Ispirati dalla giornata della memoria del 27 gennaio, abbiamo voluto ricordare l’orrore rivelato in quel lontano 1945 con la ‘scoperta’ dei campi di concentramento, i luoghi simbolo della violenza perpetuata su milioni di persone a cui era stata negata la propria identità, stigmatizzata da un’ideologia che vedeva nella diversità dell’Altro un problema da eliminare.
L’antisemitismo, il nazismo, così come ogni forma di razzismo e intolleranza, si può sviluppare solo nell’assenza di una normale relazione dialogica tra gli uomini, ossia quando gli uomini, a causa di determinate condizioni esistenziali e culturali, dimenticano la comune appartenenza ad un medesimo contesto di vita e non possono più, o smettono, di comunicare tra loro.
Il vuoto lasciato dalla mancanza di relazione, viene riempito da ideologie alimentate dalla paura e dalla rabbia, ideologie che vedono nell’altro solo l’oggetto di un proprio discorso che si basa sulle differenze visibili e si autoperpetua. Senza una soggettività che le spiega e una soggettività che le ascolta, queste differenze inquietano e divengono tratti da combattere, eliminare e/o controllare.
L’unico vero antidoto a queste forme di pensiero è l’incontro autentico tra le persone e la conseguente possibilità di ascoltare le storie che diano senso alle diversità visibili che possono spaventare.
Purtroppo, seppur semplice in teoria, l’incontro autentico è un antidoto sempre molto complesso, anche in tempi di pace. Il manicomio ne è un esempio lampante: la creazione moderna di un contenitore a-specifico di devianze e stranezze che turbavano la vita di una comunità che non aveva, e non ha ancora oggi, la possibilità di mettersi in ascolto. Il ‘confino’, la separazione ‘violenta’ da una comunità, diveniva così la soluzione per una società sempre più razionale e frenetica che non poteva fermarsi di fronte a chi poneva problemi con la propria inquietante diversità.
Lo stigma è sempre pronto, trasformandosi e adattandosi alla cornice culturale del momento, a svilupparsi per rassicurare separando, dividendo le persone tra loro.
Il lavoro di Basaglia e della sua equipe si è basato proprio sul recupero di un rapporto centrato sul ‘tu’ con le persone che soffrivano di un disagio mentale: attraverso questo ascolto si è riuscito a recuperare il senso di migliaia di vite che le diagnosi psichiatriche nascondevano. E la lotta allo stigma si è rivelata una battaglia cruciale nell’ambito della salute mentale.
Per tali motivi, per noi è fondamentale ricordare. Fondamentale per portare avanti in modo ancora più deciso la lotta contro tutte le forme di pregiudizio, soprattutto in un momento storico come quello attuale, in cui molte certezze con cui siamo cresciuti sembrano annegare nel mare di informazioni imposto dalla nuova era digitale.
Viviamo, infatti, un momento paradossale in cui le nuove tecnologie d’informazione, che hanno messo in rete il mondo e connesso miliardi di persone tra loro, sembrano, al contrario, favorire divisioni e pregiudizi.
In assenza di un incontro reale, di uno spazio autentico di incontro, di una effettiva uguaglianza tra le persone, i social spesso enfatizzano le differenze e l’individualismo più spinto e promuovono una solitudine inquietante in cui l’altro non viene interpellato in quanto tale, ma solo utilizzato per confermare o meno la propria identità. Un’identità senza memoria, senza storia, non compresa e costruita a tavolino.
Solo ricordando ‘chi’ realmente siamo, scoprendo insieme alle tante persone che ci circondano e condividono uno stesso contesto di vita ‘da dove veniamo’ e ‘dove vogliamo andare’, ci si può ‘centrare’ e comprendere davvero, trovando quella sicurezza che non si nutre di rabbia e paura, ma di un sano riconoscimento reciproco.
L’alternativa è una paura sempre pronta a generare nuove ideologie per rassicurare se stessa in assenza di un ‘Tu’ con cui potersi confrontare, e confortare, veramente.