Il diritto al gioco

foto di Roberto Ferrari
foto di Roberto Ferrari

L’infanzia non è un gioco. Non veniamo al mondo per giocare, o per far vedere agli altri che sappiamo cosa significa entrare in un contesto ludico. Ciò nonostante è proprio attraverso il gioco (o il non-gioco) che finiamo per sviluppare in parte la nostra identità e la nostra personalità. Giocare, quindi, diventa una tappa fondamentale per la nostra esistenza, così fondamentale da trasformarsi persino in un diritto. Ma il diritto al gioco in realtà è anche un dovere. Tuttavia non è un diritto-dovere dei soli giovani, come verrebbe spontaneo pensare, ma anche dei meno giovani, degli adulti, degli educatori, degli insegnanti. Ed è anche a questi ultimi che vogliamo rivolgerci e farci sentire a gran voce, ricordando loro che chi non sa giocare non può insegnarlo agli altri.

La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e l’Adolescenza è stata approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite (ONU) a New York solo il 20 Novembre del 1989. L’Italia ha ratificato e reso esecutiva la Convenzione il 27 Maggio 1991 attraverso l’approvazione della Legge n.176. All’interno di tale legge a noi ora interessa un articolo su tutti, il numero 31, che di seguito riportiamo: “gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica”, e ancora “gli Stati parti rispettano e favoriscono il diritto del fanciullo di partecipare pienamente alla vita culturale e artistica e incoraggiano l’organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e culturali”. Simili parole gridano ancora oggi vendetta, perché non riescono a trovare ovunque il giusto terreno fertile che meritano. Sono ancora troppe le Nazioni, i Paesi, gli Stati devastati dalla fame, dalla povertà, dalla guerra e dalla violenza sugli stessi minori. Eppure, anche nei Paesi civili in cui la guerra e le violenze appaiono lontane, come può essere il nostro Paese, si percepisce un’aria di ignoranza forte, e la sensazione – delle volte accompagnata anche da prove schiaccianti – che non tutti siano a conoscenza di questo diritto al gioco. E’ importante, al contrario, che tutti i genitori e gli adulti responsabili riconoscano l’importanza di tale diritto, e si convincano una volta per tutte che i bambini e gli adolescenti non sono più solo degli oggetti di tutela, ma anche e soprattutto soggetti, appunto, di diritto.

Purtroppo non è questa la sede più opportuna per illustrare in che modo il gioco è fondamentale per l’evoluzione del bambino, ma possiamo comunque tentare di mettere in evidenza due aspetti fondamentali del gioco: la creatività e l’affetto. La creatività è l’architettura della nostra vita, ci dice chi siamo e che cosa siamo. La creatività è fondamentale perché rimanda alla capacità di produrre idee o cose nuove, oppure alla capacità di trovare nuove relazioni tra le idee e le cose, e di trovare nuovi modi per esprimerle. L’affetto, invece, è l’ossigeno della vita stessa, è ciò che rende possibile il “tutto”, è il collante per una società più giusta. Proprio per questo, non possiamo separarcene o disfarcene. Tuttavia, anche se può sembrare strano, affetto e creatività non sono per nulla doti innate, non sono istintive, occorre anzi qualcosa che ce le faccia conoscere, che ce le faccia sviluppare al nostro interno. Questo qualcosa può essere il gioco, attraverso il quale il bambino può arrivare a sorprendere se stesso, a capire quali sono le sue potenzialità, perché con questa “sorpresa” il bambino impara e sperimenta la relazione con il mondo esterno e con i suoi coetanei (sviluppa quindi la creatività), fino a far sue potenzialità intellettive, relazionali, ed appunto affettive. Attraverso il gioco il bambino va incontro a nuove scoperte ed emozioni, che sono la base della crescita di ciascuno di noi. E non importa quanto siano inutili i giochi che fanno, non è importante se saltano la corda o se giocano a nascondino, ma è importante che saltino la corda e che giochino a nascondino. Non devono sapere perché lo stanno facendo – per loro è un divertimento, e deve rimanere tale -, l’importante è che lo facciano, perché le funzioni cognitive si attiveranno poi da sole, con lo stimolo dato dalla creatività e dall’affetto.

