Il gruppo nel calcio come dodicesimo uomo in campo
L’11 luglio, la Nazionale Italiana di calcio vince gli Europei 2021 al Wembley Stadium di Londra, davanti a 60mila spettatori. Gli Azzurri di Mancini conquistano un trofeo che mancava dal 1968.
Il commissario tecnico e la squadra italiana, per ironia della sorte, battono l’Inghilterra proprio utilizzando una strategia che, il 2 maggio 2016, con tre giornate d’anticipo, consacrò la squadra del Leicester City: Campione d’Inghilterra per la prima volta.
Partendo dall’osservazione di ciò che è successo prima in Inghilterra e poi in Italia, vi offro le mie riflessioni sul come mai queste due squadre, apparentemente così diverse, abbiano centrato l’obiettivo. Utilizzo per l’esposizione, il caso del Leicester City, ritenendolo particolarmente interessante dal punto di vista psicologico.
È stato un miracolo o il risultato di un gruppo che lavora bene e ha una leadership efficace?
Il giorno della vittoria “sulla carta”, la squadra non è in campo, ma i video dei giocatori che festeggiano la vittoria a casa di Vardy (attaccante del Leicester City e della Nazionale inglese) diventa virale. L’allenatore delle Foxes (volpi, soprannome della squadra), il mister nostrano Claudio Ranieri è orgoglioso del successo del gruppo e della sua leadership: «i giocatori hanno dato cuore e anima, è il modo in cui giochiamo.» Tutti i giornali del mondo parlano di: “caso”, “miracolo”, “impresa” e, in effetti, a dicembre del 2015 il Leicester aveva già registrato un record:
«era diventata l’unica squadra nella storia del campionato inglese ad essere prima in classifica esattamente un anno dopo essere stata ultima.» Molti articoli sottolineano il ritorno alla speranza e al riscatto dei più umili, una vittoria per tutti, non solo per i tifosi del Leicester City: «ed è per tutti questi motivi che dovremmo essere grati a Claudio Ranieri e al suo Leicester. Perché, più di tutto, ci sta facendo tornare la passione che credevamo di aver perso. Sta facendo in modo che possiamo tornare a credere alle favole e ai miracoli. Anche in un calcio in cui i soldi, il business e i bilanci, più che il campo, decidono i campionati.»
La mia mente inizia a fare delle riflessioni al riguardo.
Cosa rende l’impresa del Leicester così straordinaria? Parliamo di un caso o è il risultato di un lavoro certosino sul collettivo e sulla psicologia dei singoli giocatori da parte di un allenatore attento e riflessivo? Da psicoterapeuta e da persona che crede moltissimo nella forza del gruppo, non solo quello con finalità terapeutiche, e nelle buone pratiche di leadership, ho deciso di scrivere questo articolo, in cui cercherò di esporre quelle che, secondo il mio punto di vista, rappresentano le possibili “cause” di questo successo.
Il gruppo è qualcosa di più e di diverso della somma dei suoi singoli elementi
Kurt Lewin scrive che il gruppo deve essere considerato non come la somma delle sue parti ma come il risultato delle interazioni tra i suoi membri.
Prendendo in prestito la terminologia calcistica e seguendo la riflessione di Lewin, il gruppo rappresenterebbe il dodicesimo uomo in campo e avrebbe caratteristiche proprie e irripetibili, non direttamente collegate alla fantasia, al talento e alla forza dei singoli “campioni”.
Nella realtà è invece diffusa la convinzione che sia sufficiente mettere insieme più persone, in questo caso calciatori talentuosi, perché queste operino in modo efficace ed efficiente, producendo vittorie e incassando trofei.
Allora perché la squadra del Chelsea, favorita e formata da giocatori di maggior prestigio ed esperienza in Premier League, questa volta non ha vinto? Forse il collettivo ha perso la motivazione, forse le interazioni tra campioni sono difficili, forse ogni giocatore ha interessi personali oppure il mister non è riuscito a gestire la sua leadership in modo vincente, spostandosi su due estremi, troppa rigidità o troppa debolezza?
Francescato e Ghirelli (1977) sostengono che la caratteristica principale di un gruppo è l’interdipendenza dei sui membri al fine di raggiungere un obiettivo comune, condiviso da tutti, uguale ma non identico. È proprio la condivisone di un obiettivo comune tra i partecipanti, che caratterizza i gruppi di lavoro, in cui il soggetto soddisfa il proprio bisogno di sicurezza, di appartenenza e di autorealizzazione.
Il Leicester city ha un obiettivo condiviso
Sia i giocatori che l’allenatore hanno l’obiettivo comune della rivincita. La rivincita su tutti quelli che considerano la squadra perdente, con giocatori dalla vita sregolata e con un allenatore buffo, abituato a perdere e senza idee particolarmente originali. Ranieri è infatti soprannominato dagli inglesi “The Tinkerman” fin dai tempi del Chelsea, perché ritenuto un allenatore costantemente indeciso.
Questi continui giudizi inevitabilmente intaccano l’autostima delle persone colpite. Il non sentirsi sostenuti e apprezzati, trasmette una visione di se stessi che porta a colpevolizzarsi e a limitare le proprie possibilità; riduce il senso di empowerment. E riducendo il senso di autoefficacia, si riducono inevitabilmente le probabilità di affermarsi e di vincere un campionato.
Tuttavia, i calciatori del Leicester City a un certo punto incontrano un allenatore che inizia a credere in loro, che organizza la squadra su obiettivi realistici e coerenti. Inizia a escludere il giudizio e la pressione, introducendo motivazioni quali: «nessuno pretende che si vinca il titolo, pertanto nessuno farà un dramma se questo non accadrà. Significa che la squadra potrà giocare fino alla fine con il massimo della serenità, senza la pressione di un ambiente già ampiamente felice così.»
We want this trophy, we want this dream
E inizia così il processo di crescita. Man mano che le vittorie arrivano il sogno si fa più vero.
I tifosi iniziano a urlare: «vogliamo questo trofeo, vogliamo questo sogno.»
Tutto ciò non è sogno. È il risultato di un duro lavoro sull’autostima e sul gruppo, con la mediazione e l’impegno di un leader autorevole, capace di tirar fuori il meglio da tutti e in grado di dare regole calibrate e coerenti, diffusamente condivise.
Spaltro (1982) infatti afferma che: «lavorare in gruppo non è una capacità innata e/o spontanea dell’uomo ma un particolare tipo di apprendimento. Introdurre l’uso del lavoro di gruppo implica un passaggio a una mentalità nuova, a una cultura alternativa che viene definita “cultura di gruppo” caratterizzata da pluralismo, differenziazione della leadership, coesione e cambiamento. I gruppi di lavoro si riuniscono intorno a un “obiettivo comune ed operativo”, cioè realizzabile grazie all’integrazione e alla collaborazione dei vari membri portatori di competenze diverse».
Il Leicester City, come la Nazionale Italiana, ha vinto in quanto tutti hanno creduto nel gruppo e nel mister, il quale ha saputo attivare nei giocatori il senso di stima per se stessi. Ha insegnato loro a riconoscere il proprio valore, avere fiducia nelle proprie competenze, includendo anche la possibilità di errore. Ed è così che si raggiunge un traguardo.
Io parlerei, quindi, di obiettivo raggiunto e non di miracolo!
Nadia Izzo – Psicologi in Ascolto