Deontologia attiva nella professione psicologica

Il termine “etica”1. Viene introdotto nel pensiero filosofico da Aristotele per indicare quella branca della filosofia che studia i criteri in base ai quali l’uomo valuta e sceglie i propri comportamenti. Tali criteri, secondo l’autore, coincidono con il bene per il singolo, un bene pratico, diverso dal bene Assoluto di Platonica memoria, calato nella realtà e nell’agire dell’uomo che si risolve nell’esercizio della ragione e nella ricerca dell’eudaimonia: la felicità come fine ultimo della vita dell’uomo. Tale felicità finisce comunque per assumere un carattere ontologico e una validità universale e astorica. Questa concezione atemporale verrà successivamente criticata da tutti quegli autori (come Marx, Hegel e Nietzsche) che legano indissolubilmente le concezioni etiche alle coordinate storiche e sociali di una determinata epoca.

L’uomo è immerso in un rapporto di interdipendenza con il suo ambiente che ne influenza i comportamenti e ne determina le scelte come prodotto di conflitti e adattamenti continui tra l’uomo e l’ambiente (fisico, storico, sociale). La relazione con l’altro e con l’ambiente diventa oggetto di studio privilegiato di una nuova etica, intesa come regolatrice di relazioni umane, sempre più complesse e codificate da norme specifiche da rispettare nell’incontro con l’altro, che sia di tipo amicale, professionale o sociale. In quest’ottica la morale (dal latino mos, costume) si configura come una “bussola” per orientarsi tra ciò che è considerato “bene” o “male”, in virtù dei diversi stili di vita e di comportamento (ai costumi) di una determinata società. 

Come per l’etica, anche per la morale non può darsi una definizione statica, definitiva, a priori: essa è specifica, è prodotto storico, sempre soggetta al cambiamento e alla soddisfazione di esigenze storicamente determinate da ogni società, ma anche la risultante delle tensioni e delle modificazioni all’interno delle stesse. L’etica, pur nella sua specificità storica e temporale, ha carattere universale perché, come afferma Frati “cerca di comprendere e definire i criteri in base ai quali è possibile valutare le scelte e le condotte degli individui e dei gruppi, nonché le caratteristiche e i contenuti delle dinamiche sociali nel corso dei quali si definiscono e si ridefiniscono, in un continuo processo di verifica e di aggiustamento interno a ogni individuo e degli individui tra loro, i valori, i principi e le regole cui si richiamano i singoli e i gruppi”

2. Una maggiore specificità acquisisce in tale contesto una definizione preliminare della deontologia, che si configura come insieme di valori, principi, regole e buone prassi che assumono valore normativo nello svolgimento di una data professione, cui aderiscono tutti quei professionisti che sono chiamati a operare ispirandosi e rispettando tali norme. Esse sono il prodotto e la risultante della cultura dominante in una specifica professione, sono anch’esse soggette al cambiamento, specifiche e storicamente determinate, sono espressione delle finalità e dei principi ispiratori propri della professione. In quest’ottica, il “codice deontologico” diventa strumento che definisce le “norme deontologiche”, ossia le norme di condotta da rispettare nell’esercizio di una specifica professione, o per usare le parole di Frati, quelle norme giuridiche che “regolano un’attività professionale nei suoi aspetti etici”

3. Il codice deontologico degli psicologi italiani consta al suo interno sia di norme “imperative” – talune sanciscono determinati divieti, mentre altre definiscono gli obblighi -, sia di norme “permissive” – che indicano la possibilità di praticare attività o assumere comportamenti senza che questi diventino obbligatori. 

Il Codice è costituito da 42 articoli suddivisi in 5 gruppi tra loro omogenei definiti “Capi”: 

  • Capo I: “Principi generali” è costituito dai primi 21 articoli;  
  • Capo II: “Rapporti con l’utenza e con la committenza”: raggruppa i successivi 11 articoli (dal 22 al 32); 
  • Capo III: “Rapporti con i colleghi”, è composto da 6 articoli, (dal 33 al 38); 
  • Capo IV: “Rapporti con la società”, è costituito da 2 articoli (il 39 e il 40); 
  • Capo V: “Norme di attuazione” comprende gli ultimi due articoli (il 41 e il 42). 

Le quattro finalità ispiratrici del Codice (Tutela del cliente; Tutela del professionista nei confronti dei colleghi; Tutela del gruppo professionale; Responsabilità nei confronti della società) sono presenti al suo interno con una struttura definibile “a macchia di leopardo”. Calvi sostiene che alla base del codice deontologico vi siano oltre alle quattro finalità ispiratrici, anche quattro imperativi-guida, necessari all’attività professionale dello psicologo: 

  • Meritare la fiducia del cliente; 
  • Possedere una competenza adeguata a rispondere alla domanda del cliente; 
  • Usare con giustizia il proprio potere; 
  • Difendere l’autonomia professionale 

4. Nel documento “Linee guida di deontologia professionale nei percorsi di selezione e valutazione del personale”, approvato dal Consiglio Regionale dell’Ordine degli Psicologi del Lazio in data 19 luglio 2001, vengono evidenziati sei valori e principi professionali: integrità, competenza, rispetto dell’altro, autonomia, responsabilità, cura dell’altro. 

