Un viadotto autostradale crolla procurando la morte di decine di persone. Il caso, oltre ad aprire un’ulteriore ferita nel già precario clima emotivo nazionale, permette alla politica di scoperchiare o almeno proclamare di volerlo fare, il tema delle concessioni pubbliche e delle privatizzazioni in appalto da parte dello Stato. La vicenda accentra l’attenzione della pubblica opinione su come vengano gestiti servizi essenziali nel nostro paese affidandoli alla gestione di privati senza esercitare alcun controllo reale sull’ esito e la qualità dell’esercizio delle concessioni accordate.
In un CAS, Centro di Accoglienza Straordinaria per i migranti che arrivano sul territorio italiano, un uomo, scampato ad una delle tante guerre sul pianeta, lasciando nel paese d’origine un pezzo del suo corpo devastato da un’esplosione e dall’assenza di cure, non può lavarsi in quanto da mesi le docce per disabili sono fuori servizio e lui in piedi non può stare; in compenso anche per tutti gli altri ‘ospiti’, l’acqua calda e il riscaldamento non sono neppure previsti. In un altro CAS un uomo combatte tutti i giorni con le cimici insieme alle decine di suoi compagni di sventura; proteste e reclami non servono che a ricevere promesse di futuri miglioramenti ma anche di possibili trasferimenti usati come minaccia; in un altro ancora, il cibo servito è infestato da blatte. Non un volta ma abitualmente. Foto e filmati lo documentano ma anche in questo caso non succede nulla.
In una struttura psichiatrica accreditata e convenzionata della regione Lazio una giovane donna ha un episodio di rabbia. È spaventata e nella cappella dell’istituto, se la prende con la statuetta di una Madonna rompendole un braccio. Benché si tratti di una comunità terapeutica per pazienti con disturbi mentali gravi, la suora, che con le sue consorelle gestisce l’assistenza infermieristica di questo centro specialistico che percepisce la cospicua retta assegnata dalla regione, convince il medico che si tratta di una profanazione e non di una manifestazione reattiva nei confronti di un oggetto, espressione di una sofferenza ed azione stimolata da vicende verificatesi poco prima nella residenza. La paziente viene dimessa sull’istante e riaffidata in emergenza ai servizi psichiatrici territoriali, gli stessi che nel frattempo risultano impoveriti dal dirottamento di più di tre quarti della spesa sanitaria psichiatrica regionale verso strutture private accreditate analoghe alla comunità in cui avviene questo episodio.
Tre vicende, tre ambiti della vita pubblica nazionale, tre esempi di ‘distrazione’ in cui uno stato appaltatore attraverso le sue articolazioni delega a soggetti esterni la gestione di servizi ma non esercita alcun controllo sulla qualità di quello che viene erogato e si accontenta di permettere ad altri di ricavarne profitto.
La qualità cede il campo alla quantità senza alcuna mediazione. Per questa via finiscono sullo stesso piano un gruppo imprenditoriale che diversifica i suoi imponenti introiti nelle autostrade, un’attività lontana dal suo business originario, ma di sicura remunerazione oltre che strategicamente cruciale per il paese; una rete di cooperative tra le quali quelle competenti e virtuose paiono in minoranza rispetto ad altre che sono intervenute sulla scena della gestione del drammatico fenomeno della migrazione lucrando sui fondi europei, proseguendo nella mortificazione di esseri umani già trattati con disprezzo e violenza nei percorsi da cui provengono e offrendo il destro alle politiche espulsive più retrive; imprenditori della sanità che hanno da tempo rinunciato al rischio insito nell’imprenditoria e si sono adagiati nella comoda posizione dell’accreditamento pubblico, fonte di sicuri guadagni, che tuttavia stravolge il senso stesso di una legge dello stato che territorializza l’assistenza psichiatrica e la gestione della salute mentale.
Una disattenzione? Una soluzione alle carenze economiche di un paese in crisi? La scelta di risolvere in questo modo il rapporto tra pubblico e privato delegando quest’ultimo in toto, o il segno tangibile di una politica che sa solo gestire affari ed affaristi e non guarda più lontano del suo portafoglio?
I casi citati sono diversi e differenti gli ambiti in cui si verificano ma il principio in gioco è lo stesso: la colpevole mancanza di una definizione di compiti e di responsabilità in un clima di implicita deregulation che esprime un atteggiamento volutamente rinunciatario, la mancanza di una cultura della gestione del bene comune, la complicità di una politica affaristica che ha nel tempo indebolito il senso e la forza coesiva dello stato.
La risposta che pare provenire dalla ‘nuova’ politica oscilla a sua volta tra la riproposizione velleitaria di uno statalismo accentratore, già dimostratosi in grado di dissipare più che di gestire, il vagheggiamento verboso di una cultura del monitoraggio e della manutenzione che appare estranea al paese se non nell’accezione del controllo come arbitrio e prevaricazione, l’uso strumentale di argomenti a soli fini oppositivi rispetto ai precedenti governanti. Quel che rimane ignota è la capacità progettuale che guardi al futuro, una visione di governo che sappia compiere delle scelte di spesa non solo a fini elettorali e non immiserisca il tema della sostenibilità nel solo risparmio ma garantisca la continuità dei processi di sostegno sociale come dovere di uno stato contemporaneo lungimirante.
Contro la paralisi delle scelte e contro le nuove arretratezze, Psichiatria Democratica chiede con forza il ripristino di una prassi decisionale e di controllo reale e responsabile dei destini della spesa pubblica per i servizi, sola opzione per uno stato che non abdica al proprio compito e sappia dosare le sue risorse in vista di obiettivi chiari perseguiti con trasparenza.
Per evitare di avviare un nuovo tormentone social su deleghe e controlli, la soluzione esiste: conferire allo stato competenza attraverso l’accertamento continuativo della qualità ed efficacia di quanto affidato in gestione in tutti i campi in cui questa soluzione è praticata, come metodo e pratica di governo del paese.
Così facendo, ad esempio, non ci saranno differenze tra la manutenzione delle infrastrutture e la fornitura di servizi. Il controllo sulla rete dei centri di accoglienza garantirà, a nome dello stato quindi di tutti, dignità e rispetto dei diritti a chi ospita e corretto utilizzo dei fondi affidati e, parimenti, le politiche sanitarie regionali non confliggeranno nei fatti con le leggi dello stato. La gestione delle risorse esterne alla rete pubblica non può penalizzare le pratiche di salute mentale territoriale ma deve assicurare la qualità professionale e terapeutica di quanto erogato dai privati accreditati preservando al tempo stesso il mandato costituzionale del diritto alle cure e la sorte del denaro dei contribuenti. Più che coraggio è necessaria coerenza.
Antonello D’Elia
Presidente di Psichiatria Democratica
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