Dire che in Europa siamo fanalino di coda non è più una novità. Probabilmente, ora che anche nella cattolica Irlanda il matrimonio omosessuale non è più tabù, il fanalino si è definitivamente fulminato. Nell’Irlanda in cui ancora oggi l’aborto è un reato e l’omosessualità lo è stata fino a vent’anni fa, quasi il 60 per cento dei votanti, tra cui molti cattolici, ha sancito che tutelare giuridicamente e costituzionalmente le unioni tra persone dello stesso sesso, non fosse un attacco devastante alla civiltà. Anzi.
A voler guardare oltreoceano, anche la Corte Suprema ha stabilito che in base al Quattordicesimo emendamento della Costituzione – quello sull’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge – i 50 stati americani devono permettere a tutti i cittadini di sposarsi con chi vogliono.
Ma l’Italia arranca. E il famoso fanalino si accende di intolleranza: a una settimana di distanza, le strade e le piazze di Roma si sono riempite degli opposti colori del Gay Pride e del Family Day. Da una parte chi vuole riconosciuta uguaglianza e diritti per la comunità Lgbtq, dall’altra chi teme che questo coincida con la perdita dei propri diritti. Ha certamente ragione Aurelio Mancuso, quando scrive che “gran parte di quelle famiglie a piazza San Giovanni, [sono] un pezzo evidente della crisi, la rappresentazione di politiche inesistenti per il diritto alla maternità, alla conciliazione dei tempi, ai servizi, agli asili, agli aiuti economici: tutti strumenti che nei paesi dove le differenti famiglie sono riconosciute, aiutano il cambiamento”. Ma sono anche rappresentazione di un discorso che, sebbene anacronistico, ritorna ogni volta che si tenta di dare uguaglianza a categorie prima emarginate.
Perché riconoscere i diritti delle donne? Presto pretenderanno di non obbedire ai padri e ai mariti e poi pretenderanno uno stipendio uguale sul posto di lavoro!
Perché dovremmo dare dei diritti ai neri? Prima hanno voluto sedersi dove sedevano i bianchi, e poi cosa succederà? Vorranno anche votare? Un giorno potrebbero addirittura venire eletti Presidenti!
Il voto irlandese dimostra che includere nuove categorie nel diritto non limita le altre, anche in un Paese con una forte tradizione cattolica che non sarà per questo umiliata, messa in disparte o costretta a tacere. Quello che risulta inconcepibile, in definitiva, è in che modo, difendendo il matrimonio gay, si starebbe andando contro la famiglia tradizionale? Se esiste una famiglia omosessuale, una eterosessuale ne risulta disintegrata?
Una legge che riconosca tutte le famiglie non toglierà qualcosa né imporrà un unico modello di famiglia: semplicemente consentirà di essere responsabili dei propri partner e dei propri figli davanti allo Stato, proteggendoli anche giuridicamente.
Quello dei figli è appunto il tema più scottante, su cui si è scagliata la macchina della paura messa in moto dal fronte omofobo. Una campagna sul pericolo della cosiddetta “ideologia gender” che metterebbe a repentaglio l’innocenza e la salute dei minori.
Allo stato attuale non esiste nessun parametro psicologico o evolutivo per dimostrare che per i bambini sia controindicato crescere con genitori omosessuali. Risulta evidente sia da vari studi scientifici (Stacey e Biblarz, 2001; Biblarz e Stacey, 2010) che da un rapporto ufficiale sulla genitorialità di lesbiche e gay dell’American Psychological Association del 2005. E pare che lo confermino anche i ricercatori italiani, che a Pavia, guidati dalla Dott.ssa La Marca e dal Dott. Rovetto, stanno cercando se vi siano eventuali differenze legate all’orientamento sessuale nel poter essere un buon o cattivo genitore. I primi risultati, pubblicati sulla rivista “State of Mind”, sembrano dimostrare che non vi siano differenze e che quindi anche le coppie omogenitoriali siano pronte ad essere famiglie adottive.
Ma cos’è una famiglia? Cosa vuol dire essere genitori? Che qualcuno dimostri che per esserlo bisogna avere un colore o un orientamento. Che qualcuno spieghi perchè un uomo la cui moglie muore di parto non può crescere suo figlio “senza la figura materna”, ché non sarà mai abbastanza perché è solo un uomo, o che dica, questo qualcuno, a una madre il cui marito è fuggito con un’altra, che non potrà avere abbastanza amore per i suoi figli perché è solo una donna. Perché non sono famiglie.
Vorrei che qualcuno dimostrasse perchè un uomo gay non ha diritto ai figli ma ce l’ha quello che maltratta la propria donna e che la uccide se lei lo lascia per “far capire a mia moglie il danno che mi ha fatto”, come spiega candidamente Kiko Arguello, fondatore dei neocatecumenali e tra i principali promotori del Family Day.
E sulla tanto sbandierata “ideologia gender”, che minaccerebbe l’educazione dei nostri figli, è utile ricordare che non esiste una teoria, tanto meno un’ideologia gender da imporre nell’educazione. Esistono tante teorie che fanno uso del concetto di genere per spiegare come ruoli e relazioni tra donne e uomini siano condizionati dal contesto sociale, culturale, politico ed economico: non discende dalla conformazione del corpo il fatto che gli uomini facciano carriera e le donne no, o che gli uomini per lo stesso lavoro guadagnino più delle donne. Si tratta di costruzioni che trasformano le differenze di sesso in gerarchie di oppressione e di esclusione, verso le donne e verso tutti coloro (omosessuali, bisessuali, transgender, intersex) che non si conformano ai ruoli tradizionali. Insomma, non c’è nessuna crociata da parte di ipotetiche lobby gay, ma solo una battaglia per i diritti civili, che porti l’Italia almeno al passo degli altri stati occidentali.
La sintesi più adatta mi sembra quella di Andrea Marcucci, primo firmatario del ddl che istituisce le unioni civili: «chi vuole guerre di religione, come gli organizzatori del family day, sbaglia secolo. Le Unioni civili non sono contro qualcuno, ma a favore dei diritti e dell’equità».
Foto 1: William Murphy, murale di Joe Caslin
Foto 2: Bruno Buontempo | CC License