“The hateful eight”: noia e didascalismo nell’ultimo film di Quentin Tarantino

Da Le iene all’ultimo Django unchained, passando per Sergio Leone, John Ford, John Carpenter, con The hateful eight Quentin Tarantino mette in scena il suo film più spocchiosamente citazionista. Dei personaggi ben caratterizzati ma intrappolati in una storia semplice, ripetitiva e fin troppo esplicativa. Di impronta teatrale, ambientato per quasi tutte le sue tre interminabili ore in una locanda (l’emporio di Minnie) che rimanda al loft de Le iene, l’ultimo lavoro di Tarantino è anche teatro dell’assurdo e teatro di carneficine tra humor nero, splatter, black comedy, western (anche se “da camera”).

The hateful eight segue il filone storico-politico cominciato con Bastardi senza gloria e portato avanti con Django unchained. Tra i temi centrali della pellicola ci sono infatti l’odio, il razzismo e la rivalità tra nordisti e sudisti (il film è ambientato pochi anni dopo la guerra civile americana).
Partendo da questi sentimenti il cineasta postmoderno di Knoxville ha messo su un film incentrato sull’inganno, i personaggi mentono e si danno dei bugiardi a vicenda, mentono innanzitutto sulle loro identità e di conseguenza sono costretti a mentire su tutto il resto per nascondere e difendere la verità. Non tutti però lo fanno, e il Generale Sanford Smithers (come anche suo figlio, forse) ne pagherà le spese. Il primo bugiardo è il Maggiore Marquis Warren (Samuel L. Jackson) che probabilmente mente anche nel narrare la storia che vede protagonista il figlio del Generale (Bruce Dern), non a caso viene messa in scena come se fosse uno sketch, un piccolo film nel film.

The hateful eight è un film che porta avanti per tre ore le stesse tematiche con dialoghi insistenti che finiscono drasticamente per annoiare lo spettatore. Quest’ultimo infatti non riesce a trovare uno sfogo alla tensione che non viene sostenuta dalla sceneggiatura ma solo dalla bravura di un cast eccezionale. Inoltre risulta troppo lunga e ripetitiva la sequenza iniziale, cosa che si riversa a dosi più moderate nel corso dell’intero film che cade anche nel didascalismo, si pensi alla sequenza delle “quattro ore prima” (dell’inizio del film) in cui viene svelato tutto, quasi un affronto nei confronti dello spettatore.

La regia risulta piuttosto stantìa nell’accompagnare la sceneggiatura, e le musiche originali di Ennio Morricone, inspiegabilmente premiate con il Golden Globe, non sembrano in realtà così originali. Queste infatti ricordando molto non solo le colonne sonore composte dai Goblin per Dario Argento ma anche la musica di Philippe Sarde per L’inquilino del terzo piano di Polanski e le composizioni di Bernard Herrmann per i film di Hitchcock, tra cui Psyco in primis, oltre a risentire fortemente delle “influenze” di Sergej Prokofiev e Richard Strauss.

Voto: 5 ½

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