“Vasco Rossi, il supervissuto” è il documentario in cinque puntate, uscito su Netflix a settembre dello scorso anno, dove il famoso cantante ripercorre i luoghi della sua infanzia a Zocca, un paesino in provincia di Modena, da cui ha spiccato il volo attraverso concerti e incontri che hanno segnato il suo esordio.
Anche Vasco, dunque, come altri miti si è aperto alla narrazione di momenti della sua vita inediti, intimi, che lo rendono vivo, una persona con le sue radici e le sue difficoltà, dove alcuni aspetti più personali si intrecciano con fatti storici delle città padane, dagli anni Sessanta ad oggi.
Partito dal “violentare” la chitarra proponendo agli amici i suoi testi, Vasco è passato alle piazze di paese in cui risultava sempre di più un personaggio eclettico e di grande magnetismo, per poi arrivare alla discoteca più importante di Modena, lo “Snoopy”. Come dj spopolava soprattutto tra il pubblico femminile, l’ambiente dei locali è quello che ha definito in lui il carattere di “vita spericolata” . L’esperienza che invece lo ha reso un attivista della rivoluzione culturale negli anni Settanta in Italia è stata la nascita di “Punto Radio”, un’emittente indipendente situata proprio nel suo paese natale.
Nell’epoca in cui le canzoni si ascoltavano dal Jukebox e questo mezzo di comunicazione era un monopolio della Rai nazionale, tutte le altre emittenti in FM erano di fatto illegali e appena Vasco venne a conoscenza che a Milano ne avevano aperto una, fregandosene del diniego legislativo, pensò bene di avviare anche a Zocca un’esperienza simile. “Punto Radio” è diventata in pochi anni un riferimento di conduzione, tecnico e musicale, per tutti i giovani e per gli aspiranti musicisti della zona.
Nel documentario il cantante torna nella sede della Radio a cinquant’anni di distanza dall’ultima volta e dopo una vita di successi internazionali. Ritornare nei luoghi della sua giovinezza, gli regala una emozione palpabile. L’entusiasmo dei dettagli che racconta e che rivive, proprio nei momenti delle riprese, rivelano la sua indole infantile, che mantiene in tutto il corso della sua vita e della sua carriera: la prima fidanzatina (negli anni ‘60) di quando portava i calzoni corti vicina di casa che gli ha dato la prima delusione. Ritroviamo il racconto nelle sue parole :“e ho guardato dentro un’emozione e ci ho visto come l’impressione, che mi avessero rubato il tempo e che tu, che tu mi rubi l’amore…”
Negli anni ’80 iniziano i primi tour con “Colpa di Alfredo” . “Punto Radio” era stata chiusa, a quel tempo la storia della radiofonia libera era già cambiata, infatti, le “emittenti pirata” furono legalizzate nel 1979 dalla Corte Costituzionale. Il cantante emiliano-romagnolo inizia così anche la sua vita di rock star a tutti gli effetti, la presenza a San Remo e i concerti dopo serate infinite in discoteca, bevute e ragazze. Vasco diventa un simbolo di trasgressione e invitarlo nelle trasmissioni tv o negli eventi non era sempre semplice, per le convenzioni in un’Italia ancora benpensante e bigotta negli anni Ottanta. Un articolo su Repubblica lo stronca appellandolo “drogato” non facendo cenno alla sua musica, ma esclusivamente al suo atteggiamento basato sugli eccessi. A questo articolo reagì immediatamente la madre Novella Corsi, scrivendo una lettera accorata al giornalista, in cui faceva cenno anche al padre che era morto improvvisamente durante un viaggio di lavoro. In questa lettera si parlava di un ragazzo, il figlio, che affronta la sua strada fino in fondo.
Il 1983 fu l’anno d’oro per Vasco, l’anno di “Vita spericolata” e di “Bollicine”, dei concerti che riempivano gli stadi. I giovani che non aspiravano ad una vita convenzionale si ritrovavano e si continuano a ritrovare nelle sue parole e nell’ironia dei doppi sensi riferiti alle droghe e alla trasgressione, quello che i “benpensanti” del boom economico temevano per i loro figli.
Proprio in quegli anni Vasco venne arrestato per possesso di cocaina, in quantità sufficienti per farlo rinchiudere 22 giorni in carcere, con cinque di isolamento. Fu un trattamento punitivo senza attenuanti, anzi, causato da una denuncia arrivata direttamente in Questura da chi procurava la droga al cantante. Questa esperienza ha reso Vasco ancora più impavido verso le critiche e verso il suo lavoro, che affrontava invece con grande serietà, trasferendosi dentro un capannone industriale, dove i suoi collaboratori avevano installato una sala di registrazione e di produzione musicale.
“Vado al massimo” è una delle canzoni rappresentative di come l’artista non fermava mai la sua catena di montaggio di creazione e produzione di nuovi brani, portata agli estremi dagli eccitanti come l’anfetamina, che Vasco ammette nel documentario di aver assunto per arrivare ai concerti efficiente, dopo giornate insonni di lavoro e divertimento.
Questo stile di vita lo ha portato nel corso del tempo a cadere in una spirale negativa che non gli permetteva di lavorare, ma è stato proprio il desiderio di fare musica la leva decisiva per disintossicarsi e trovare una nuova energia. Tra le persone che lo venivano a trovare, fan e amici, arrivò anche Laura, la donna che poi divenne sua moglie. Dalle immagini vediamo Vasco raccontare “la Laura” come di un personaggio centrale nella sua vita e lei, invece, dipingersi con semplicità e leggerezza, come una ragazza scapestrata, completamente inconsapevole di chi avrebbe avuto vicino. Di fatto due ragazzi che ”vanno al massimo” si comprendono, anche se molte persone vicine a lui erano un po’ titubanti circa l’influenza, che la giovane avrebbe potuto avere sul cantante. Vasco racconta dei trent’anni vissuti in famiglia e del figlio avuto dalla compagna, come una fonte d’amore che per lui ha costituito una crescita, la vita.
Ad oggi il cantante non vive più con la moglie e neanche nella casa dove ha vissuto con la famiglia.
Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 la carriera di Vasco spicca il volo, i concerti e le tourné si susseguono negli stadi e negli auditorium, in Italia e all’estero. I suoi collaboratori che vengono intervistati nel documentario testimoniano un personaggio di grande empatia, molti riferiscono di aver sentito dal primo momento un legame forte con lui , come se fosse una persona già conosciuta in precedenza. Il ritmo di lavoro incessante e creativo lo portò ad avere un crollo fisico a metà degli anni ’90, che lo costrinse ad un mese in ospedale passando per la terapia intensiva, il suo corpo iniziava a dare segni di stanchezza, ma la sua creatività galoppava, come sempre, a gran velocità. Poi la morte di Massimo Riva, chitarrista della sua band, portò Vasco in un tunnel depressivo da cui fu complicato uscire. Nel documentario si fa cenno a momenti bui e pensieri suicidi, che poi, con l’intervento di un percorso psicologico, tornano ad essere i pensieri creativi che lo portano alle splendide canzoni che conosciamo.
Il Vasco di oggi è davvero un personaggio che può rappresentare un pezzo importante della musica italiana, una creatività e una passione che spinge avanti “una vita al massimo”, un cuore che nonostante gli ostacoli punta a “fare la rivoluzione”, sempre.