Una guida pratica alla meditazione basata sulla consapevolezza

Il mio approccio alla pratica meditativa basata sulla consapevolezza ha seguito, inizialmente, un percorso a fasi alterne. È iniziato con un progetto di ricerca riguardante l’efficacia di un protocollo MBSR (Mindfulness Based Stress Reduction) sul benessere durante il periodo pandemico, è proseguito con la partecipazione a un corso di pratica individuale ed è approdato sulle pagine di un libro che affronta le basi della meditazione dal titolo “la pratica della consapevolezza in parole semplici” e del quale mi piacerebbe approfondire in questo articolo alcuni passaggi. L’autore, Henepola Gunaratana, risponde a una domanda comune in una maniera diretta e lontana da astrazioni teoriche: cosa significa meditare e come è possibile farlo? Lo fa entrando nel cuore della pratica di meditazione Vipassana, propria del Buddhismo Theravada, la forma di buddhismo dominante nell’Asia meridionale e nel Sud-est asiatico. L’autore, in prima battuta, distingue la meditazione Vipassana dalla meditazione Samatha, alla base della maggior parte delle forme di meditazione, e ne sottolinea una caratteristica che aiuta a comprendere come la meditazione possa costituire uno strumento d’aiuto nella pratica clinica: l’osservazione della componente del pensiero. Mentre Samatha può essere tradotto letteralmente con “rendere abile” o anche “placare, calmare”, “visualizzare” e “conseguire” e ha a che fare con l’esclusione dei pensieri e delle percezioni dalla coscienza, Vipassana significa, invece, “visione profonda, o introspezione” o “insight”.

La meditazione Vipassana, attraverso la focalizzazione sul respiro e sulle sensazioni corporee, consente il passaggio da un livello di conoscenza di sé superficiale a uno sempre più approfondito e consapevole, permettendoci di notare come il nostro corpo risponde in relazione a un pensiero che evoca un’emozione. In tal modo, con un’attenta osservazione, è possibile conoscere le sensazioni che accompagnano un’emozione senza subirne il travolgimento, utilizzandole come un’ancora utile ad attutire gli urti delle emozioni negative fonte di ansia, depressione e altri stati emotivi alterati. L’autore, pertanto, sottolinea come “essere consapevoli” non significa quindi “pensare” ma osservare semplicemente quello che c’è in questo momento tenendo conto della natura profonda di tutti i fenomeni caratterizzati da tre aspetti: impermanenza (annica), insoddisfazione (dukkha) e impersonalità (annata) ovvero l’assenza di un un’entità permanente, separata da tutto il resto.

L’autore si concentra in particolar modo sull’insoddisfazione, rappresentando al meglio gli “irritanti psicologici” che hanno il potere di allontanarci dalla consapevolezza del momento presente quali l’attaccamento alle esperienze piacevoli che conduce a un tentativo di congelare il tempo, l’avversione per quelle spiacevoli dalle quali cerchiamo di liberarci, l’indifferenza verso quelle neutre, la letargia mentale, l’irrequietezza e l’esitazione mentale. Tali irritanti, se predominanti, conducono a un’eterna insoddisfazione. L’autore si dedica, in un secondo momento, a sfatare alcuni luoghi comuni sulla meditazione, uno su tutti molto importante nella pratica clinica: la meditazione non è semplicemente una tecnica di rilassamento. Il rilassamento è considerato una componente concomitante all’insight, il vero obiettivo della meditazione. Il raggiungimento dell’insight potrebbe esporre, inizialmente, a situazioni tutt’altro che rilassanti se non talvolta fastidiose, con le quali iniziare una sorta di “coinquilinaggio amichevole”. Un ulteriore luogo comune riguarda l’associazione tra la pratica meditativa e uno stato di trance, in cui non c’è più la coscienza di nulla. Come afferma l’autore, la meditazione Vipassana rappresenta esattamente il contrario, ovvero la coltivazione della presenza mentale, stato che permette una maggiore sintonia con i nostri cambiamenti emotivi. Per lo svolgimento di una buona pratica meditativa e per veicolarne il successo è, inoltre, importante lo stato mentale del partecipante, caratterizzato dall’assunzione di alcuni atteggiamenti specifici che l’autore racchiude in alcuni punti:  

-non aspettatevi niente, trattate la pratica come un esperimento;  

-non sforzatevi; 

-non attaccatevi a niente e non rifiutate niente, vanno bene sia immagini mentali piacevoli che quelle spiacevoli; 

-lasciate andare; 

-accettate tutto ciò che sorge, anche le emozioni che speravate di non avere; 

-siate delicati con voi stessi; 

-investigate su voi stessi, sottoponete tutte le affermazioni alla prova della vostra esperienza; 

-considerate tutti i problemi come sfide; 

-non ponderate; 

-non indugiate sui contrasti.  

