Intervista allo psichiatra Denis Parviz che ci parla delle differenze e le analogie tra Tosquelles e Basaglia
Ci può riassumere com’è la cura del disagio psichico in Francia?
La salute mentale in Francia è più legata all’aspetto medico della psichiatria. L’équipe di psichiatri si occupa sia delle terapie ambulatoriali e a domicilio, che delle cure in ospedale per i ricoverati; tutte le attività che riguardano la psichiatria vengono gestite in équipe su tutti i fronti. Una stessa équipe assicura la continuità delle cure nel tempo per la popolazione del settore del quale stiamo parlando. L’équipe è composta da medici, infermieri, assistenti sociali, collaboratori di diverso tipo. La cosa più importante è la continuità delle cure e la loro prossimità per il paziente, la cura ambulatoriale è fondamentale. Ci sono appartamenti supportati come in Italia. Si utilizza molto la cosiddetta mediazione, con fonti alternative a quelle classiche, come l’arteterapia, la musicoterapia, l’ortoterapia, tutti laboratori che si fanno anche in Italia. Il settore psichiatrico è nato dalla cosiddetta psicoterapia istituzionale, e la grande differenza nel settore della psichiatria progressista di Francois Tosquelles e l’antipsichiatria di Franco Basaglia sta soprattutto sulla collocazione e il ruolo che ha l’ospedale nelle cure.
È vero che si pratica l’elettroshock nel caso in cui il paziente dia il proprio consenso?
È possibile, c’è chi lo pratica. Io personalmente non lo pratico e non viene praticato neanche in questo istituto. Nel caso, viene fatto soltanto con il consenso del paziente e in anestesia totale. Però, in generale non è una pratica così diffusa.
Quanto la politica e la società francesi sono sensibili al tema della salute mentale?
È un tema abbastanza costante. Ogni tre, quattro, cinque o sei mesi escono articoli di giornale in cui si legge che la psichiatria francese arranca, e che il servizio non è sufficiente. Ci sono state delle assemblee con dei cittadini e delle associazioni, anche il governo ha cercato di coinvolgere tutti gli attori del contesto, ma mancano gli psichiatri, il loro numero è carente rispetto alla domanda, quindi non si riesce ad affrontare al meglio il tutto. Ci sono mezzi insufficienti rispetto al bisogno, e la situazione è peggiorata negli ultimi anni. Il Covid-19, la crisi climatica, la guerra in Ucraina, tutto questo ha acuito la sofferenza mentale generale, evidenziata anche dal numero di casi in aumento.
Come è organizzato questo ospedale psichiatrico?
Questa struttura è nata nel 1963, e fino agli anni Settanta-Ottanta rifletteva la psicoanalisi e la psichiatria istituzionale. Con il passare del tempo c’è stato un cambiamento, con un approccio che coinvolge maggiormente le attività, tenendo conto della situazione dei pazienti. Non è più una psichiatria istituzionale, ma più vicina a quella di Franco Basaglia.
Avete la figura che noi in Italia chiamiamo “compagno adulto”?
Si sta sviluppando la figura di “una persona alla pari”, si tratta di un ex paziente che ha avuto problematiche mentali, che ha poi conseguito una laurea in queste materie e dà sostegno ad altri pazienti.
La cura si basa di più sulle attività riabilitative o sulla somministrazione dei farmaci?
Dipende dai servizi, dagli psichiatri e dalle équipe. Nel nostro istituto in particolare si tende a dare il meno possibile i farmaci, perché comunque danno anche degli effetti collaterali abbastanza pesanti. Cerchiamo di puntare di più sulle attività sociali, in un percorso più orientato alla relazione con il paziente, più attento ai bisogni della persona. Applicare questo approccio singolo, ma comunque all’interno di un lavoro di équipe quotidiano, sempre molto stretto, aiuta molto i pazienti ma aiuta anche noi medici e operatori in generale. Aiutando i pazienti stiamo meglio anche noi, in un certo senso anche noi ci curiamo.