Circa due anni fa eravamo qui a parlare della sofferta e faticosa chiusura degli Opg (ospedali psichiatrici giudiziari), dai quali sarebbero dovute nascere, in sostituzione, le Rems. A distanza di due anni qual è la situazione?
Com’è noto il 31 marzo del 2015 sugli Opg sarebbe dovuto definitivamente calare il sipario, per non riaprirsi mai più. In realtà però non è andata esattamente così. Barcellona Pozzo di Gotto, in Sicilia, e Montelupo Fiorentino, in Toscana, sono i due Opg ancora in funzione che secondo le ultime dichiarazioni del Commissario unico Franco Corleone, incaricato di monitorare la situazione e portare a termine il processo, dovrebbero chiudere i battenti in questo mese di gennaio. L’orizzonte di gennaio/febbraio è più auspicabile, però, che reale. Le criticità sono ancora molte ma intanto il tempo stringe e il mandato del commissario si avvicina alla scadenza, fissata al 19 febbraio. Se tutto va liscio Corleone riuscirà a portare a termine la sua missione chiudendo i due Opg e collocando i pazienti nelle Rems, ma si pone poi la questione di chi seguirà il processo di applicazione della riforma dopo questi passaggi.
La complessità della situazione emerge con chiarezza dall’ultima relazione del commissario, di novembre 2016. Gli obiettivi prefissati e dai tempi programmati sono ancora disattesi, la fine di questa crudele realtà non è ancora del tutto archiviata e nemmeno sostituita. “Siamo ancora in mezzo al guado – ha detto Corleone nella relazione – anche se vicini alla riva”. Ad ottobre 2016 le persone internate nei due Opg ancora aperti sono 26 e le misure di sicurezza in attesa di essere eseguite sono 241, 176 provvisorie e 65 definitive. “Dare esecuzione a queste misure di sicurezza – si legge nella relazione – comporterebbe l’esplosione del sistema. Rimane il problema della separazione degli imputati dai condannati che, pur essendo un principio di tutela valido in generale per tutte le persone private della libertà, nel caso di persone con problemi psichiatrici non viene rispettato. Il risultato è che nella stessa struttura vi è una commistione di soggetti con una situazione, medica e giuridica, diversa”.
Gli internati nell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto sono tutti siciliani che attendono in questi mesi l’apertura di un secondo modulo di Rems a Caltagirone per essere trasferiti. Anche in Toscana i pazienti ancora dentro all’Opg di Montelupo Fiorentino sono in attesa della nuova Rems che dovrà essere aperta in regione, mentre lo stesso Opg ospita anche tre pazienti liguri che aspettano l’apertura della Rems a Genova. Ognuno dei pazienti dovrebbe infatti essere accolto in strutture collocate nella stessa regione della commissione del reato, coincidente nella maggior parte dei casi alla regione di domicilio, in base al principio di territorialità. Tuttavia, si legge nella relazione, sono ammesse eccezioni nell’interesse del paziente. Non ammesse invece eccezioni dovute a “carenze strutturali” che, come spiega la relazione, si verificano specialmente a spese delle donne: “sarebbe utile anche ricordare che il principio della territorialità non viene quasi mai rispettato per le donne. In molte Rems, infatti, non vi è ad oggi la possibilità di ospitare donne e di conseguenza ci si trova costretti ad assegnarle alle poche strutture disponibili ma che spesso sono lontane dalla loro Regione di provenienza. Sarebbe indispensabile, che il principio di territorialità fosse violato solo ed esclusivamente nell’interesse della paziente e non per carenze strutturali”. La relazione fa inoltre riferimento alla possibilità di prevedere nuove Rems miste, con la presenza di pazienti uomini e donne, come accade in molte Rems d’Italia.
In attesa dell’apertura delle ultime tre Rems, la capienza delle strutture presenti sul territorio nazionale è di 624 posti in confronto a 603 pazienti ricoverati (al mese di novembre 2016). “Il fatto che delle persone vengano anche dimesse dalle Rems è un segnale positivo che porta a pensare che queste residenze siano delle strutture tendenzialmente aperte e, contrariamente agli Opg, non prevedono una presenza senza fine, con quella tragica pratica che era definita come ergastolo bianco” ha sottolineato Corleone nella relazione. Ma è importante che le Rems siano davvero quei luoghi di riabilitazione che dovrebbero essere, adottando un carattere meno carcerario possibile. Luoghi dove sia garantità la dignità delle persone, prevedendo delle risorse “in particolare per gli ospiti senza risorse economiche e senza pensione di invalidità, garantendo, tra le altre cose, dei mezzi per sostenere l’attività di laboratori”. Una soluzione, si legge nella relazione potrebbe essere la concessione di borse lavoro “che aiuterebbero il processo terapeutico e farebbero crescere l’autostima. Ora, invece, sono gli stessi operatori a farsi carico delle necessità minime con una disponibilità meritoria ma che non può costituire la soluzione al problema. Bisogna sempre tenere in considerazione, infatti, che le Rems non sono degli ospedali con persone allettate ma devono essere intesi come una comunità per ripensare la propria vita, rivalutando il passato e progettando il futuro”.
Un’altra importante questione è quella relativa alla presenza effettiva, nelle carceri, di reparti specializzati dove si possa rispondere alle esigenze di cura di persone con infermità psichica. Le sezioni speciali carcerarie sono previste dall’Ordinamento penitenziario ma anche dal DPCM 1° aprile 2008 e nei successivi accordi della conferenza Stato-Regioni: provvedimenti che stabiliscono che gli interventi diagnostici e terapeutici siano assicurati dai dipartimenti di salute mentale del territorio. Tuttavia, si sottolinea nella relazione “bisognerà in tutti i modi evitare la creazione di piccoli manicomi, così rischia di avvenire nelle carceri di Reggio Emilia e Barcellona Pozzo di Gotto dove vi è una elevata concentrazione di detenuti psichiatrici con uno scarsissimo rispetto del principio di territorialità”.
Un aspetto significativo che ha alimentato ritardi e una cattiva gestione della situazione è stata la mancata efficienza e la poca responsabilità da parte di chi se ne sarebbe dovuto occupare, cioè le Regioni, che hanno sottovalutato la questione. Il loro compito sarebbe dovuto essere quello di presentare, insieme alle ASL, un programma di riabilitazione singolo per ogni paziente, diverso da caso a caso, studiando con attenzione le situazioni per ogni individuo e la definizione di regole ben precise da seguire. Inoltre si sarebbero dovuti attrezzare per queste persone dei posti in cui poterle curare, seguire e custodire, come case di cura, reparti psichiatrici e strutture sanitarie. Tutto questo a oggi sarebbe dovuto già esistere e sarebbe stata la fine di tante atrocità e cattiverie subite da tanti pazienti negli Opg.
Ad oggi si sarebbe già dovuta compiere quella che secondo molti è la seconda rivoluzione psichiatrica in Italia dopo quella di Basaglia. Invece siamo ancora qui a parlarne come di un fatto non ancora del tutto compiuto. Quello che noi sappiamo, come ben ci ha insegnato lo stesso Basaglia, è che bisogna faticare e lottare e spesso la lotta è dura e lunga. Speriamo che anche stavolta la lotta porti i suoi frutti, proprio come fu nel ’78, dopo anni e anni di duro lavoro.
Anita Picconi
Maria Carla Sicilia
Foto di Giorgio Raffaelli | Flickr |CCLicense