Il quarantennale della legge 180 coinvolge tutti, in particolare gli operatori che in tanti anni sono stati gli attuatori delle indicazioni che l’esperienza di Basaglia ci ha lasciato. La psichiatria e gli psicologi che hanno fatto parte dei servizi psichiatrici e della loro evoluzione, sono un pezzo importante del cambiamento e della messa in pratica della legge. Per questo motivo l’incontro di commemorazione organizzato da Psichiatra Democratica è per noi un momento di riflessione insieme a molte persone invitate a parlare. L’incontro si è svolto il 26 giugno 2018 al teatro Tor Bella Monaca, in concomitanza dello spettacolo “La rivoluzione nella pancia di un cavallo” di Daniela Di Renzo, un’occasione per raccontare, più che per celebrare, i 40 anni della riforma.
Il dr. D’Elia ha aperto l’incontro nel ruolo di presidente di Psichiatria Democratica, raccontando la storia di Marco Cavallo, divenuto oggi il simbolo dell’uscita dai manicomi e del trionfo della libertà di pensiero in ambiente psichiatrico. “Marco Cavallo nasce all’interno di un padiglione dell’ospedale San Giovanni nel ’74, ossia quattro anni prima della riforma, intorno a un laboratorio messo su da un gruppetto di artisti che insieme ai degenti dell’ospedale cercano un modo per rappresentare quello che stava succedendo in quelle mura, mura che erano già in parte aperte ed erano destinate ad esserlo definitivamente quattro anni dopo. L’idea di Marco Cavallo viene fuori dopo un concorso di idee e nasce come la storia di un cavallo che aveva lavorato anche lui nel manicomio portando e caricando sul carretto i panni, e li portava avanti e indietro nella lavanderia di San Giovanni, un ospedale molto grande, su una collina, quindi con tanti padiglioni. A un certo punto il cavallo, ossia Marco, come era stato nominato, era troppo vecchio per farcela ancora a fare questo lavoro improbo di salire e scendere dal San Giovanni. Si pensò, come si fa con gli animali vecchi, che cosa farne. C’era chi voleva salutarlo per sempre da questa vita e chi invece voleva salvarlo per quello che aveva significato. Marco era un altro sgobbone all’interno di questo posto dove si faticava. Faticavano tutti, faticavano i pazienti, faticavano tutti quelli che, in un modo o nell’altro, ci lavoravano. E così viene fuori l’idea di mandarlo in pensione. Con questo pensionamento, che consisteva nell’affidarlo a un contadino friulano, non avrebbe più faticato tanto e come tutti i buoni pensionati l’avrebbero fatto riposare a sufficienza e così Marco Cavallo saluta definitivamente il San Giovanni. Da questa storia nasce l’idea di dare a questo cavallo una sua stilizzazione, un messaggio di liberazione. Era alto quattro metri, con un’anima di legno e tanti messaggi e desideri nella pancia e aveva una pelle di carta pesta. A un certo punto sarebbe dovuto uscire anche lui dal padiglione, solo che la struttura non era alta quattro metri ma molto meno, e a questo punto l’unico modo era compiere un gesto rivoluzionario, coraggioso. Erano già state abbattute le grate di Gorizia ma nessuno aveva abbattuto i muri. E invece l’input di Basaglia insieme ad altre persone, che con una panchina hanno abbattuto il cancello del manicomio. Questa panchina funge da maglio con cui il muro, almeno la parte superiore, della porta viene tirata giù e finalmente Marco Cavallo esce e comincia a girare per il mondo. Penso che proprio questo gesto liberatorio sia stato d’ispirazione perché, dopo il cavallo, sono successe tante cose. Questo cavallo ha fatto viaggiare tanti con la sola fantasia“.
Daniela racconta come l’esperienza di Marco Cavallo può insegnarci a collaborare nell’arte e a lasciarci ispirare dalle emozioni. “Grazie a questo progetto, abbiamo iniziato una collaborazione con il centro diurno di San Paolo e abbiamo fatto una cosa molto bella anche con i ragazzi della Fermenti Band, laboratorio musicale diretto da Gaia Possenti, a cui ho proposto di suonare la canzone che fa parte dello spettacolo, “Da vicino nessuno è normale”. Attraverso questa collaborazione sono nati degli eventi che abbiamo condiviso, molto belli anche quelli, devo dire, fonte d’ispirazione. L’incontro con la Fermenti Band ha portato anche alla realizzazione di piccole parti che ho inserito nel copione dello spettacolo. Posso citare una persona in particolare, che ha scritto una delle cose più belle di questo spettacolo, questa persona è Giulia Ventura, che ringrazio“.
