I giovani nella trappola social

Dobbiamo ammetterlo, abbiamo superato il limite. Siamo andati oltre. Il fenomeno dei “Baby influencer” è in costante aumento rispetto a qualche anno fa. Gli adolescenti non stanno semplicemente “vivendo online”, bensì stanno scambiando l’esistenza nel mondo vero e proprio con un mondo virtuale. Un mondo in cui non ci si guarda negli occhi, in un contesto in cui le amicizie sono falsate ed esteriori. La cosa ci sta sfuggendo di mano, c’è un’evasione di massa e a farne le spese sono i ragazzi (anche pre-adolescenti), intrappolati in un mondo parallelo, dove la quantità di follower vale più del calore di una carezza.

L’uso massiccio dei social da parte dei giovani, sottrae del tempo alle relazioni faccia a faccia alimentando l’isolamento sociale, portando così un calo delle abilità sociali. Senza tralasciare il fatto che possono comparire sintomi come ansia e solitudine.

A parte questo, l’impressione che questa gioventù di Creator fa emergere, è che loro vivano una vita eccellente, fatta di perfezione, impeccabilità, lusso, non plus ultra.

Ma è possibile che un tredicenne, ad esempio, dopo aver messo in mostra tutto quello che poteva postare, definisca la propria autostima in base ai “like” degli sconosciuti? O che preferisca pubblicare uno stato di WhatsApp piuttosto che uscire con un amico a prendersi qualcosa da bere? Non è più possibile parlare di fenomeno sociale, si tratta più che altro di una mutazione, ossia di qualcosa che è più strutturale, che altera il sistema in maniera permanente. Tutto ciò ha reso tutti i giovani e i giovanissimi protagonisti del web molto più vulnerabili, con l’unica aspirazione di trovare consenso omologandosi alla tendenza del momento. Ma la tecnologia, che ci rende possibile comunicare, informarsi non dovrebbe avvicinarci? In pratica a causa dei social network ha creato un’intera generazione di micro-celebrity che sono connessi, ma profondamente soli. E’ un paradosso. Ecco dove ha condotto questo fenomeno, di costruire una magistrale presenza online. Tuttavia non dovremmo porre una riflessione solo su questo, ma anche sul fatto che tale mutamento è diventato una vera e propria industria che muove miliardi di euro, attorno alla quale ruotano centinaia di persone; capaci di plasmare la nostra fantasia, i nostri sogni e persino di condizionare il risultato di un’elezione parlamentare. E tutto si basa sulla nostra voglia di autenticità. Un’autenticità che però di vero non ha più niente, ma che è strategicamente costruita e ricostruita da professionisti del marketing. L’illusione fittizia, che vogliono propinare alla nostra società, è che la tecnologia sia democratica, è una bugia perchè i Social Media e Internet più in generale, non offrono opportunità paritarie a tutti. E’ vero sì che tutti possono accedere al web, ma non tutti hanno le stesse chance di successo, visibilità o di beneficiare economicamente dal sistema. Il sogno di diventare influencer non è tanto un modo per dire “siamo tutti uguali” bensì un’ambizione commerciale.

Sandi Mann, psicologa e insegnante di Psicologia clinica applicata all’Università di Lancashire, nel suo libro La sindrome dell’impostore. Perchè pensi che gli altri ti sopravvalutino, descrive la paura cronica delle persone di essere scoperti come un bluff. E fa questo discorso anche riferendosi alle Piattaforme virtuali (Facebook, WhatsApp, Instagram, Tik-tok,Youtube ecc…) che espongono i più piccoli a un confronto sociale continuo e irrealistico con la vita vera e propria, dove non ci sono più difetti. Ed ecco che ci si sente inadeguati e non all’altezza. Non solo, ma le reti sociali virtuali trasformano l’identità in una performance perenne, valutata da metriche pubbliche (like, follower, commenti). Per gli adolescenti in particolare, ma più comunemente per tutti, la necessità di apparire sempre competenti, felici e di successo, genera un’ansia da prestazione. Inoltre quando questi ultimi ottengono esito positivo, (un post virale, un buon voto, un riconoscimento) tendono a vederlo come un colpo di fortuna o addirittura il risultato di una “frode” nei confronti degli altri (avendo mostrato una versione non vera di sè e avendolo fatto con consapevolezza), rafforzando il timore che la loro vera, presunta incompetenza venga presto scoperta. A farne le spese è soprattutto la Generazione Z. Insomma noi adulti non possiamo rimanere spettatori non curanti di fronte a ciò che compiono i nostri ragazzi al PC. E’ il momento di riscoprire il valore della genuinità, nella quale è compresa anche l’interazione fisica perchè il costo emotivo di questo inganno potrebbe essere davvero elevato, ci auguriamo di non doverlo scoprire però troppo tardi.