La questione Leros: un percorso di civiltà

La “questione Leros” è una questione internazionale, perché il portato umano, culturale e scientifico di questa esperienza interessa operatori, amministratori, politici della Grecia intera, dell’Europa e degli altri Continenti. Poiché la questione dei trattamenti di esclusione e di violenza delle istituzioni totali attraversa tutti i Paesi del mondo intero. Ma cos’è la “questione Leros”?

Leros è una piccola isola greca nel mare del Dodecanneso. Dopo l’unione con la Madrepatria, nel 1947, l’isola entrò in una grave crisi economica a causa della mancanza di investimenti. Così i politici eletti al Parlamento dalla regione del Dodecanneso videro un’occasione da non perdere nella necessità di ridurre l’affollamento dei vari ospedali psichiatrici esistenti in tutta la Grecia, in cui alla fine della guerra civile si trovava un numero elevatissimo di internati. Con un decreto reale viene fondata la cosiddetta colonia di Leros per psicopatici, con il compito di provvedere non solo alla cura dei pazienti del Dodecanneso, ma anche al trattamento di pazienti cosiddetti cronici provenienti dagli altri ospedali. È così che nacque una vera e propria deportazione psichiatrica. Gli obiettivi ufficiali erano la riabilitazione e la risocializzazione, attraverso il lavoro dei pazienti in una colonia agricola. Di fatto invece la cosa prese proporzioni mostruose. I malati furono concentrati su grandi navi da guerra, con un numero sul petto che corrispondeva ad un nome su una carta. Nel viaggio molte di queste carte si persero e a tutt’oggi per un gran numero di essi il nome resta ignoto. Dagli iniziali 650 posti letto si arrivò a 2.650 nel 1965. In quello stesso anno la Colonia prese il nome di Ospedale Psichiatrico. I malati da deportare a Leros venivano scelti seguendo due criteri fondamentali: il primo, la diagnosi di malattia grave e la difficoltà di gestione; il secondo, la constatazione dell’abbandono del malato da parte dei familiari (almeno uno o due anni senza contatti).

Ad un certo punto divenne chiaro che Leros non poteva continuare ad essere il più grande ospedale psichiatrico d’Europa, bisognava intervenire attraverso la deistituzionalizzazione del manicomio. La scelta della strategia di intervento era complicata: vi erano infatti forti interessi economici a causa della dipendenza dell’intera comunità dall’economia creata dell’Ospedale. Da un lato il gruppo dei grandi fornitori, piccolo ma potente, traeva enormi risorse dall’istituzione psichiatrica. Dall’altro il gruppo dei più importanti operatori turistici, che temevano che la circolazione dei matti fosse uno spettacolo inadeguato per i turisti. In più, tutte le famiglie di Leros temevano che l’intervento di trasformazione in un modo o nell’altro potesse danneggiarli, dato che uno o due membri di ognuna di esse era impiegato nell’ospedale. Perciò, all’inizio, la comunità dell’isola era compatta, tutta pronta a difendere la permanenza dell’Ospedale e la continuità della sua organizzazione come grande istituzione chiusa e separata. Il paziente lavoro di deistituzionalizzazione, lentamente e con grande difficoltà, ha progressivamente incrinato la compattezza di questa opposizione.

Si dette avvio all’attuazione dei programmi nel 1991, con il coinvolgimento tra le altre anche di un’equipe triestina.
L’uscita degli internati, con gli operatori, per le strade dell’isola ha consentito una graduale reciproca conoscenza, ma anche l’individuazione da parte di proprietari di bar, taverne e negozi di una nuova fonte di reddito. L’affitto di appartamenti, l’acquisto di arredi, vestiti, delle cose necessarie per la normale vita quotidiana determinavano una redistribuzione delle risorse dell’Ospedale. Insomma, l’acquisizione da parte dell’internato di uno status di cliente ha favorito la caduta di molti pregiudizi sulla diversità. Contemporaneamente, l’introduzione della pratica di lavoro cooperativistico come fonte di reddito per gli internati ha fornito nuovi modelli di organizzazione produttiva e mostrato la via di una riconversione economica dell’Ospedale.

La comunità intera dell’isola non solo ha cessato il proprio blocco di opposizione, ma ha veramente recuperato, con lo sviluppo di queste esperienze, valori di civiltà aprendosi a discussioni sull’esclusione sociale e lo sviluppo civile dei diritti umani. Restano le difficoltà legate allo sviluppo dei servizi territoriali, spinti inizialmente da specifici programmi dell’Unione Europea che stanziavano risorse e prevedevano linee guida e obiettivi.