Green Day e tagli sulle braccia: la storia di Adelaide

Perché dovrei dire le mie cose a un’estranea?

Adelaide entra nella stanza, sembra più grande, sembra avere più di 14 anni.

E’ timida, silenziosa, riservata, e quasi infastidita; non ha scelto lei di essere qui. Per lei io sono un’estranea. E sono una psicologa. E dalle psicologhe “ci vanno i matti”.

Si siede di fronte a me e con un’autenticità disarmante, e mi chiede:

“Secondo lei, perché dovrei dire le mie cose ad un’estranea?”

Inizia così la nostra relazione terapeutica.

Io e Adelaide: da una parte una terapeuta messa in discussione dalle parole del paziente, dall’altra un’adolescente guardinga che non si fida di nessuno.

 

La fiducia é una cosa seria!

 

Le rispondo:

“In effetti non dovresti; però, se vuoi, potremmo conoscerci. Puoi chiedermi quello che vuoi, a me piacerebbe! E a te?”

Quando una persona si rivolge a noi, a maggior ragione se si tratta di una persona molto giovane, è assolutamente necessario creare un clima accogliente e sicuro, affinché questa persona si senta libera di esprimersi, anche nelle tematiche più difficili.

Spesso un adolescente è “costretto” a venire in terapia, per cui la sua motivazione va stimolata, cercata e co-costruita nell’incontro con l’altro.

“L’alleanza terapeutica è la costruzione di un ponte di fiducia che permette al cliente di manifestarsi liberamente”, dice Edoardo Giusti [forse aggiungerei psicologo clinico e psicoterapeuta, ecc.]. Ed è così che, con Adelaide, ho cercato un canale, una chiave d’accesso al suo mondo interiore, un modo per aiutarla a tirar fuori il suo potenziale e il suo dolore.

 

La musica parla di me!

 

Adelaide si fida solo del suo gruppo preferito. La musica diventa il nostro canale di comunicazione. Lei ama i Green Day, ama i loro testi:

“Dicono cose che io vorrei dire”

Pian piano il nostro rapporto cresce, inizia a condividere con me le sue canzoni preferite e poi le poesie che scrive. E’ un regalo prezioso per entrambe, inizio a conoscerla e lei inizia a fidarsi.

 

Il dolore fisico è più sopportabile

 

Non sono più un’estranea per Adelaide, ora può farlo, può confessarmi il suo segreto:

“Mi taglio!”

Il taglio, come la maggior parte delle azioni autolesive è una strategia “alternativa” per regolare le emozioni. L’adolescente può ricorrere ad agiti autolesivi sia per affrontare pensieri ed emozioni insopportabili, sia per trasmettere e comunicare ciò che prova ma non può o non sa dire.

L’azione aiuta l’adolescente a comunicare con il mondo esterno, e a controllare conflitti interni che percepisce come inaccettabili. Adelaide non piange, è controllata, mi spiega e mi conduce nel suo mondo:

 

“Sai, il dolore fisico è per me più sopportabile del dolore dell’anima”

 

La vergogna del tagliarsi

 

Lei si vergogna, vorrebbe smettere ma non ci riesce.

I comportamenti autolesivi sono accompagnati sempre da sentimenti di vergogna. Coloro che si auto feriscono quasi sempre tendono a isolarsi e a nascondere le proprie ferite, soprattutto per il timore d’essere giudicati.

Il terapeuta deve essere consapevole che gli adolescenti vivono un profondo conflitto interno tra autonomia e dipendenza, che genera paure, ansie e difficoltà.

“Pensare che sia una moda è un errore, un pensiero riduttivo che potrebbe interferire nella relazione terapeutica” [lo dice Adelaide?]

E ritorna l’empatia.

Gli obiettivi che mi prefiggo di realizzare con Adelaide:

  1. proteggere l’alleanza terapeutica
  2. prendersi cura della persona e promuoverne la crescita sana
  3. fornire un supporto empatico e caloroso che permette una buona gestione delle emozioni

L’accolgo, non la giudico, non mi spavento, resto in contatto con le sue emozioni. Cerco di capire: qual è il suo messaggio? cosa vuole comunicare?

Ed è nello “stare” con lei, nel qui e ora del nostro rapporto e nelle emozioni che entrambe “sentiamo”, che lei inizia a muovere i primi passi verso una gestione più sana e meno “pericolosa” di quelle emozioni che tanto le fanno paura.

 

Nadia Izzo

Psicoterapeuta

Psicologi In Ascolto