È il 28 marzo del 1941 quando nel fiume Ouse, nei pressi di Rodmell in Inghilterra, non molto distante da casa, si toglie la vita una delle scrittrici più importanti e influenti non solo del Novecento ma di tutta la storia della letteratura, Virginia Woolf. Prima di suicidarsi, riempendosi le tasche della giacca di pietre pesanti e immergersi nelle acque del fiume, la scrittrice lasciò un messaggio al marito Leonard, una lettera che cominciava con queste parole: “Carissimo, sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare”.
Una vita senza dubbio tormentata, quella di una donna sensibile e profonda, con una mente geniale, ma si sa, c’è sempre un pizzico di follia nel genio. Virginia Woolf soffriva di disturbo bipolare a cui sembrano essersi uniti, nell’ultimo periodo della sua vita, dei sintomi psicotici. Nei suoi romanzi riversava il suo male di vivere e la sofferenza dell’esistenza umana e ne faceva arte letteraria, in questo modo l’atto di scrivere risultava anche una terapia per la scrittrice, un modo per evadere dal suo malessere interiore e farlo fuoriuscire trasformandolo in parole scritte, in arte. Sicuramente i disturbi mentali della scrittrice hanno influenzato non solo la sua vita ma anche la sua arte. Il monologo interiore da cui fuoriesce il flusso di coscienza dei personaggi è una tecnica distintiva e utilizzata assai spesso dalla Woolf in tutti i suoi romanzi, La signora Dalloway (1925), Gita al faro (1927), Le onde (1931), solo per citarne i più famosi. Quest’ultimo, Le onde, è il più sperimentale di tutti dove le voci dei personaggi si intrecciano e inseguono mescolandosi e confondendosi tra di loro.
Un personaggio molto complesso e interessante de La signora Dalloway è quello di Septimus Warren Smith, un veterano della prima guerra mondiale che soffre di disturbi mentali dal momento che ha visto il suo migliore amico morire di fronte a lui. Se Clarissa Dalloway, la protagonista del romanzo, rappresenta la parte evidente e in luce della scrittrice, quella perfezionista e appartenente alla società britannica dell’epoca, il coprotagonista Septimus rispecchia invece il lato maschile, oscuro e tormentato di Virginia Woolf. Le vicende dei due personaggi si intrecciano nella giornata del compleanno di Clarissa, sfiorandosi senza mai toccarsi, ma risultando appartenenti a una stessa anima, come le due facce di una stessa medaglia, come la vita e la morte.