Il dr. D’Elia ricorda che, come Psichiatria Democratica, “abbiamo una rete nazionale, anche se sgangherata, che quando vogliamo sappiamo far funzionare e abbiamo una rete di servizi territoriali. Sono la nostra forza, ci differenzia da tutti gli altri paesi. Non solo non abbiamo il manicomio, ma abbiamo delle altre cose. Abbiamo un ventaglio di possibilità, in alcuni luoghi più che in altri, efficaci e in grado di fronteggiare la sofferenza, risorse a cui comunque non vogliamo rinunciare, non dobbiamo rinunciare, per la quale dobbiamo continuare a batterci. Non sarà una rivoluzione ma sarà, com’è stato finora, un continuo contributo, un impegno costante, da parte di tutti quelli che ci credono. E non siamo pochi. Psichiatria Democratica è in prima fila, ma non è sola, ci sono tanti operatori, e anche se non sono nelle file di qualche organizzazione del movimento, che programmaticamente continuano a credere, a costruire e a combattere tutto quello che è avverso al riconoscimento della dignità, della soggettività delle persone, del rispetto, della garanzia che la relazione viene prima di qualsiasi atto impositivo di tipo medico che finisce inevitabilmente fuori della relazione per essere un atto violento. Questo patrimonio ce l’abbiamo. Va difeso, va difeso da dentro, va difeso da fuori!
Eugenio Ricci, Presidente della Consulta Cittadina per la Salute Mentale, ha presentato il suo intervento prendendo spunto da due parole dello spettacolo che sono particolarmente rappresentative: una è “rivoluzione” e l’altra “pancia”. “Rivoluzione perché in realtà la legge 180 è stata una rivoluzione che è andata a modificare completamente quella che era la psichiatria prima del 1978. Sono andato a rileggere un po’ indietro: la salute mentale veniva regolata da una legge, credo la numero 36, addirittura del 1904. È stata una grossa rivoluzione passare dai manicomi a una situazione di servizi come oggi, basta pensare che la legge 36 andava addirittura a perseguire e internare gli omosessuali. Il quarantennale della legge 180 dovrebbe essere un momento in cui fare il punto sullo stato dell’arte della psichiatria in Italia e nel nostro territorio. In questo momento la situazione è molto negativa se parliamo della carenza del personale. Ci sono servizi in cui manca il 50% del personale, ma si arriva anche al 79%, con situazioni molto difficili da affrontare. Con l’occasione ringrazio tutti gli operatori, i medici, gli infermieri e quant’altro, che si danno da fare giornalmente, pesantemente, con degli orari pazzeschi, soprattutto negli ospedali. Quando parliamo di salute mentale dovremmo parlare di questi soggetti: utenti, familiari e tutto quello che circola intorno. Non ci possiamo dimenticare che poco tempo fa c’è stato un decreto che ha stabilito la compartecipazione alle spese sanitarie del servizio pubblico da parte delle famiglie. Quando si parla di familiari bisogna usare cautela, perché sono l’anello debole della salute mentale.
Ci sono servizi in cui manca il 50% del personale, ma si arriva anche al 79%, con situazioni molto difficili da affrontare
Faccio un esempio: 100 cartelle cliniche aperte non si riferiscono a 100 persone e basta, ma almeno a 400 o 500 persone, perché intorno al paziente gravitano i familiari, quelle persone che sono l’anello debole. Io non sono un medico e ho l’obbligo di parlare: dentro una famiglia, quando si è di fronte ad una situazione nuova, una cosiddetta crisi, si affronta una situazione molto pesante, molto difficile, che dà un sacco di problemi di ogni genere, anche economici, anche di rapporti interpersonali tra marito e moglie. Sconquassa tutto. Ora nella compartecipazione delle spesa da parte delle famiglie, proposta nel nuovo decreto regionale, c’è un problema di proporzioni. Come Consulta abbiamo iniziato una contrattazione per rivedere le soglie di reddito che determinano il pagamento della quota per il ricovero. La legge inizialmente stabiliva la gratuità dei servizi per chi percepiva fino a 5.000 euro l’anno, in pratica erano costretti a pagare tutti. Oggi siamo arrivati al riconoscimento di una soglia di 20.000 euro annuo a famiglia. Ma anche così, se c’è una famiglia composta da 4 persone, con un reddito di 40.000 euro e un’entrata mensile di 2.500 euro, quella famiglia non potrà permettersi di pagare 1.500/1.800 euro al mese di retta per un familiare a cui è capitata questa disgrazia, perché di questo si tratta. Così non è possibile neanche fare la spesa… come si fa? Noi familiari stiamo facendo la nostra rivoluzione, anche se non così importate come quella basagliana, ma le istituzioni se ne devono rendere conto. Quello che a noi rimane oggi è solo il territorio, anche se sconquassato, ridotto ai minimi termini, ma c’è soltanto il territorio e il territorio ha retto! Se il territorio ce l’ha fatta, noi abbiamo l’obbligo di continuare a sostenerlo, nonostante i centri diurni siano un pò decimanti e degradati della loro importanza, ridotti soltanto a prolungamento dei CSM. Dobbiamo dare molta più importanza alla rivoluzione, la riabilitazione si fa e si dovrà fare considerando che i territori sono il posto corretto e i centri diurni non vanno assolutamente dimenticati. Ci stiamo impegnando a fare un tavolo presso la regione per portare i centri diurni alla loro originale importanza“.
