“ Accattatevelle, accattatevelle…” strillavano gli scugnizzi di Portici o di Forcella a Napoli. Ma con uno slang diverso, lo stesso concetto lo potevi sentire al mercato di Porta Portese a Roma o a quello di Brindisi o di Ostuni in Puglia. Quello dell’abbigliamento usato d’Oltreoceano è sempre stato, fin dal secondo dopoguerra, non solo l’occasione di potersi vestire a poco prezzo, ma una vera e propria passione, il sogno americano, un orizzonte lontano, colori e stampe originali; insomma un mondo diverso da esplorare a casa tua, democratico, alla portata di tutti e con pochi spicci.” Io ho cominciato da piccola – ci rivela Bruna Lamalfa, un’appassionata di mercatini dell’usato di origine pugliese- con mia madre che mi portava “alle pezze americane” attaccata alle sue gonne. E poi crescendo è diventato più che un hobby, forse non solo la possibilità di vestirmi in modo non usuale a poco prezzo, ma anche l’occasione di esprimere la mia vena artistica e dimostrare un’appartenenza altra: sì io sono proprio questa! E vesto così. Non è stato facile perché in quegli anni potevi essere considerata una sfigata che si vestiva con capi usati e sporchi. Invece poi, evolvendo anche la società, eri diventata per tutte le amiche “l’alternativa”, quella che sapeva scegliere, che vestiva in modo eccentrico. Già, perché – continua Bruna- per me tuffarmi in quelle balle giganti di vestiti, che avevano attraversato l’Atlantico, era diventata una magia, non ne potevo fare a meno, come mangiare o dormire. E intanto negli anni ho accumulato tantissimi capi, gonne, giacche, magliette colorate, jeans, tende, pezze di stoffa di ogni genere che io trasformavo in capi di abbigliamento originali, in salopette o kimoni. Fino a che, dopo essermi trasferita a Roma, con l’aiuto di un amico sarto, ho deciso di cominciare a vendere ai primi al Vintage market, che si tenevano periodicamente al Circolo degli artisti, in zona Prenestina. Da lì è cominciata la mia attività “commerciale”col marchio Brùpolare. Poi la mia vita con la nascita di Zoe e un lavoro stabile è cambiata completamente. La passione dei mercatini è rimasta, ma non ho più il tempo di prima. Comunque quello dell’abbigliamento usato non è solo un’occasione di lavoro, ma anche una netta presa di posizione di campo sul riuso, il riciclo, l’economia circolare, contro il fast-fashion e tutto quello che si porta dietro: sfruttamento del lavoro minorile, spreco di risorse e inquinamento del pianeta”.
“Il mio sfogo ludico è ancora questo- ci confida Bruna-. Quindi ogni volta che vado in giro sono ispirata per nuovi capi da creare, solo che adesso avendo una bimba, cerco di limitarmi perché so di non avere tempo..”
Chi ama andare ai mercati adora frugare tra i panni usati: la cosa che scatta nell’istinto del cercatore è trovare proprio il capo che ha visualizzato nella propria immaginazione. Un luogo affascinante in continua evoluzione, dotato di un gusto che rasenta il chich, ma non smette mai di mutare nel tempo, sfiorando il gusto dei capi d’alta moda; tale è l’immaginazione per un creativo nell’abbigliamento. Questa caratteristica è comune sia ai professionisti che agli amatori, quelli che costruiscono il loro outfit prendendo dal proprio armadio e dalla “pattumiera del ciclo commerciale produttivo” per immaginarsi un nuovo orizzonte di gusto e di stile. L’idea del refashion viene proprio da tutto ciò.
In Inghilterra, il regno del Vintage, esistono associazioni chiamate Charity, che radunano panni e stoffe destinate al pattume, per creare dei mercati specifici all’ingrosso, nei quali si riforniscono indistintamente persone indigenti e cultori della moda. La differenza con le nostre bancarelle è la possibilità di unificare la raccolta e la vendita in una sola associazione, che tendenzialmente fa volontariato e quindi taglia tutto l’indotto di mediazione tra la raccolta e la messa sui banchi. In Italia, la vendita delle balle di abiti al chilo, destinata agli mercati è già stata “spogliata” dei pezzi migliori, resta dunque il prodotto medio/scadente che, quando arriva sulle piazze, ha già ricevuto un’ulteriore selezione destinata ai negozi vintage del centro città. Questi ci lucrano aumentando a dismisura il prezzo, amalgamando i capi di questa provenienza con i pezzi unici provenienti da collezioni private.
Per gli italiani la moda è una vera fissazione, questo indotto è uno dei più ambìti e allo stesso tempo, la vera creatività si realizza ormai fuori dai confini nazionali, dove la libertà di inventare e investire è maggiormente alimentata. Qui in Italia rimane, comunque, il primato della vendita e dell’accostamento dei grandi marchi con i nuovi creativi; il gusto della moda si verifica proprio tra le strade di Roma, Milano e durante i grandi eventi dedicati al fashion.
Il mercato dell’usato rimane una fonte d’ispirazione per tutti quelli che vogliono cimentarsi o che amano solo vestire alternativo. “Esiste una realtà che customizza e reinventa i capi d’abbigliamento usati con grande maestria- conclude Bruna Lamalfa-. Paradossalmente i social non aiutano, perché è più difficile trovare chi realizza un lavoro di valore e chi fa davvero quello
che dice. Molte volte – come testimonia ancora Bruna- succede che nei profili ci si presenta come refeshoner, ma in realtà si mostrano capi acquistati dai mercatini dell’usato, che sono già stati modificati o che provengono da selezioni più raffinate”. Quindi il lavoro di connessione tra gli artigiani del refeshoning sembra essere ostacolato, invece che agevolato con l’utilizzo del digitale. In effetti trovare un bravo artigiano italiano oggi è una vera rarità, tutte le categorie commerciali sono state inondate dal made in China e il Fast Fashion prodotto nei paesi in via di sviluppo. La moda del riuso prende nuovamente spunto dai capi usati re-customizzati, come in un cerchio infinito, in cui nulla si inventa davvero e nulla è destinato veramente alla distruzione.
Foto di Francesca Ruggieri