Al Museo Laboratorio della Mente non c’è spazio per la nostalgia

«Io sono contro la vena nostalgica. Perché sono vivo e ho voglia di fare delle cose. La nostalgia la posso concedere a quelli che hanno abbassato le mani, che non hanno più voglia di fare niente. Fino a quando lavoro qui dentro, tutto mi posso permettere tranne la nostalgia». Con queste parole il dott. Pompeo Martelli presenta il Museo Laboratorio della Mente, ospitato nell’ex manicomio Santa Maria della Pietà, di cui è attualmente direttore.

Per Martelli l’obiettivo non è ricordare il manicomio per quello che è stato, ma cercare di rendere lo spazio un polo moderno, attrattivo e aperto a tutti. «Questo non è il museo della psichiatria, cosa che ne farebbe un caso particolare: non vogliamo che sia un museo di “fenomeni da baraccone”, di esempi di “genio e follia”. Questo è un laboratorio. È un Museo della narrazione dove si guarda alle politiche della comunità, ai processi psichici e a come questi siano integrati con le relazioni e con le nostre esperienze di vita».

Nella biblioteca della struttura, nel quartiere Monte Mario a Roma, c’è un’installazione che rende bene questo concetto. Si tratta di “portatori di storie”, realizzata dal Museo Laboratorio della Mente e da Studio Azzurro, in collaborazione con la UOS Centro Studi e Ricerche e il Dipartimento di Salute Mentale ASL Roma E. Proiettate in scala reale, appaiono al visitatore le immagini di persone che camminano nel lungo corridoio. Sono i pazienti, gli operatori, i familiari che raccontano e testimoniano la loro esperienza. «Per sentirle sei costretto a toccarle. Materialmente: per sentire le loro storie devi fare quel gesto, ancora così umano, del toccare. Solo allora si fermano, si girano e si raccontano. Li puoi accompagnare per mano». Così si ha la possibilità di confrontarsi con l’esperienza diretta del disagio mentale, attraverso le storie di chi lo vive. «Con la speranza che le persone possano tornare a casa con una capacità, una conoscenza in più. Che possano diventare parte del nostro programma».

Il progetto del Museo è antico. Nasce subito dopo la chiusura dell’ospedale psichiatrico, nel 1999, a cui è seguito un periodo pionieristico fatto soprattutto di volontariato. Nel 2008 si intraprende un importante percorso di ricerca che coinvolge anche Studio Azzurro, un gruppo di artisti che realizza “videoambienti”, spazi sensibili e interattivi. Percorsi dove l’immagine elettronica e l’ambiente fisico si compenetrano, performance teatrali e film, disegnando un sentiero artistico trasversale alle discipline tradizionali. La struttura del Museo viene inaugurata e diventa un vero e proprio laboratorio di narrazione: alcune stanze dell’ex-manicomio si riempiono ancora una volta di suoni, immagini, “oggetti parlanti” ed evocativi. Le memorie del manicomio ritornano ma si trasformano in fantasmi-video, voci e sogni. “Per una lettura dell’alterità, delle sue forme e dei suoi linguaggi, per combattere lo stigma e promuovere la salute mentale”.

Negli anni, faticosamente, il museo esce dal volontariato e dalla micro-precarietà. L’anno scorso raggiunge il traguardo delle 28.000 presenze. Tantissimi sono gli studenti che lo visitano. Vengono da tutta Italia ma anche da Germania, Francia, Svizzera. «È diventato – aggiunge il dott. Martelli – un propulsore di studi frequentato sia dai ricercatori che dai ragazzi dalle scuole elementari. Soprattutto perché la narrazione qui nasce interattiva». E il percorso non si ferma qui. Il museo come futura impresa sociale: è questo il progetto vero che vede l’inserimento di persone con disabilità e con disagio psichico.

Col nuovo Giubileo il Santa Maria della Pietà riaprirà uno spazio alloggiativo in due diversi padiglioni. In maniera più “lucida” rispetto al Giubileo del 2000, quando furono realizzati 400 posti, con uno sperpero di fondi ed energie. «Non sarà l’esagerazione di un albergo – spiega Martelli – ma piuttosto un ostello che possa rimanere aperto anche in futuro. Ci sarà uno spazio ristorazione, la struttura del parco accoglierà i visitatori e nel post-Giubileo i giovani viaggiatori. È un passaggio importante anche per riqualificare il quartiere. Un progetto che implica maggiore attenzione agli altri spazi inutilizzati. E una nuova ridistribuzione dei servizi, come ad esempio la possibilità di ospitare la ricerca e lo staff che si occupa di tecnologie. Darebbe lavoro a decine di persone e sarebbe molto interessante per un discorso di inserimento lavorativo degli utenti psichiatrici».

Sottolinea Martelli: «Non è stato facile realizzare tutto questo, perché spendere soldi nell’idea di un museo era una cosa che ad alcuni sembrava inutile. Secondo questa visione un’opera, se è culturale, non è sanitaria. Ma questa scissione delle due dimensioni è una cosa stupida. Perché i progetti culturali sono all’interno di una visione ampia della salute». La “cultura della salute” passa anche da progetti come questo, che creano lavoro e promuovono la salute mentale. Progetti di lungo respiro quindi, attraversabili da tutti e con gli occhi puntati al futuro.

«Sono “bonariamente ostile” – racconta il direttore – al revival dei manicomi: non avete idea di quante richieste di servizi fotografici sull’ex-Ospedale Psichiatrico ricevo! Se nel 2015 dobbiamo ancora parlare dell’ex-manicomio significa che qualcosa non funziona. Per quanto le foto possano essere belle io credo che non servano a niente. Piuttosto che un ritorno ad un passato che non passa, perché non valorizzare il materiale che è già in archivio? Esponendolo, togliendolo alla muffa e al buio, elaborandolo. Allora si stavano leggendo i fenomeni della trasformazione: Gianni Berengo Gardin e Carla Cerati, quando realizzano il reportage dal manicomio per “Morire di classe”, hanno una funzione sociale e trasformativa. Qual è questa funzione nella foto di un ex-manicomio adesso? Non voglio vedere le mura estetizzate: voglio vedere le persone. Parlarci. Capire come va la psichiatria oggi, come stanno le persone, quali sono le sofferenze e le difficoltà. Piuttosto del servizio con la camera di contenzione vuota, vorrei vederne uno con la clinica piena di anziani abbandonati. Insomma, si torna al punto: non si può leggere il presente con nostalgia».