Lavoro e maternità, diritti per la parità dei sogni

“Donne e società” è un tema che contiene disparità e ingiustizie. Cominciando dalle disparità professionali (pregiudizio e discriminazione) che le donne subiscono nel momento in cui sanno di doversi occupare a tempo pieno del proprio neonato.
Continuando con un dato: in Italia, l’Osservatorio Nazionale Mobbing ha registrato tra il 2013 e il 2015 ben 800.000 donne licenziate o costrette a dimettersi, di cui 350.000 discriminate per la maternità o per esigenze familiari. E 4 donne su 10 avendo subito mobbing dopo il parto sono state costrette a dimettersi: 21% al Sud, 20% al Nord-Ovest, 18 % al Nord-Est, il resto nelle isole e nelle periferie (Fonte:https:// www.osservatoriodiritti.it/2017/04/18/mamme-tra-mobbing-e-discriminazioni/)

Le aziende non sono ben disposte a dare congedo di maternità alle lavoratrici, in quanto il prezzo da pagare sarebbe di 5.822 euro (quota risalente al 2008). In più graverebbero ulteriori costi di sostituzione e di formazione per inserire un’altra persona. Ciò sfavorisce le assunzioni delle donne giovani, favorendo, quindi, quelle degli uomini (Fonte: https://www.bossy.it/la-maternita-la-piugrande-minaccia-donna-lavora.html)

Tra l’altro, lo Stato, attraverso l’Inps (Istituto nazionale previdenza sociale), paga soltanto una parte dei costi del congedo e l’azienda ne paga la parte restante più altre tasse e costi.
Inoltre, le imprese non sempre pagano le somme dovute o non tutta la quota spettante.
La situazione ideale sia per le donne in materità, sia per le aziende sarebbe data dal totale pagamento del congedo da parte dello Stato.

Ma è facile intendere come il problema non sia soltanto di colore economico, ma anche culturale, dato dalla diffusa mancanza tra gli italiani di una visione che valorizzi la donna, che concepisca la parità di genere in ogni ambito sociale.
Per fortuna esiste una legge che difende le lavoratrici discriminate e licenziate per gravidanza o per maternità: la legge 151/2001 che vieta «qualsiasi discriminazione per ragioni connesse al sesso», con particolare riguardo a ogni trattamento sfavorevole «determinato dallo stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive».

Altra disparità è data dalle retribuzioni. La Cisl (Confederazione italiana sindacati lavoratori) sta lavorando per l’equità di trattamento tra uomini e donne. L’8 marzo scorso, la stessa Giovanna Ventura (segretaria Cisl) ha dichiarato: “Anche sul piano delle retribuzioni, le donne guadagnano quasi il 10% in meno rispetto agli uomini (in Europa la media è del 17%). Uno dei motivi è che le donne hanno più difficoltà a conciliare impegni di lavoro e familiari. Di conseguenza, sono loro, soprattutto, a scegliere il lavoro a tempo parziale ed ad interrompere continuamente la propria carriera, con conseguenze dirette sui salari e sulle future pensioni. La parità di retribuzione sarebbe un grande stimolo ai consumi ed all’economia europea e solleverebbe milioni di donne dalla povertà. Questa è la battaglia che stiamo portando avanti insieme alla Ces, il sindacato europeo”.

La dirigente Cisl ha poi aggiunto: “Non è un caso se in fatto di natalità il nostro paese è tra gli ultimi posti in Europa come hanno confermato i nuovi dati dell’Istat. Una donna su 3 lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio. Rispetto al resto dell’ Europa in Italia sono ancora poche le madri con un bambino che lavorano (57,8 % contro 63,4 %) e, soprattutto, se paragonate agli uomini (86%). Quando poi i bambini crescono i numeri crollano al 35,5 % (la media Ue è del 45,6 % ). In molti casi la rinuncia alla maternità va collegata direttamente anche all’inadeguatezza di servizi a sostegno della genitorialità. In Italia solo il 18% dei bambini trova posto negli asili nido pubblici, mancano politiche finalizzate alla conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, allo smart working, alla flessibilità negli orari. Non è solo un problema di leggi da far rispettare. Dobbiamo fare di più con la contrattazione nazionale, aziendale e nei territori, ponendo le condizioni per una valorizzazione ed una specificità del lavoro femminile” (Fonte: https://www.cisl.it/primo-piano/ 5089-8-marzo-ventura-la-cisl-non-sciopera-ma-aderisce-a-iniziative-ces-su-disparita-salariale-ineuropa-le-donne-guadagnano-il-17-in-meno-rispetto-agli-uomini.html)

