La crisi della salute mentale nel Lazio

Da tempo il problema della salute mentale nel Lazio risulta essere molto grave, in particolar modo nei Centri di salute mentale. Varie associazioni si stanno muovendo, cercando un dialogo con le istituzioni, nuovi spazi e nuove forme d’intervento.

L’assistenza nel Lazio è a rischio a causa di motivi culturali e strutturali. Per quanto riguarda il motivo culturale, pare esserci ancora poca coscienza della gravità del problema che viene preso troppo sotto gamba. Ci si scorda troppo spesso di cosa è e cosa è stata la legge 180, che fu sancita nel 1978 e portò alla chiusura dei manicomi. La cosiddetta legge Basaglia ha rivoluzionato il mondo e la società di quegli anni. Voluta con tutte le forze da Franco Basaglia, colui che lottò contro l’istituzione manicomiale e per i diritti del malato. Con la legge 180 si incominciò a capire che tutte le persone hanno diritto a una vita normale, a essere liberi e non reclusi e vittime di maltrattamenti e torture come avveniva dentro i manicomi. Lentamente il Paese iniziò a capire che i cosiddetti matti non erano soggetti pericolosi per la società, soggetti di cui avere paura ma individui che si potevano curare in un altro modo, dentro la società e non ai margini di essa. Tutto ciò portò alla nascita di quelle strutture e attività di cui oggi usufruiamo: Centri di Salute Mentale, Comunità terapeutiche, gruppi appartamento. Della 180/78 si parla poco e la sua reale, completa applicazione non è ancora stata effettuata.

Il secondo motivo che mette a rischio realmente la salute mentale nel Lazio, cioè quello strutturale, è l’emergenza dovuta alla necessità di risorse umane e la scarsità di spazi dedicati, in proporzione al numero crescente delle persone da seguire. Nelle sole province di Roma e Viterbo, ad esempio, le persone assistite sono quasi 49mila, con percentuali di operatori mancanti che toccano punte del -60%. Scarseggiano strutture alternative al ricovero e sostegno economico per il reinserimento e la riabilitazione sociale.

I tagli fatti negli anni scorsi al servizio pubblico hanno costretto la cittadinanza a rivolgersi alle cliniche private. Scrive Piero Cipriano su Forum Salute Mentale che nel Lazio il 70% dei pazienti con crisi acuta, dopo mediamente dieci giorni in SPDC, prosegue le cure in una delle dodici case di cura presenti nella regione. E non è un caso se “il Lazio concentra infatti il maggior numero di posti letto psichiatrici privati d’Italia. Forse è (anche) per questo che i Dipartimenti di Salute Mentale di questa regione sono così sofferenti: le case di cura succhiano la maggior parte del sangue destinato ai DSM”. Una conseguenza è che molti pazienti sono lungodegenti presso Case di cura private e non inserite in percorsi riabilitativi. Entrano ed escono a singhiozzo da quelle case di cura per le quali Basaglia stesso diceva che “la malattia mentale è un grande affare”. Una volta fuori, se lo Stato ha già speso troppo nelle case di cura, ecco che scarseggiano i fondi per case supportate e servizi alternativi.

Si è verificata sempre più mancanza di personale all’interno dei centri di salute mentale, con i pazienti abbandonati a se stessi, dove si riescono a curare solo quelli con crisi acute. Persone sempre meno seguite o seguite in maniera molto blanda, quasi esclusivamente con medicinali, senza psicoterapie vere e proprie, provocando perciò ricadute continue. Lo conferma Alessandro Reali, presidente dell’Associazione 180 amici di Roma, che ha detto di aver riscontrato, per i servizi con i quali ha avuto a che fare “un sostanziale appiattimento su due macroaree: l’emergenza e la cronicità. Quindi abbiamo Spdc (servizi psichiatrici di diagnosi e cura), da una parte e comunità a lunga degenza dall’altra, e rimane scoperto tutto quello che c’è in mezzo”.

Senza poi considerare che le crisi acute portano inevitabilmente ai ricoveri e indirettamente a più soldi da spendere per mantenere i pazienti nelle varie strutture. Questi soldi potrebbero essere spesi molto meglio per cure più efficaci, dato che a livello psicologico i ricoveri non sempre fanno bene e spesso possono creare traumi non così semplici da superare.

Insomma la situazione dei centri di salute mentale è sempre più drammatica a causa di tagli e mancanza di sensibilità in questo campo. Una crisi da cui non è sicuramente facile uscire. Ma le varie associazioni sensibili a questo argomento assicurano che continueranno ad andare avanti per la difesa e la valorizzazione dei dipartimenti di salute mentale e contro tutte le situazioni di abbandono. Ci si augura che lottando tutti insieme presto si riesca uscire da questo tunnel.

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