 56 della Conv. Di Istanbul).
- Garantire protezione e accesso alla giustizia alle donne straniere vittime di violenza, sfruttamento sessuale e lavorativo, tratta traffico di esseri umani, indipendentemente dalla loro posizione giuridica sul territorio italiano e dalla denuncia, garantendo loro un permesso di soggiorno permanente svincolato dal loro aggressore, assicurando l’accesso ai servizi di protezione e supporto quali consulenze legali, sostegno psicologico, assistenza finanziaria, alloggio, istruzione, formazione assistenza nella ricerca di un lavoro (artt. 18, 59, 60, 61 della Conv. Di Istanbul).
- Prevedere la formazione specializzata e l’aggiornamento permanente di tutti gli operatori che entrano in contatto con le vittime di violenza (operatori del diritto, educatori, operatori sociosanitari, forze dell’ordine) con il riconoscimento della specializzazione delle donne che lavorano a diretto contatto con le vittime e delle avvocate dei centri antiviolenza. La formazione deve avere anche l’obiettivo di superare i pregiudizi e gli stereotipi sessisti e deve essere prevista fin dai curricula universitari (artt. 13, 14, 15 della Conv. Di Istanbul). (Tavolo Legislativo e giuridico, Bologna, 4-5 febbraio 2017)
La salute delle donne in chiave femminista
Ripoliticizzare la relazione tra persone che erogano e persone che usufruiscono dei servizi sanitari, nonché abbattere il confine tra queste figure per poter risignificare il concetto di salute in chiave femminista.
Punti principali:
- Ripensare complessivamente il diritto alla salute in ambito riproduttivo, avendo la capacità di articolare questo discorso sia per quel che riguarda il contrasto alla violenza ostetrica e l’autodeterminazione delle scelte riproduttive (anche per le persone disabili) ma anche per ciò che concerne la libertà di non riprodursi e l’accesso all’aborto libero, sicuro e gratuito. L’autodeterminazione delle scelte in ambito riproduttivo deve essere sostanziata dalla concreta possibilità di praticarle su tutto il territorio. Dunque richiesta immediata di servizi, rivendicazione di accesso universale alla contraccezione di emergenza senza ricetta medica per le ragazze sotto i 18 anni, nonché condurre una fondamentale battaglia per l’estensione della somministrazione della RU486 a 63 giorni e senza ricovero obbligatorio.
- Avviare un processo di rilettura in chiave politica della legge 194 e della sua applicazione. L’accesso all’Interruzione volontaria di gravidanza non è infatti più garantito dalla legge 194, erosa dalla piaga dell’obiezione di coscienza.
- Rivendicare forme e pratiche di promozione della salute e del benessere in ambito sessuale, riproduttivo e affettivo, nonché di prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili e di gravidanze indesiderate, sia in ambito scolastico che all’interno dei servizi sanitari di prossimità. Una prevenzione che sia in grado di dotare le differenti soggettività e generazioni di strumenti adeguati ad affrontare la vita affettiva e sessuale sia rispetto al concetto di salute, inteso in ottica biopsicosociale, che per tutto ciò che concerne il diritto al piacere e ad un’espressione della sessualità libera e autodeterminata. Manifestiamo inoltre la necessità di intervenire sulla formazione degli operatori coinvolti nell’erogazione dei servizi, che deve essere basata sulle pratiche, i saperi e le esperienze femministe.
- Una riflessione, accompagnata dalla formulazione di proposte concrete, per ripensare i consultori non come meri erogatori di servizi. I consultori devono tornare ad essere veri e propri laboratori in grado di praticare un’idea di benessere e salute a partire dai bisogni di tutte quelle soggettività che non sono riconducibili alla semplice figura della donna bianca eterosessuale. La capacità, dunque, di articolare una complessità nell’approccio alla lettura di genere e sessualità, che parta dalla molteplicità dei desideri e dei corpi per rispondere ai loro bisogni di benessere in ambito sessuale e affettivo. Altro elemento imprescindibile del lavoro dei consultori è quello di articolare un’offerta per chi è escluso/a dai diritti di cittadinanza o dalla loro effettiva esigibilità. (Tavolo Diritto alla salute sessuale e riproduttiva, Bologna, 4-5 febbraio 2017)
Cos’é un luogo di donne
Devono essere luoghi dove lavorano solo donne, con un approccio femminista e laico, gestiti dalle donne e non dalle istituzioni. Sono luoghi di elaborazione politica che lavorano anche sulla formazione e prevenzione, che svolgono un ruolo di sensibilizzazione sul territorio e che agiscono sfruttando un sistema complesso al cui centro c’è il vantaggio per la donna. (Tavolo Percorsi di fuoriuscita dalla violenza, Roma, 27 novembre 2016)
Cos’è un Centro antiviolenza
È un luogo di elaborazione politica femminista il cui obiettivo principale è attivare processi di trasformazione culturale e intervenire sulle dinamiche strutturali da cui origina la violenza maschile e di genere sulle donne. In quest’ottica accoglie e sostiene i singoli percorsi di fuoriuscita dalla violenza, interviene sulla formazione e la prevenzione sensibilizzando il territorio e strutturando reti.
Il Centro antiviolenza è uno spazio autonomo di donne, autogestito da organizzazioni laiche di donne, di supporto e di potenziamento nel quale si rende visibile e si contrasta la disparità di genere promuovendo un ribaltamento dei rapporti di potere sul piano individuale delle relazioni intime e sul piano generale della soggettività delle donne. Pertanto i Centri antiviolenza non sono mai servizi assistenziali e non possono essere istituzionali.
Nei Centri antiviolenza la metodologia adottata è quella della relazione tra donne come pratica centrale fondata sulla lettura della violenza di genere come fenomeno politico e sociale complessivo strutturale e non emergenziale.
I cardini principali sono: la presa di posizione di parte a fianco alla donna e il rispetto del suo protagonismo, il sostegno dei suoi desideri e delle scelte senza imporre tempi e percorsi, l’ascolto empatico e non giudicante, la condivisione dei progetti. Nei Centri antiviolenza devono essere garantiti: la riservatezza, la segretezza, l’anonimato e la gratuità.
Ruolo cardine del Centro antiviolenza è quello dell’operatrice di accoglienza antiviolenza, la cui professionalità non può prescindere dall’impegno politico all’interno del centro. (Tavolo Percorsi di fuoriuscita dalla violenza e autonomia, Bologna, 4-5 febbraio 2017)
Ruolo e professionalità delle operatrici nei Centri antiviolenza
Al di là delle diverse professioni di appartenenza, il saper essere e saper fare delle operatrici si impara nei luoghi delle donne. Il ruolo delle operatrici antiviolenza è un intreccio tra competenza professionale ed impegno politico.
L’istituzionalizzazione della figura dell’operatrice avrebbe come conseguenza lo stravolgimento della metodologia adottata nei Centri antiviolenza e delle modalità di formazione, svolte solo ed esclusivamente dai e nei centri. Istituzionalizzare questa figura le farebbe perdere il suo connotato di attivista politicamente impegnata nel centro. (Tavolo Percorsi di fuoriuscita dalla violenza, Roma 27 novembre 2016 e Bologna 4-5 febbraio 2017).
Foto: Francesca Ruggeri| 180gradi.org | CCLicense