Altro importante contributo rilasciato in un’intervista pubblicata lo scorso 6 maggio è quello di Loredana Taddei, responsabile nazionale Cgil delle Politiche di Genere, la quale si è espressa così: “ll principio di parità fra uomini e donne, e il principio di non discriminazione, sono principi profondamente ancorati alla nostra Costituzione. Basterebbe applicarla”. Inoltre, la sindacalista ha fatto bem intendere che la maternità per le stesse donne ha un costo molto elevato “specie se sono sole o a basso reddito. I padri che lasciano il lavoro dopo la nascita di un figlio ci sono, ma in misura ridotta. Troppo ancora inadeguate le politiche per la conciliazione, c’è poi la necessità di mettere in campo maggiore welfare pubblico, maggiori servizi. Bisogna considerare la maternità come problema sociale. Basti pensare che secondo l’Istat, in Italia ci sono 22,5 posti in asilo nido ogni 100 bambini tra 0 e 3 anni. Ben al di sotto dei 33 posti indicati come obiettivo strategico dalla Unione Europea”.

Ed ha spiegato che “abbiamo una politica che fa fatica a parlare di donne e di lavoro, si parla ancora di “mamme”, come negli Anni ’50”.
E In un ottica più generale ha affermato: “il nostro mercato del lavoro soffre storicamente di una bassa partecipazione delle donne. Sulle donne si sono scaricati maggiormente i costi di questa lunga crisi, aumentando le differenze tra donne del nord e del sud del Paese, dove più acuta è la mancanza di un welfare pubblico e di opportunità. Le donne, dunque, scontano più di altri le discriminazioni e soprattutto le disuguaglianze crescenti. Non solo quelle tra uomini e donne, ma anche tra le stesse donne. Continuiamo ad essere tra i paesi con minore partecipazione delle donne nel campo economico e tra quelli con maggiori disparità salariali nella classifica mondiale della parità di genere.

La maternità continua a essere considerata il discrimine nell’accesso e nella permanenza nel mercato del lavoro. E i problemi di conciliazione dei tempi di vita, con la crisi sono aumentati. Nel nostro Paese più che in altri manca una vera cultura della parità di genere e gli investimenti necessari per favorire l’occupazione femminile, che non sia occupazione povera”. Infine, sui dati in crescita dell’occupazione femminile in Italia ha aggiunto: “l’Istat ha sottolineato che il tasso di occupazione delle donne (15-64 anni) a giugno abbia raggiunto il 48,8%: il valore più alto dall’avvio delle serie storiche (dal 1977). D’altro canto, i dati Eurostat ci dicono che l’Italia è agli ultimi posti nel confronto europeo, solo la Grecia fa peggio. Difficile dunque esultare e lunga la strada ancora da fare. Lo dimostrano anche i risultati dell’ultimo Global Gender Gap Report 2017 redatto dal World Economic Forum: il divario tra uomini e donne nel nostro paese ha fatto piombare l’Italia all’82esimo posto nella classifica su 144 paesi. Siamo dietro alla Grecia. Il calo in un anno è stato di ben 22 posizioni”. (Fonte:https://winningwomeninstitute.org/news/intervista/maternita-come-problema-sociale/) maggio, 2018)

In merito alle soluzioni, nel panorama istituzionale italiano emergono le realtà del Piemonte e di Milano.
L’assesore regionale del Piemonte, Monica Cerutti, ha infatti dato vita al progetto R.I.E.N.T.R.O (Rimanere Entrambi Responsabili e Occupati), mentre il Comune milanese ha istituito un “Master per mamme”.
R.I.E.N.T.R.O consiste in un un bando a cui possono far domanda le mamme lavoratrici. Le madri ottengono così un contributo volto a sostenere il loro rientro lavorativo, nel caso in cui il padre fruisca del congedo parentale.
Mentre il Master per mamme è una vera e propria occasione per sviluppare le capacità che emergono dall’esperienza della genitorialità come la gestione del tempo, l’empatia, la capacità di collaborare con gli altri, la creatività.
L’uguaglianza di genere in Italia riguarda soprattutto gli uomini, i quali dovrebbero ridefinire alcuni limiti culturali, poichè le donne sono già in lotta da tempo per la parità dei sogni.

 

Andrea Terracciano