La psicologia politica nell’ “età dello smarrimento”. Riflessioni sulle nuove forme del disagio psico-sociale a partire dall’ultimo libro di Christopher Bollas.

Christopher Bollas è una figura di spicco tra i teorici della psicoanalisi contemporanea. Egli è membro della British Psychoanalytic Society, ed è un assiduo frequentatoredei concetti psicodinamici elaborati dai più importanti autori post-freudiani, in particolare da Melanie Klein, Wilfred Bion, Donald Winnicott e Jaques Lacan. Nel suo ultimo ed interessante saggio dal titolo Letà dello smarrimento. Senso e malinconia, Christopher Bollas propone una chiave di lettura dei fenomeni sociali e psicologici che attraversano lepoca contemporanea. Il suo modo di leggere i fenomeni storici ed antropologici, non del tutto nuovo ma certamente non comune, rende addirittura possibile immaginare il fondamento di una nuova disciplina, la psicologia politica, che sorgerebbe, come lo stesso termine suggerisce, dal contatto tra la psicologica e le scienze politiche. Questa proficua contaminazione consente di leggere la psicologia e la psicopatologia degli individui come il prodotto di una condizione psicologica transpersonale che viene ereditata ed interpretata da ciascun individuo in un modo particolare, ma che riguarda in realtà tutta la società. 

Un aspetto altrettanto importante, se non addirittura ancora più fondamentale, della psicologia politica è che non soltanto le vicende del singolo individuo possono essere ricondotte a quelle della collettività, ma che queste ultime possono essere osservate, descritte e comprese come parte di una psiche comune ai popoli ed al genere umano. Detto in altri termini, il collettivo è dotato anchesso di una identità e di una storia che, per quanto complesse e ramificate, si compongono di esperienze dotate di un valore psicologico e fatte dunque di sentimenti, emozioni, pensieri, fantasie, aspettative, immagini, ricordi, ecc.. In tal senso, le vicende storiche, i grandi e i piccoli avvenimenti che condizionano il corso degli eventi delle società, così come le scelte politiche e le azioni collettive sono in tutto e per tutto il frutto di dinamiche psicologiche che non appartengono al singolo individuo, ma transitano da individuo ad individuo, condizionando la natura delle loro relazioni e delle loro esperienze personali.  

Con queste premesse, diventa possibile avventurarsi in unanalisi della società contemporanea a partire dalla sua storia psicologica, cioè non soltanto dalla descrizione degli eventi oggettivi, ma delle esperienze soggettive transpersonali che continuano a produrre degli effetti nella psiche collettiva odierna. Ed è precisamente a questo punto che inizia lanalisi di Christofer Bollas sul mondo contemporaneo. Egli ritiene infatti che il mondo contemporaneo, ed in particolare il mondo occidentale, viva una profonda crisi psicologica, talmente profonda da essere paragonabile ad un vero e proprio collasso. Essa si esprimerebbe in una forma di melanconia caratterizzata dalla totale perdita di senso, di speranza e di gioia di vivere. Una sorta di angoscia mortifera che avvolgerebbe lumanità, privandola del necessario slancio vitale. <<Attualmente scrive Bollas le culture occidentali, e non solo, sono pervase da un senso di lutto collettivo che implica una perdita di fiducia nei valori un tempo apprezzati e nelle aspettative prima coltivate. [] Si direbbe che le catastrofi del XX secolo abbiano fatto scivolare il mondo verso lequivalente ideologico di una depressione clinica>>. 

Rispetto alle ragioni che avrebbero fatto precipitare il mondo allinterno di questo stato di disperazione, Bollas individua una serie di passaggi storici che cominciano intorno al XVII secolo, ma che si manifestano in modo più evidente alla fine del XIX secolo e nel XX secolo. Probabilmente, il fattore più importante di questo cambiamento è costituito dallaffermazione incontrastata del capitalismo su scala globale e da tutti i processi ad esso legati, come la rivoluzione industriale e tecnologica, lurbanizzazione, laffermazione della borghesia e dei suoi valori liberali, laccellerazione dei ritmi di vita, il produttivismo esasperato, il consumismo, ecc.. Tuttavia, è bene ribadirlo, secondo Bollas, il problema del mondo contemporaneo è <<anzitutto un problema psicologico1. Benchè sia necessario affrontarlo anche da altri punti di vista, come quello economico, ambientale, dei diritti umani, ecc., se non comprendiamo le dinamiche di questo caricopsicologico collettivo, rischiamo che la società contemporanea vada incontro a unentropia esplosiva>> (Bollas, 2018, p. 200).  

