Dipendenze da sostanze

Tra isolamento e sviluppo dei rapporti

Quando ci si riferisce alla dipendenza da sostanze, il senso comune attribuisce a questa fenomenologia una dimensione individuale a cui è associato un inscindibile giudizio morale. Nell’immaginario collettivo l’abuso di sostanze non viene considerato un problema di rilevanza sociale, relazionale: la dipendenza appare come una caratteristica del singolo tossicodipendente, una malattia da eliminare o una propensione criminale. Ma è proprio la prospettiva dalla quale si guarda a questo problema che può determinare la possibilità di renderlo pensabile, comprensibile, da questa si definirà l’intervento: se il problema d’abuso sarà interpretato come un male individuale l’obiettivo ricercato sarà l’eliminazione della dipendenza del singolo. L’intervento sulla tossicodipendenza proverà a fare leva su dimensioni individuali – per esempio la forza di volontà o l’autostima – per eliminare in tutti i modi il comportamento deviante, sbagliato.

Gli interventi di questo tipo, però, sono in genere fallimentari perché chiedono al paziente di estirpare, allontanare il problema, senza aiutarlo a esplorare e a tollerare il senso che ha, che ha avuto, per la propria vita, nei contesti di vita in cui si è manifestato. Si prova a ridurre il comportamento dipendente intervenendo sul sintomo, senza occuparsi di quanto questo sia in rapporto con le proprie relazioni affettive significative, con la propria storia professionale, i desideri e la difficoltà a sviluppare un senso di appartenenza a una comunità.

Potremmo considerare i comportamenti di dipendenza come il prezioso marker di un disagio a stare nei rapporti altrimenti difficilmente esprimibile, una manifestazione trasgressiva di inquietudine che chiede di essere vista. Le conseguenze di alcuni comportamenti d’abuso, però, possono compromettere in modo talmente invalidante la vita di chi assume e delle persone che lo circondano da impedire di ampliare la prospettiva del problema. Può sembrare impossibile interrogarsi sui significati a esso connessi, tanto ingombranti sono in certi casi gli aspetti sintomatici. Le consapevolezze che si possono costruire attorno al problema sono inoltre minate dall’alterazione cronica dello stato psicofisico.

Il riconoscimento di un problema che si vuole capire più a fondo e l’impegno a rivolgersi a un professionista a partire dalla consapevolezza che non ci si può orientare da soli, costituiscono importanti premesse per trattare queste dimensioni. Per il tipo di complessità che richiede l’intervento è importante avvalersi di diverse figure professionali e servizi appositi e spesso è proprio questo il primo scoglio da superare per chi comincia a pensare di intraprendere questo percorso. Affidarsi a un professionista, un servizio, un’istituzione pubblica come il Ser.D., è difficile perché spesso il problema della dipendenza è associato alla difficoltà a costruire relazioni di fiducia e al rifiuto di alcune norme sociali che istituzioni come il Ser.D. sembrano incarnare. Se le sostanze sono un efficace filtro per tenersi a debita distanza dalle emozioni perturbanti scaturite dall’incontro con l’altro, il comportamento d’abuso può comunicare il disagio di abitare un contesto – familiare, professionale, territoriale – attraverso la provocazione ai rapporti e il tentativo di trasgredire alcuni dettami, ponendosi oltre i confini di ciò che è lecito. La rinuncia alla sostanza d’abuso può essere sofferta perché identificata come la rinuncia alla parte di sé che, per esempio, ha sempre rifiutato di conformarsi a un sistema di regole, adeguarsi a un contesto sociale nel quale non  si è riconosciuta, che ha rifiutato o dal quale si è sentita rifiutata.

Alcuni tipi di intervento psicologico possono risuonare come un giudizio morale quando perseguono la finalità di eliminare l’abuso di sostanze senza passare per l’indagine sui significati di quella manifestazione comportamentale. Quando la diffidenza portata dai pazienti incontra, entro i servizi, questo tipo di approccio, diventa difficile per la persona che ha problemi di abuso rinunciare a quel comportamento, proprio in virtù del fatto che è sollecitata ad abusare a partire dalla difficoltà e dal rifiuto a riconoscersi entro le regole del gioco dei contesti dai quali si è sottratto.