Quei bambini che anziché andare a scuola impugnano un’arma da fuoco per difendere la propria postazione non sono bambini che sanno cosa sia davvero vivere la vita da infante o da fanciullo. Questi bambini non sono bambini, ma sono qualcos’altro, sono adulti, lo sono diventati per necessità, o perché qualcuno ce li ha fatti diventare prima del tempo. E sono proprio questi “qualcuno” le persone che noi dobbiamo affrontare, sono questi “qualcuno” coloro che hanno negato ai loro bambini il diritto al gioco. Tuttavia non so dire se il gioco sia la soluzione per una pace tra i popoli, ma posso dire che è un’ottima base, un’ottima “palestra”, un ottimo punto di partenza per un mondo più giusto, perché il gioco sa abbattere l’ignoranza (“ignoranza” intesa come non conoscenza). Di più, sa distruggerla, sa disintegrarla.

Il primo obiettivo risulta dunque essere quello di tutelare l’infanzia dei bambini concedendo loro dei diritti, garantendo loro un ambiente sereno in cui crescere (possibilmente anche attraverso il gioco), e ciò non vale solo per i Paesi del terzo mondo, per quelli in via di sviluppo o minacciati dalle guerre. Questo discorso vale anche per i Paesi più all’avanguardia: infatti, se da quest’ultima parte – ossia da noi – il gioco può essere visto come l’abbiamo inteso fino ad ora, ossia come divertimento che nasconde in sé il seme dello sviluppo della personalità di ognuno di noi, in altre parti del mondo il gioco può essere considerato (ma potremmo dire sfruttato ed utilizzato) come una terapia di cura e recupero per i bambini vittima di un’infanzia difficile. “Per questo motivo è importante tutelare il diritto al gioco degli infanti e impegnarsi nella salvaguardia dell’infanzia come fondamentale stadio della vita. Garantire il diritto al gioco è uno degli obiettivi primari delle associazioni di volontariato che si occupano della tutela dei bambini” [www.donboscoland.it]. Questo è indubbio, anche perché “nella maggior parte dei casi l’apprendimento viene concepito secondo criteri rigidi, che si richiamano ad un’idea di educazione/insegnamento, che mette sì al centro il ragazzo, ma solo come un ascoltatore passivo e non come un soggetto globale. Se si vorrà rispettare il concetto di globalità si dovrà gestire l’educazione, l’insegnamento, come organizzazione dell’apprendimento, cercando di sfruttare appieno la capacità formativa di un lavoro percepito come un gioco” [www.galileo.it]. Non scordiamoci infine tutte le ricerche di Jacob Moreno degli inizi degli anni ’30 del secolo scorso, con le quali egli tentava di dimostrare come grazie ad un gioco di ruolo (in sintesi, una riproduzione facsimile della realtà) si potesse provare a scacciare un trauma che in precedenza aveva condizionato in negativo la vita dei vari pazienti. In quest’ultimo caso si parlava di soggetti adulti, ma il punto è che persino con loro funzionava il sistema del gioco.

Il gioco è per tutte le età, ed è quindi fondamentale che le dinamiche che lo guidano debbano essere apprese il prima possibile. Questo diritto deve essere garantito, con i tempi e i modi degli insegnanti, degli educatori e dei genitori, ma deve essere garantito. Fa strano doverlo ricordare ancora oggi, nel 2017, dall’alto della nostra modernità tecnologica. Siamo uomini che vivono una vita perfetta, uomini che hanno scoperto la forza di gravità, la luna, l’atomo, la relatività, ma che spesso ancora non sanno cosa significhi davvero essere vivi, non sanno cosa significhi far esplodere tutto il proprio potenziale senza venir continuamente giudicati. Non è un caso che a tutt’oggi, accanto alle associazioni ludiche per i più piccoli, se ne siano andate a sviluppare decide e decine anche per i più grandi, e che ad una di esse anche il sottoscritto faccia parte. Se non ne avessi fatto parte, probabilmente non avrei potuto scrivere quello che ho scritto. Il gioco inventa, crea, esplora e rinnova, cambia le carte in tavola, e noi lo sentiamo come un bisogno, visto che anche quando ci allontaniamo dal gioco per qualche giorno, per forza di cose alla prima occasione ci ricaschiamo dentro. Senza il gioco saremmo morti. Non è una dipendenza, ripeto, perché sappiamo stare senza giocare (dobbiamo saper stare senza gioco), piuttosto è un bisogno inconscio che difficilmente può essere spiegato, ma che allo stesso tempo deve essere spiegato, perché non va bene che solo chi ama il gioco possa comprenderlo appieno. L’occasione deve essere data a tutti, perché senza alcun dubbio mi sento di dire che rivendicare il diritto al gioco è uno dei modi migliori di vivere la vita.

Matteo Roberti