A sostenere le idee di Ricci è Massimo Cozza, direttore generale del Dipartimento di Salute Mentale della Asl Roma 2. “Sono molto d’accordo sul ruolo dei centri diurni. Hanno un ruolo centrale nella costruzione di percorsi di salute mentale e sono i luoghi, anche se non gli unici, che in qualche misura, più degli altri, testimoniano l’aggancio con il territorio, l’impresa sociale e con l’attività di costruzione di percorsi reali di inclusione, ancorati comunque al reale. Tutte cose che i CSM spesso promuovono, ma non sempre con altrettanta efficacia attuano. Fermo restando che anche i centri diurni meritano di essere riforniti di idee, di culture, di pratiche, di leggi, di tutele che vanno in qualche modo assicurate“.
“Marco Cavallo l’ho conosciuto personalmente“, dice nel suo intervento Giuseppina Gabriele, direttore del Csm di Torre Spaccata, “e ho avuto la possibilità di partecipare all’entusiasmo di quel momento rivoluzionario, entusiasmo che, devo dire, non mi è mai scemato. L’importanza di questi ricordi persiste e mi dà la forza di portare avanti tante battaglie. Non mi preoccupo del fatto che siamo pochi, perché in realtà rappresentiamo di più di un numero e mi preoccupo di sostenere che noi siamo i portatori di un’ipotesi di riforma sociale. Siamo quelli che ritengono si possa cambiare la qualità della vita delle persone a partire dalla nostra, questo mi ha insegnato Basaglia, me lo diceva tutti i giorni: “Nessuno fa le cose per gli altri, ognuno di noi fa le cose se ritiene che nel migliorare la vita degli altri, migliora anche la propria”. Per questo abbiamo sempre lavorato per migliorare la vita di tutti e ancora penso che lo possiamo fare con i centri diurni, con i CSM, in tutti i modi che servono a ricucire questa città. Perché questa città non ha più un tessuto sociale che tiene, non è abbastanza cucita, le persone vivono troppo sole, esiste molta competizione, molta difficoltà a produrre legami significativi. E credo che il contributo che noi dobbiamo dare è invece quello di costruire legami significativi, prima di tutti tra noi impegnati nella salute mentale, tra i vari servizi, operatori e utenti, cooperative, associazioni, come il consorzio Zona180. E poi provare a ricucire la città. Mi darei questo come compito, anche se non siamo migliaia di persone, ma penso che potremmo convincerne ancora tante”.
“Nessuno fa le cose per gli altri, ognuno di noi fa le cose se ritiene che nel migliorare la vita degli altri, migliora anche la propria”
L’associazione “Si può fare di più” è una giovane associazione nata nel 2014. Nel suo intervento racconta il suo lavoro. “Cerchiamo di fare progetti su due temi principali: la socializzazione del disagio psichico e la creazione di attività lavorative e veri posti di lavoro. L’attività che è arrivata alla quarta manifestazione si tratta di una corsa agonistica finalizzata ad integrare il disagio sociale con quello psichico. La manifestazione si terrà il 4 Novembre al parco della Caffarella e sarà una corsa di 10 km per agonisti, poi ci saràuna camminata di 5 km che si svolgerà tutta all’interno del parco della Caffarella. Lavoriamo perché questa manifestazione possa divenire una presenza continuativa nel tempo e nel luogo abbiamo cercato di coinvolgere più associazioni possibili, alcune hanno risposto positivamente, altre dovranno ancora maturare il fatto che se vogliamo fare qualcosa di positivo non possiamo camminare sempre da sole ma dovremo unirci“.
Le attività concrete delle associazioni sono raccontate anche da Elena Gentili, una mamma che si è mobilitata insieme ad altri familiari, costituendo un associazione a Montesacro chiamata “Oltre le barriere”. “Con una forte tradizione di riabilitazione nel nostro territorio di attività esterne e sportive una possibilità nel motivare i nostri utenti, i nostri ragazzi a ritrovare un pò di autostima nelle attività. Penso che ritorneremo su questo tema e a sentir parlare mamme e papà che si sono mobilitati per migliorare la situazione nei territori, insieme ai servizi psichiatrici, che la legge180 prevede e che vengono condotti con difficoltà. Una storia, quella del rapporto tra Basaglia e i familiari degli utenti, che ha anche dei risvolti divertenti e i racconti testimoniano quanto questi familiari fossero dalla parte della 180. Ci sono dei familiari che “volevano bene” a Basaglia senza averlo mai incontrato. La portata importante della rivoluzione socio-sanitaria che è stata pensata con la Legge 180, si è sentita ed è stata importante. “
Durante uno speciale di Rai1 il 13 maggio scorso per i 40 anni della Legge Basaglia, Luigi Coraggioda Ventotene ha appreso dell’importanza di questo movimento e si è subito mobilitato per far si che anche a Ventotene si parlasse di Basaglia e di Salute mentale. Questa nuova leva del movimento darà sicuramente a Psichiatria Democratica occasione di riflettere su nuovi temi ed energie che sostengano il movimento. Luigi afferma che, “Strasburgo si può considerare il punto di arrivo ma Ventotene, per la sua simbologia, si può considerare il punto di partenza“, come invito ad includere la bella isola tra i luoghi significativi della salute mentale.
Immagine di copertina: Claudio Erné