Laspetto oltremodo allarmante di questa condizione di depressione sociale è che gli individui e la società nel suo complesso sembrano del tutto, o quasi del tutto, inconsapevoli di soffrirne ed ancor più ignari delle ragioni che potrebbero determinarla. Infatti, scrive Bollas, <<così come una persona può non essere consapevole di soffrire di depressione, anche un gruppo un Paese, una città, una regione, una nazione o lintera comunità globale può essere afflitto da una sofferenza mentale cronica, senza saperlo>>. Infatti, <<quando uno stato mentale è il risultato di una situazione immutata o prolungata, potrebbe non essere più percepito come un modo di sentire. Al contrario, può trovar posto nellorganizzazione strutturale del mondo interiore, assestandosi in esso come assioma inconscio. In particolari circostanze, tali assiomi [] possono evolvere in pattern o consuetudini di pensiero che finiscono per diventare strutture organizzatrici in grado di generare automaticamente mentalità o forme di comportamento allinterno di una società>> (Bollas, 2018, pp. 27-28). 

La depressione melanconica della nostra mente sociale è caratterizzata innanzitutto dalla perdita di significato esistenziale, di amore per la vita e per gli altri e di sensibilità estetica, cioè della capacità di gioire della bellezza che ci circonda. Tutto ciò ha coinciso storicamente con uno stravolgimento, imposto dalla mpodernità, degli equilibri socio-psicologici che avevano caratterizzato la vita delluomo per tutti i secoli passati, provocando un brusco allontanamento dai ritmi di vita e dai significati più profondi a cui eravamo legati. In particolare, possono essere evidenziati tre grandi ordini di fratture: 

1)Quella dei legami con il mondo naturale, tramite lo sviluppo tecnologico e l’urbanizzazione; 

2)La frattura dei legami con le culture tradizionali, tramite l’imposizione di un’ideologia modernista e progressivista, basata sull’idea che il futuro è sempre preferibile al passato e che la storia umana si compie inevitabilmente attraverso un processo di sradicamento; 

3)la frattura dei legami con le religioni e la spiritualità, tramite l’imposizione di un’ideologia empiricista, operazionista e materialista, dominata dal pensiero razionale e scientifico, che riduce la vita stessa ad un insieme di meccanismi insensati. 

Privato dei suoi ancoraggi e delle sue radici più profonde, ed atterrito di fronte ad unesperienza insostenibile di lutto e separazione, luomo moderno finisce per costruirsi unideologia centrata sullaffermazione di sé e dei propri bisogni egoistici e, dunque, sullindividualismo, lodio, la sopraffazione e la fuga senza fine. Nel tentativo di cancellare, il più presto possibile, lo stato di disperazione in cui si trova, egli precipita in una condizione maniacale dominata da una insaziabile bramosia e dal dominio dellEs, ponendosi dunque necessariamente in continua competizione con gli altri uomini e con gli altri esseri viventi.  

La ricerca spasmodica di soluzioni rapide ed operative, a scapito della riflessione, si ripercuote purtroppo anche sulle strategie adottate nel campo della salute mentale. Si è cioè diffusa la preoccupante convinzione che, <<davanti alle sfide della vita mentale la forma di un sintomo, il fitto groviglio degli stati danimo, le questioni legate al passato ed alla personalità di ciascuno il rimedio migliore consista in un intervento che elimini gli effetti generati dalle problematiche stesse. A tutto questo si aggiunge un nuovo assioma: la soluzione al problema della vita mentale è un programma in grado di offrire indicazioni su come agire, e i clinic devono garantire forme di trattamento di provata efficacia>> (Bollas, 2018, pp. 121-122). 

