Chiusura OPG e legge 81: la fine di un’inciviltà

Il 31 marzo 2015, secondo quanto prescrive la Legge n.81 del 2014 c’è stata la chiusura degli OPG, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.

I cambiamenti sono tanti e saranno progressivi. Con questa legge cambia il luogo di esecuzione della misura di sicurezza prevista per l’infermo di mente autore di reato e per il condannato divenuto infermo di mente. Infatti, finora questo luogo era l’Opg, oggi è la Residenza per l’esecuzione della misura di sicurezza (Rems). Quello che non muterà è la struttura della misura di sicurezza definita dal Codice Penale, cioè una misura detentiva che, ovunque sia eseguita, continua a mantenere il duplice scopo di curare e di custodire per far fronte sia all’infermità che alla pericolosità sociale. Si tratta dell’articolo 222 del Codice Penale, adesso il passo successivo sarà quello di modificare questo articolo ed eliminare anche le Rems e prevedere per questi tipi di reati una reclusione in vere e proprie carceri che si dovranno dotarsi di settori appositi per provvedere alla custodia e alla cura dei detenuti. Comunque, con l’introduzione delle Rems ci sono già dei cambiamenti importanti: innanzitutto, l’autorità responsabile degli istituti che eseguono la misura di sicurezza psichiatrica, per gli Opg era il ministero di giustizia, oggi è la sanità regionale; poi c’è un cambiamento anche per il tipo di personale, prima era prevalentemente giudiziario da oggi sarà tutto sanitario. Mentre l’attività perimetrale di sicurezza e vigilanza sarà di competenza della pubblica sicurezza.

L’inciviltà degli Opg nasce con il codice penale fascista del 1930, da qui parte l’idea di internare detenuti pazzi e pericolosi proprio negli Opg. Ma chiudere degli esseri umani in gabbie e buttarne le chiavi non è un’idea lungimirante. Eppure è stato fatto, secondo la legge di questo stato, nei 6 Opg italiani: Montelupo Fiorentino; Aversa (Caserta); Napoli; Reggio Emilia; Barcellona Pozzo di Gotto (Messina); Castiglione delle Stiviere (Mantova). Nel 2008 il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa visita un Opg. Dopo aver letto il rapporto del Comitato, il governo italiano è costretto a giustificarsi, infatti, la legge in vigore non prevede un limite per l’esecuzione delle misure temporanee. Nel 2010, la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale effettua ripetuti sopralluoghi a sorpresa nei 6 Opg. Le modalità di attuazione osservate in questi luoghi lasciano intravedere pratiche cliniche inadeguate e, in alcuni casi, lesive della dignità della persona. La legge del 14 febbraio 2012 dichiara che a decorrere dal 31 marzo 2013, le misure di sicurezza del ricovero in Opg siano eseguite esclusivamente all’interno delle strutture sanitarie. Poi la prima proroga il 31 marzo 2013, poi la seconda il 31 marzo 2014. Oggi la fine.

Attualmente, la vera follia è che dei 750 internati circa la metà è dichiarato dimissibile (cioè non socialmente pericoloso) e ricoverabile in altre strutture. Le Rems devono ospitare solo ed esclusivamente i pazienti non dimissibili, affetti da patologia mentale permanente, socialmente pericolosi e per i quali ci sia un rapporto diretto fra malattia e il reato commesso. Mentre tutti gli altri devono stare fuori e sono i Dsm ad assisterli negli ospedali. È soprattutto su di loro che le regioni devono investire. La politica giusta da applicare è: meno Rems e più risorse per il territorio.

Il 31 marzo 2015 è stata quindi una tappa fondamentale nella strada dell’affermazione dei diritti e cittadinanza di uomini e di donne finora esclusi. Ma non ci si deve fermare alla chiusura degli Opg e si deve continuare nel percorso di contrasto alle Rems. Intanto, vanno commissariate subito le regioni che non si sono fatte carico delle persone internate nei loro territori. Va intensificato e completato con le dovute attenzioni per ogni paziente, il trasferimento di oltre 700 persone nei servizi esterni agli Opg, organizzare le dimissioni e privilegiare le misure alternative alla detenzione per evitare nuovi ingressi. Si potrà così rendere sempre più residuale la risposta di internamento nelle Rems. Questa fase transitoria va utilizzata per ridurre drasticamente il numero di queste residenze sanitarie ma, pur sempre inequivocabilmente detentive indirizzando risorse e personale verso i Dsm e i servizi socio sanitari nel territorio. Anche per evitare categoricamente che gli operatori dei servizi svolgano funzioni di custodia come al tempo dei manicomi.

L’articolo è stato pubblicato originariamente sul portale dell’aslc dal Centro Studi e Documentazione Luigi Attenasio