Quando il calcio è della gente

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con il presidente della Pro Appio per saperne di più sul calcio popolare. Siamo andati per scroccare un caffè e invece ci è stato fatto il dono di venti minuti di essenza dello sport

 

Come nasce questa iniziativa?

Nasce dall’esigenza di riconoscersi e fare aggregazione. L’aggregazione nello sport è la cosa più facile da fare in una città come Roma. Una città che mangia calcio e respira calcio. Con il pretesto del calcio, fare aggregazione giovanile, pensiamo sia la cosa più semplice. L’iniziativa infatti parte da persone non esperte di calcio ma sicuramente appassionate. Questa passione infatti è quella che ci ha portato a fondare una squadra di quartiere, visto che a Roma è importante l’identità di quartiere e l’appartenenza. Qui ad esempio siamo all’ Appio Latino e basta spostarsi di poco in modo che ogni quartiere manifesti la propria identità andando a creare questo campanilismo.

Cosa portate voi al quartiere e cosa porta il quartiere a voi?

Il progetto era quello di portare avanti una sorta di azionariato popolare e di fare quindi calcio popolare facendo leva sull’identità di quartiere. Ci aspettiamo un ritorno non tanto di tifoseria ma di attaccamento alla maglia, che è lo stesso che i tifosi chiedono ai grandi club. Quindi cerchiamo di sensibilizzare il piccolo commerciante in modo che porti i figli a vedere la partita il sabato e di portare da noi ragazzi che altrimenti sarebbero in ambienti complicati e fuorvianti. Questo è un obiettivo raggiungibile quando nella struttura societaria della squadra ci sono regole forti che trasmettano ai ragazzi l’etica sportiva, ad esempio se un giocatore prende il cartellino rosso e la giornata di squalifica gli viene assegnata da noi una multa o una penalità perché il cartellino rosso non lo deve proprio prendere. Il progetto va avanti da nove anni e abbiamo organizzato molte iniziative con l’obbiettivo di creare una rete per cui l’idraulico che tifa Pro Appio va a mangiare all’osteria di chi tifa Pro Appio. Unendo questo all’autotassazione della squadra si crea l’azionariato popolare.

Visto che siamo un po’ ignoranti ci descrivi “azionariato popolare” a parole tue?

Sicuramente non abbiamo a che fare con la borsa e quel tipo di azioni. Per azioni si intende sensibilizzare le persone portandole a compiere piccole donazioni o comunque gesti di partecipazione al benestare del quartiere, creando un senso di socialità all’interno di una società sportiva e facendo in modo che vi si rispecchi l’appartenenza al quartiere. Il nostro direttore sportivo, ad esempio, ha delle palestre e si è candidato spontaneamente tempo fa come preparatore dei portieri prima di entrare nell’organigramma societario. Da quando si è affacciato alla nostra realtà ha dato la possibilità di andare in palestra a dei ragazzi che non potevano e già da prima assumeva ragazzi laureati allo IUSM. E’ stato lui a presentarci l’attuale preparatore atletico dei portieri. Allo stesso tempo io che sono un ristoratore porto dei miei giocatori a lavorare con me qualche giorno a settimana. In generale l’obiettivo è quello di stringere il quartiere in una comunità.

Quindi è proprio questo l’obiettivo del calcio popolare?

I nostri obiettivi sono più quelli rivolti al sociale che quelli sportivi considerando anche che, ovviamente, più si sale di categoria più salgono i costi. Di conseguenza ci attiviamo per compiere diverse iniziative sociali. Ad esempio siamo stati nelle zone terremotate a dare il nostro contributo oppure siamo stati al carcere di Rebibbia dove abbiamo consegnato del materiale sportivo. Quella più strettamente sportiva, a cui sono anche molto affezionato, è stata diversi anni fa con lo Sheffield United in Inghilterra. Chi ama il calcio sa che lo Sheffield è stato nel 1857 il primo club calcistico del mondo. Gli ho mandato una e-mail in cui ho descritto il nostro calcio e il modo in cui lo viviamo dicendo che abbiamo notato negli stessi fondatori del calcio il bisogno e la voglia di fare socialità che abbiamo noi. Ci hanno risposto dopo venti minuti. Pensate se mandavo una e-mail al Milan… (tutti e tre ridiamo) Ci hanno invitato ed abbiamo partecipato all’iniziativa “Bus for Africa” mandando parecchie paia di scarpe da calcio. Qui la vittoria è stata doppia visto che ho portato con me in Inghilterra tre ragazzi ex detenuti mai stati fuori dal raccordo anulare. Un altro aneddoto a cui tengo molto è quello di un ragazzo siciliano che è il giocatore più forte che abbia mai visto ma non aveva il diploma. Lo abbiamo sospeso e gli abbiamo detto di tornare maturato. Si è ripresentato a giugno dopo aver conseguito la maturità. Questa è la mia Champions League.

Forse è irrealistico, ma se fosse possibile vi piacerebbe partecipare alla Coppa Italia?

So che negli altri paesi l’organizzazione delle coppe nazionali è più ampia di modo che partecipino tutte le squadre, ma qui da noi la Coppa Italia va dalla Serie A alla Lega pro e poi ci sono quelle apposite per le categorie inferiori. E poi anche se fosse possibile immagino che sarebbe complicato a livello di costi. Diciamo che, come spesso accade, non sei aiutato. Noi andiamo avanti senza sapere se l’anno prossimo riusciremo ad iscriverci perché io posso organizzare qualche cena e i giocatori possono autotassarsi, ma ovviamente un piccolo commerciante non ha un ritorno economico così grande e quindi diventa difficile pagare l’iscrizione e quant’altro. Combattiamo per andare avanti in un calcio dilettantistico che, facendo una denuncia spicciola, si basa sul nero e sul riciclaggio. Ci sarebbero enti come il credito sportivo ma non ti aiutano. Noi non abbiamo nemmeno un campo fisso ma ci adattiamo di volta in volta anche spostandoci dal quartiere, complicando le cose a chi ci vuole seguire.

Come nascono le iniziative benefiche?

Le iniziative nascono sempre dal cuore e cerchiamo di essere più attivi possibili per quelle che sono alla nostra portata. Anni fa abbiamo partecipato all’iniziativa “Dai un calcio alla droga” insieme a delle scuole calcio per sensibilizzare i ragazzi sul tema della droga che oggi è molto complicato. Sono convinto che aggregando persone e sentimenti si può arrivare ovunque. In squadra abbiamo avuto ex detenuti che magari sono nati e cresciuti in realtà complicate, ma se riesci a sensibilizzare il ragazzo sul tema della droga gli rendi noto che può spendere il pomeriggio nell’allenamento piuttosto che delinquere. Vai a salvare una vita e forse anche due in più visto che intorno c’è una famiglia che soffre.

Ringraziamo il presidente Claudio Valentini per il tempo dedicatoci e auguriamo alla squadra un in bocca al lupo per tutti i traguardi sportivi e non che si prefissa.