Ogni giorno sbarcano in Italia decine e decine di migranti e dall’ultimo anno si è registrato un notevole aumento, probabilmente dovuto alla presenza di scenari di guerra nei paesi d’origine e alle condizioni climatiche sempre più estreme, che provocano terribili carestie. Il fenomeno che sposta notevoli masse di persone per centinaia di chilometri non è indifferente sulla salute, in particolare quella mentale, degli stessi migranti. Il disturbo post-traumatico da stress (PTSD) per esempio è una conseguenza diffusissima insieme ad altri malesseri psicologici.
Di questo si è occupato l’articolo di “Communications Medicine” di Nature, prestigiosa rivista scientifica del Regno Unito. La salute mentale è stata monitorata, in un’indagine del 2021 dall’Asl Roma 2, prendendo in esame un gruppo di 100 richiedenti asilo durante la quarantena di quattordici giorni dovuta al Covid. L’indagine è stata condotta in collaborazione con l’Unità Operativa Complessa Salute Migranti ASL Roma 2, la Fondazione Policlinico Gemelli di Roma, le Università di Napoli Federico II, Cattolica del Sacro Cuore di Roma e New York University. Questo è avvenuto in due strutture di accoglienza a Roma, la prima è chiamata “Barzilai” con 21 stanze singole e l’altra “Bakhita” con sei appartamenti per nuclei familiari. Attraverso la somministrazione di sei questionari demografici, denominati Survey Q6, si è giunti alla conclusione che il processo migratorio ha delle conseguenze a volte irreparabili sulla popolazione dei rifugiati, causando danni fisici e mentali. Questi test avevano, inoltre, lo scopo di esaminare la cura dei sistemi di accoglienza.
Sono stati somministrati due sondaggi per il disturbo da stress post-traumatico, per valutarne la risposta e per i vissuti difficoltosi incontrati prima della migrazione, durante il viaggio o nel paese di destinazione. Lo studio ha messo in evidenza che i traumi vissuti nel luogo natale come lesioni, torture e violenze, scatenano questa tipologia di disturbo. Dunque l’ambiente in cui si vive conta molto sulla psiche delle persone migranti. Al termine del ricovero (giorno 14), è stato fornito nuovamente il questionario WHO-5 (Survey Q6) per rilevare la variazione nel benessere psicologico complessivo. Sono stati utilizzati degli algoritmi di apprendimento supervisionato per estrarre le caratteristiche dell’insorgenza del disturbo da stress post-traumatico. Il risultato è stato che il sostegno dato nei centri per rifugiati ha avuto un riscontro positivo sul benessere mentale dei migranti, grazie all’assistenza sociale e psicologica. Inoltre i mediatori culturali costituiscono un aspetto di grande importanza per una migliore tutela dei problemi psicologici dei richiedenti asilo. A tal proposito sono stati sviluppati dei programmi specifici per i migranti volti ad aiutare e sostenere i partecipanti cosicché potessero stabilire connessioni sociali, sviluppare autostima, consapevolezza di sé, salute personale e sicurezza. Questo per evitare che l’incapacità di affrontare i fattori di stress possa compromettere il processo di recupero dei vissuti traumatici e possa rendere l’assistenza sanitaria poco efficace nei confronti dei rifugiati che mirano alla propria indipendenza.
Invece i migranti, fuori da questi centri di accoglienza, con disturbo post-traumatico da stress hanno registrato una condizione peggiore e più eventi traumatizzanti.
Dei 150 richiedenti asilo, 100 hanno aderito allo studio e hanno compilato tutti i questionari dispensati da uno psichiatra o da uno psicologo supportato da un mediatore culturale, che ha contribuito a tenere d’occhio le questioni relative all’interpretazione dei test e dei sistemi diagnostici occidentali. Se dall’incontro o dall’esito del questionario il personale clinico rilevava possibili condizioni di vulnerabilità emotiva, venivano programmati ulteriori scambi di conversazione con gli psicologi del Centro per la Salute Mentale di Roma e, se necessario, un’assistenza completa prevista dal Sistema Sanitario Nazionale. Si è notato che il 51% dei partecipanti ha avuto bisogno di sottoporsi ad ulteriori test psicologici. Durante l’esame, il personale clinico è stato sempre a disposizione per eventuali emergenze, anche se i migranti non hanno mai richiesto un supporto d’urgenza. L’accoglienza nel centro, che si è protratta per due settimane, dunque ha avuto un impatto positivo sulla salute.
C’è da distinguere, inoltre, nello studio tra migrazione forzata e volontaria. Nel caso di quella forzata le motivazioni sono di natura politica, religiosa o etnica, oppure legate ad eventi bellici, terremoti o altre calamità naturali o indotte dall’uomo. Diversamente nelle migrazioni spontanee la scelta è fatta autonomamente dal migrante, anche se è indotta da ragioni economiche pressanti come la ricerca di un lavoro.
In ogni caso il viaggio che devono affrontare spesso è lungo e la distanza geografica li espone a ulteriori problematiche. Non a caso la maggior parte di loro riferiscono vissuti di angoscia, depressione, disperazione, paura…
Eppure, nonostante tutte queste complicazioni psicologiche e psichiatriche la salute mentale degli sfollati non viene presa in esame in maniera sistematica, questo è negativo perché la maggior parte dei richiedenti asilo sono stati esposti a eventi traumatici multipli.
Le conclusioni di questo studio sottolineano l’importanza dell’ambiente che il migrante trova immediatamente dopo il suo ingresso nel paese ospitante. In seguito le circostanze di accoglienza inadeguate in strutture di grandi dimensioni possono avere effetti dannosi sulla loro salute. Va fatto un lavoro mirato e tempestivo e va data un’assistenza completa.
Ci deve essere un pronto sostegno per i migranti in arrivo. Lo studio è terminato prendendo atto che l’ambiente post-migratorio idoneo svolge un ruolo positivo sul benessere psicologico degli sfollati, nonostante il proprio bagaglio di esperienze traumatiche.