Confrontandoli con i quattro principi enunciati in precedenza, emerge una centralità del concetto di responsabilità, che diventa fondamentale nell’esercizio dell’etica professionale, soprattutto nella sua dimensione attiva. Tale concetto attraversa longitudinalmente il codice e lo ritroviamo nello specifico negli articoli, 1, 2 e 3. Ne deriva che diversi autori, tra i quali Frati F., propongono sei e non quattro imperativi deontologici: 

  • Rispetto della persona umana; 
  • Responsabilità (individuale, professionale e sociale); 
  •  Integrità; 
  • Autonomia professionale;
  • Competenza; 
  • Promozione del benessere individuale e sociale. 

Tali imperativi deontologici si traducono nelle competenze specifiche che un professionista psicologo è tenuto a possedere ed esercitare nella sua professione. Tuttavia non risulta essere sufficiente conoscere tali norme limitatamente al piano “cognitivo” per rispondere efficacemente a tutte le richieste che il vigente codice deontologico degli psicologi italiani avanza ai suoi iscritti. Una cultura adempitiva alla norma non rende giustizia e non soddisfa l’istanza ultima, nodale contenuta  nell’art. 3 che afferma: “Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità”

5. La scelta del verbo promuovere all’interno di tale norma, definisce inequivocabilmente la dimensione attiva nell’esercizio della professione, che non può considerarsi soddisfatta attraverso la mera “non-violazione” delle norme contenute nel relativo codice, ma si caratterizza per la sua propositività: azioni propositive, finalizzate all’affermazione del benessere psicologico delle persone; motivazioni personali e professionali coerenti con il raggiungimento di tale obiettivo. Come afferma brillantemente Maria Teresa Desiderio: “è veramente troppo poco che uno psicologo, per il senso etico della sua professione, sia chiamato solo a non…, a non offendere…, a non attentare alla dignità umana e non invece ad azioni propositive come per esempio a rappresentare ed a contribuire alla dignità umana, nei limiti delle sue possibilità ed all’interno della sua professione. Sicuramente tutti gli psicologi sono impegnati concretamente in tal senso, ma quella che è un’opzione personale dovrebbe diventare un valore e d un dovere professionale, un caposaldo dell’etica e della deontologia della categoria”

6. Coerentemente con il pensiero dell’autrice, si rende necessario operare un’ulteriore distinzione tra l’etica passiva, caratterizzata da una logica puramente prescrittiva e un’etica attiva, qualitativamente superiore alla precedente, finalizzata all’azione e alla promozione del benessere psicologico. Tale deontologia attiva risulta essere centrale e irrinunciabile in quelle professioni dove la “promozione della salute” rappresenti il fine ultimo di tutte le attività, indipendentemente dagli ambiti in cui il professionista è chiamato a operare. L’etica attiva comporta che ogni psicologo interiorizzi l’esigenza di “contribuire al bene”, la integri nel proprio bagaglio professionale e nel proprio quadro di riferimento teorico.

Tale cambio di paradigma permette di superare la concezione della deontologia, come qualcosa cui adempiere o come insieme di norme da non-violare, ma “si trasforma in attività fatta di azioni e parole” finalizzate alla promozione e al raggiungimento del benessere individuale e collettivo. In quest’ottica si restituisce alla professione psicologica la sua dimensione politica, rimettendo al centro dell’azione la promozione della salute, in ottica bio-psico-sociale, non come assenza di patologia ma come benessere fisico, psicologico e sociale. 

 

Bibliografia 

 

Aristotele. Etica Nicomachea. Roma: LaTerza, 1983. 

Calvi, E. «Le linee guida del Codice Deontologico.» Di E. Calvi e G. Gullotta, Pagg. 19-22. Milano: Giuffrè, 1999. 

Codice deontologico degli psicologi italiani | Consiglio Nazionale Ordine Psicologi.  

Desiderio, M. T. «Etica e promozione della salute.» In Il soggetto psicologo e l’oggetto della psicologia nel Codice Deontologico degli Psicologi Italiani, di Paramentola C., pagg. 22-25. Milano: Giuffrè, 2000. 

Frati, F. «La deontologia come parametro di qualità nell’esercizio della professione di psicologo.» Bollettino d’informazione dell’Ordine degli Psicologi dell’Emilia Romagna n. 3, 2002. 

Frati, F. «Il codice deontologico degli psicologi italiani commentato articolo per articolo» Milano: Giuffrè, 1999. 

OMS. «Carta di Ottawa.» 1986. 

 

Alessandra di Nucci – Psicologi in Ascolto 

 

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