Tra questi suggerimenti ritengo che, uno in particolare, debba catturare l’attenzione del clinico: siate delicati con voi stessi. Tale suggerimento rimanda a un approccio psicoterapeutico di recente diffusione che fa parte delle Psicoterapie Cognitivo Comportamentali Mindfulness-based, la Compassion Focused Therapy (Paul Gilbert; 2005), il cui obiettivo principale è il ripristino dell’equilibrio tra i sistemi di regolazione delle emozioni, attraverso la pratica della Compassione, laddove per Compassione si intende l’abilità di esperire in modo accettante emozioni difficili; di osservare in modo mindful i nostri pensieri giudicanti, senza permettere loro di dominare le nostre azioni e i nostri stati mentali; di impegnarci in modo pieno con gentilezza e auto validazione verso direzioni di vita ricche di valore; e di cambiare in modo flessibile la nostra prospettiva verso un più ampio senso di sé” (Hayes, 2012). Seguono degli utilissimi suggerimenti pratici relativi alla posizione da assumere, al luogo e all’abbigliamento adatti per la meditazione, al tempo da dedicare alla meditazione (il suggerimento iniziale è di meditare per circa 20 minuti), suggerimenti che rispondono con assoluto pragmatismo agli interrogativi più diffusi che si affacciano alla mente dei praticanti principianti. 

L’autore si sofferma poi sul modo di trattare l’oggetto della meditazione, ovvero la respirazione. In particolare, il Satipatthana Sutta, il discorso originale del Buddha sulla consapevolezza, suggerisce di concentrare l’attenzione sul respiro, sull’aria che entra ed esce dal naso, senza modificarne l’andamento e l’intensità, e poi procedere a osservare tutti gli altri fenomeni fisici e mentali che sorgono. La presenza di un punto di ancoraggio laddove sentiamo il respiro (narici), ci permetterà di non essere sopraffatti dalle onde di cambiamento che si susseguono nella nostra mente. Il respiro è considerato un punto di riferimento vitale dal quale la mente si allontana e dal quale la mente è ripresa ed è un processo che si svolge nel presente, privo della temporalità del passato e del futuro che permette di collocarci automaticamente nel qui e ora. Nell’atto di concentrare l’attenzione sul respiro possono, però, insorgere difficoltà o impedimenti alla meditazione come il dolore, le gambe che si addormentano, la presenza di sensazioni bizzarre, la sonnolenza, l’incapacità a concentrarsi, emozioni spiacevoli come la paura, l’agitazione e la noia, il tentativo di sforzarsi troppo, lo scoraggiamento, eventuali resistenze nei confronti della meditazione, il torpore o la fiacchezza. Un altro comune ostacolo alla buona riuscita della pratica è spesso rappresentato dalla distrazione, ovvero qualunque stato che possa impedire la meditazione rappresentato, ad esempio dall’insorgere di desideri o fantasie piacevoli, esperienze negative come paure, preoccupazioni, colpa, il sopraggiungere del torpore, ovvero l’offuscarsi della vigilanza sensoriale e cognitiva, l’agitazione o il dubbio.

L’autore propone uno schema generale con il quale affrontare qualsiasi difficoltà o distrazione che consiste nell’osservare da vicino ciò che ci sta accadendo, come si presenta, dove si presenta e la sua durata, senza applicare giudizi e abbandonando la lotta che spesso mettiamo in atto nel tentativo di liberarcene. Avvicinandoci alla distrazione con curiosità da esploratori, noteremo essa emergere e indebolirsi, fino a svanire. Far finta che tale distrazione o difficoltà non ci sia equivale infatti ad aumentare l’importanza e la sofferenza ad essa associata, al contrario, accettarla come parte inevitabile dell’esperienza umana. consente di alleggerire il carico di sofferenza. È importante svincolarci dalla distrazione e “trattarla come un oggetto di indagine” al fine di liberarci da questa, non farci travolgere e favorire un’attenzione e quindi la consapevolezza. L’autore scrive infatti “nella pratica della consapevolezza stati mentali piacevoli e spiacevoli vengono trattati nello stesso modo: non c’è un aggrapparsi al piacevole e un fuggire dallo spiacevole, quello che è presente è presente, nulla viene rimosso e soppresso, tutto viene osservato nelle sue caratteristiche, tutto viene visto nascere e andar via”.   

In ultimo Henepola Gunaratana sottolinea come la meditazione Vipassana sia un’azione di bilanciamento mentale, in cui si coltivano due qualità mentali distinte: la consapevolezza e la concentrazione. Una metafora molto esplicativa della relazione tra questi due stati è rappresentata da queste parole dell’autore: queste due qualità sono come due compagni nel lavoro della meditazione. La consapevolezza è, tra i due, il compagno sensibile che nota le cose, mentre la concentrazione ci mette la forza e mantiene l’attenzione puntata su una certa cosa…se l’uno o l’altro dei due compagni è debole, la meditazione diventa distrattaDiventa evidente come il bilanciamento tra consapevolezza e concentrazione sia essenziale per evitare uno squilibrio a favore o di uno stato ultrasensibilizzato se a prevalere sarà la consapevolezza, o di impassibilità e tranquillità assolute se a prevalere sarà la concentrazione. La lettura di questo libro mi ha permesso di entrare in contatto con la pratica meditativa a mente aperta, con curiosità e accettazione, permettendomi di scoprire che, in realtà, può essere tutto molto più semplice di come appare.  

 

Bibliografia: 

  • Gilbert P (2005); Compassion: Conceptualisations, Research and Use in Psychotherapy. Routledge. 
  • Hayes SC, Strosahl KD, Wilson KG (2012); Acceptance and commitment therapy: The process and practice of mindful change. New York: The Guilford Press 
  • Henepola Gunaratana (1995); La pratica della consapevolezza in parole semplici. Casa editrice Astrolabio; Ubaldini editore, Roma 

 

Alessandra Accoto di Psicologi in Ascolto

 

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