“Ultrafisica “ è il titolo dell’esposizione del pittore romano Mauro Reggio, in mostra al Palazzo Merulana, sull’omonima via al civico 121, fruibile fino al 2 novembre.
L’artista, classe 1971, ha all’attivo mostre personali e collettive in gallerie, musei e spazi pubblici in Italia e all’estero. Da ricordare, infatti, la partecipazione nel 2011 e nel 2015 alla Biennale di Venezia.
Le opere di Reggio si muovono attraverso la pittura, la scultura e l’architettura, dando valore alle tre discipline che si intersecano e dialogano fra loro in un gioco dispotico di colori e prospettive in cui il protagonista non è più l’uomo ma gli spazi che esso attraversa. L’ essere umano è solo una presenza evocata dagli stralci di città che Reggio rappresenta, rendendo sospesa la dicotomia tra realtà e finzione. Colori e geometrie, infatti, sono le vere protagoniste dei quadri (Gazometro , Tangenziali, Palazzi Barocchi, Archeologie Industriali post razionaliste, grandi opere fantascientifiche) della cinematografia mondiale.
La mostra, a cura di Valeria Rufini Ferranti, si sviluppa nella presentazione di luoghi a noi noti, quelli che attraversiamo tutti i giorni (infatti è per lo più rappresentata Roma) visti sotto una luce diversa e con un punto di vista differente attentamente studiato e rappresentato.
La curatrice ci fa riflettere sull’opera di Reggio sostenendo che:’ “Ciascuna inquadratura è il fotogramma a volte distopico, ma non sempre straniante di una pellicola in cui il regista-pittore sceglie sapientemente angolazioni e prospettive, conscio di possedere una certa capacità visionaria se non addirittura futuristica. […] Nelle tele di Reggio si respira un’avanguardia purissima, che non è ribellione concettuale né ricerca spasmodica di novità, bensì è avanguardia di accostamenti, di orizzonti, di forme”, prosegue Rufini Ferranti.
Come non ripensare e non notare i richiami alla metafisica di De Chirico, o al realismo americano di Hopper e la centralità dell’assenza nelle immagini del famoso fotografo italiano Mimmo Jodice. L’uso straniante del colore allontana lo spettatore dalla realtà e lo riporta ad un tempo indefinito che non è né presente né passato né futuro ma sospensione, che ci fa contemplare la città spogliata di tutto.