Ben lungi dal contrastare il mito dellindividualismo, la psicologia e la psichiatria contemporanee finiscono molto spesso per confermare gli assiomi ideologici del capitalismo globale. Ad esempio, quello di considerare la psicopatologia come un difetto di funzionamento dellindividuo e la terapia come un processo di riadattamento e rinormalizzazione, che deve aiutare lindividuo a riprendere il proprio funzionamento in modo da realizzare efficacemente i propri obbiettivi. Così facendo, la psicologia clinica finisce per essere uno strumento funzionale del sistema patogenetico che causa il disagio mentale, anziché esserne il rimedio e la cura. Rinchiudendo lindividuo in una gabbia solipsistica in cui tutto ciò che conta è se stessi ed i propri egoistici bisogni di autoaffermazione, si contribuisce ad alimentare limmenso vuoto che separa il singolo dai suoi simili, rendendo ciascuno sempre più efficiente, ma anche sempre più solo.  

Tuttalpiù, il disagio psicologico viene ricondotto allinterno della storia e della condizione della famiglia da cui lindividuo proviene. In questo modo, la psicologia clinica circoscrive il campo della sua indagine esclusivamente alla dimensione individuale e familiare, senza comprendere come le vicende familiari sono profondamente influenzate dai contesti socio-culturali in cui le famiglie si formano e vivono.  

In conclusione, quindi, possiamo dire che la psicologia politica di Bollas si pone in contrasto con la maggior parte degli psicologi contemporanei, che hanno circoscritto il campo di indagine dei fenomeni psichici alle avventure (e disavventure) dellindividuo e del suo nucleo familiare. Bollas sostiene fermamente la necessità di proiettare la dimensione psichica in una prospettiva ben più allargata, in quanto la mente individuale è sempre inserita allinterno di una collettività e di una mente sociale. Questa visione delle cose, che, come accennavo prima, parte innanzitutto dallosservazione e dalla sperimentazione attiva delle dinamiche che si sviluppano nei gruppi terapeutici, è già di per sé qualcosa di estremamente significativo e meritevole di attenzione, perché attacca uno dei miti fondatori del capitalismo globale: il culto dellindividuo isolato. Un individuo che, grazie alle infinite potenzialità offerte dalla tecnologia e dal progresso scientifico, si crede capace di autocostruire la propria realtà e la propria identità in maniera indipendente dalla relazione con gli altri. Eil cosiddetto “self made man”, luomo che si è fatto da solo. Lindividuo che non ha davvero interesse per lAltro, se non come puro strumento di soddisfazione dei propri bisogni e come specchio in grado di riflettere le proprie narcisistiche vanità. 

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare superficialmente, questa sorta di delirio individualistico non ha leffetto di potenziare le risorse della soggettività, ma al contrario, di impoverirla ed inaridirla, fino a minacciare leventualità di una sua stessa dissoluzione.  

La soggettività, intesa sia come sensibilità consapevole che come esercizio di intenzionalità, emerge infatti da un campo gruppale che è al contempo intersoggettivo ed intrapsichico. Carl Gustav Jung aveva chiamato “inconscio collettivo” la dimensione transpersonale dello psichismo da cui lIo prende le mosse senza mai potersene totalmente affrancare (Jung, ). Se si illude di eliminarlo o di dominarlo, finisce per cadere vittima di complessi inconsci che lo controllano senza che se ne renda conto. 

E difatti, a ben vedere, il culto dellindividualismo ha come effetto proprio quello di disintegrare la soggettività, rendendola completamente succube di meccanismi su cui non possiede il minimo controllo. Questo fenomeno si osserva in maniera molto evidente nei fenomeni di dipendenza, che dilagano in maniera sempre più preoccupante investendo pericolosamente anche letà infantile. Nel tentativo di raggiungere in modo rapido e veloce il proprio benessere senza passare al vaglio della relazione con laltro e con il collettivo, lindividuo dipendente finisce per costruire da sela propria prigione, rinchiudendosi nellinferno della ripetizione compulsiva. 

 

Dott. Antonio Alcaro

Psicologo e psicoterapeuta
dottore di ricerca in psicobiologia e psicofarmacologia

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