Diversamente, pensare a dare senso a quanto accade nel “qui e ora” della relazione terapeutica, occuparsi per esempio della diffidenza che può caratterizzare quegli incontri, permette al paziente di mettere in discussione le dinamiche ripetitive e stereotipate che ripropone nelle relazioni sociali del ”là e allora” e che sono in rapporto alla dipendenza. Lo studio psicologico diventa il contesto nel quale si sperimentano modi alternativi di stare in rapporto con l’estraneità, modi che non necessitano del filtro della sostanza per confrontarsi.

Mentre si costruiscono nuove consapevolezze sulle proprie emozioni, è importante non trascurare, nei casi in cui l’abuso di sostanze presenta tratti di dipendenza cronica, gli aspetti connessi alla dipendenza fisica e alle conseguenze di tipo psichiatrico che in alcuni casi si associano all’abuso prolungato di sostanze psicotrope. Al Ser.D. (Servizio per le Dipendenze, già Servizio per le Tossicodipendenze) è presente un’equipe multidisciplinare costituita da psicologi, medici, assistenti sociali, psichiatri che si occupa, in fase di accoglienza, di prendere in carico le richieste dei pazienti al fine di delineare un percorso di intervento personalizzato. Gli psicologi si occupano di valutazione e diagnosi dei disturbi di dipendenza e di eventuali altre problematiche psichiche, in sinergia con gli psichiatri, qualora se ne valuti l’opportunità. I medici, attraverso visite e accertamenti diagnostici, delineano i piani terapeutici farmacologici. Gli assistenti sociali lavorano assieme all’equipe per stilare progetti che facciano un’analisi dei bisogni verificabile in itinere lavorando in rete con altri servizi ed enti locali.

La fase di accoglienza è finalizzata alla cura e alla riabilitazione dei problemi da dipendenza ma non sempre il servizio pubblico, da sempre sottodimensionato rispetto all’utenza di cui si deve occupare, è in grado di garantire costanza negli interventi. Per questo è importante la continuità tra il Serd e i servizi di psicoterapia privata, nel caso in cui sia utile attivare entrambe queste risorse.

Presso lo studio privato terapeuta e paziente possono pensare le implicazioni che il fatto di rivolgersi a servizi pubblici come il Serd e il Centro di Salute Mentale può comportare. Si possono esplorare le emozioni suscitate da questo incontro, prefigurarne gli aspetti di limiti e risorsa, interrogarsi su che cosa significano per la persona in consulto.  La dimensione dello studio non è infatti una bolla isolata entro la quale si possono risolvere i problemi di dipendenza tenendo fuori il confronto con le relazioni. Attraverso il lavoro psicoterapeutico si promuove la partecipazione ai contesti, laddove ve n’è desiderio o si riconosce un interesse a starci, trovando modi nuovi di abitarli che tengano conto delle consapevolezze maturate. Tra la pedissequa adesione alle regole e l’impossibilità di riconoscervisi, si riscoprono una gamma di opzioni variegate che svelano che sentirsi partecipi e quindi costruttori di quegli stessi contesti è possibile. 

Concordare questo tipo di obiettivi della terapia e monitorarli è un lavoro che richiede un investimento, un tempo e uno spazio che la psicoterapia presso lo studio consente di dedicare. Si tratta di una proposta che si differenzia dagli altri servizi offerti dal pubblico, andando a integrarsi con gli interventi proposti in queste sedi. Occuparsi di tossicodipendenza per trattare non tanto le sostanze quanto le relazioni.

 

Angela Pizzi – Psicologi in Ascolto

 

Bibliografia

Carli, R. (2019). Rivalutiamo l’anomia [Let’s reconsider anomie]. Rivista di Psicologia Clinica, 14(2),7-20.

Pizzi, A., Avilloni, K., Passavanti, D., Zanfino, S., Zecca, F., & Zorzi, M. (2019). Enti del terzo settore per le tossicodipendenze e intervento psicologico clinico: Premesse, problemi e risorse [Third  sector  bodies  for  drug  addiction  and  clinical  psychological  intervention:  Premises, problems and resources]. Quaderni di Psicologia Clinica, 7(2),5-27

 

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