Nel liceo scientifico Keplero di Roma su 850 ragazzi circa 50 hanno un DSA. Ce ne ha parlato la preside Maria Concetta Di Spigno, sottolineando una “crescita esponenziale negli ultimi 2-3 anni”. Con lei abbiamo parlato anche della riforma sulla Buona Scuola: dallo school bonus all’alternanza scuola-lavoro, dall’educazione alla parità dei sessi al nuovo ruolo del preside.
Dottoressa, grazie per aver risposto al nostro invito. Entrando nel merito della scuola, secondo la nuova legge denominata “la buona scuola” gli istituti scolastici avranno più risorse economiche. In particolare verrà raddoppiato il loro Fondo di funzionamento. Inoltre ci sarà anche un incremento dei docenti pari ad una media di 7 unità per istituto, e ciò allo scopo primario volto alla realizzazione di nuovi progetti oltre all’arricchimento dell’offerta formativa. Possiamo considerarle buone soluzioni? Si stanno già realizzando?
Sul discorso dei fondi effettivamente qualche cosa in più abbiamo riscontrato, e questo è sicuramente un aspetto positivo. Per quanto riguarda i docenti anche qui il discorsosi fa importante perché si va verso l’organico di Funzionamento (vedi specchietto). Coni Docenti di potenziamento abbiamo la possibilità di attivare alcune attività tipo i progetti e anche un supporto per quanto riguarda le assenze brevi dei docenti. Qualche difficoltà l’abbiamo perché non sempre quelle che sono le richieste che provengono dalle scuole sulla base del loro impianto progettuale o comunque del POF triennale ha trovato rispondenza nelle assegnazioni che sono state fatte. È capitato anche nella mia scuola che i docenti, pur svolgendo la loro funzione in modo egregio, non hanno la possibilità di avere una classe di titolarità e quindi svolgono delle attività di tipo progettuale o di potenziamento in quanto appartenenti a classi di concorso che non sono presenti nella scuola. Questo è un dato di fatto. La gestione del nuovo sistema, dopo un periodo iniziale di relativa difficoltà, si va delineando in modo più positivo. Certo, permangono problematiche per quanto riguarda i tempi di realizzazione, perché tra le assegnazioni e i trasferimenti dei docenti diventa difficile la gestione quotidiana.
Il dirigente scolastico viene definito “leader educativo”. Cosa significa esattamente? Come possiamo tradurlo? Inoltre, lei si riconosce in questa definizione?
Diciamo che avverto molto la mia provenienza dalla “realtà docente”, quindi è ovvio che dal punto di vista operativo il mio agire è spesso finalizzato al rapporto con i ragazzi e al miglioramento dei rapporti interni della realtà scolastica. Vale per i docenti, per il personale ATA, vale per gli studenti. Promuovere e coordinare tutte le iniziative che la scuola propone in ambito culturale e formativo in generale è sicuramente una delle mie priorità. In questo senso mi ritrovo e mi riconosco profondamente. Premettendo che deve essere comunque lo Stato poi ad assumere, e che comunque un preside non può dare incarichi a parenti fino al secondo grado, continuano ad esserci dubbi e perplessità sul “potere” che i presidi hanno in fatto di nomine e consigli su chi assumere direttamente. È una perplessità inutile? E’ una situazione che va gestita e regolamentata. Vanno chiariti i termini e gli aspetti per cui si può svolgere questo tipo di attività. Tengo a precisare che essendo in questa fase per lo più esaurite le graduatorie di supplenza per classi di concorso che riguardano anche la mia scuola, ho dovuto far ricorso alle cosiddette “messe a disposizione”, però l’ho fatto comunque tenendo presente una verifica dei curriculi, che ho ordinato sulla base di quelle che sono le documentazioni presentate dai docenti. È una cosa che può essere rischiosa se non viene svolta con la debita attenzione. Potrebbe esserci qualche rischio se non viene governata bene.
Secondo la legge i presidi potranno anche decidere di ridurre il numero di alunni per classe al fine di evitare l’effetto “aule-pollaio”. Lei nel suo istituto come si è regolata sotto questo punto di vista?
Il problema è che l’attivazione del numero di classi deve essere approvato in base alle indicazioni delle Ordinanze ministeriali, quindi io che avevo previsto una classe in più, attualmente mi ritrovo con classi di 30 alunni. Esiste il problema perché continua a rimanere questa difficoltà di ripartizione di fondi legata alla creazione di nuove classi. Purtroppo sì, se una scuola cresce ha difficoltà ad avere le autorizzazioni per continuare effettivamente a crescere.
A proposito di alunni, cosa ne pensa dell’alternanza scuola-lavoro? In che modo vengono scelti questi lavori?
Noi abbiamo cercato di operare in modo il più possibile significativo per la valenza che deve avere questa esperienza lavorativa. Quindi i consigli di classe e la commissione che è stata appositamente creata proprio per l’alternanza hanno formulato dei progetti che poi hanno visto l’adesione di determinate agenzie. Già lo scorso anno i nostri ragazzi hanno fatto attività presso le biblioteche di Roma, presso le Università, presso la Protezione Civile. Quest’anno abbiamo un po’ ampliato il campo, anche grazie ad associazioni che assicurano attività sulla legalità e la cultura del diritto. Molti docenti che ci sono stati assegnati col “potenziamento” sono preparati nell’ambito del diritto e quindi abbiamo potuto utilizzare anche la loro presenza ed esperienza. Per l’alternanza scuola-lavoro è oggettivamente molto difficile far convivere le due realtà soprattutto per una scuola come la nostra che non ha una tradizione di questo tipo. Gli istituti tecnici sono sicuramente più avanti da questo punto di vista. I licei invece tendono ad avere una tradizione più legata ad un rapporto di classe, quindi di insegnamento didattico tradizionale. Riuscire ad inserire le 200 ore da fare nell’arco dei 3 anni implica una grossa responsabilità per i docenti perché si tratta di andare a coniugare le esigenze dell’alternanza con quelle della didattica.
Ma è un qualcosa che possiamo incoraggiare?
È un qualcosa che deve essere rivisto secondo me. Soprattutto per il fatto che la valutazione dell’alternanza sembra che rientrerà poi nell’attribuzione del credito valevole per la votazione finale, e quindi deve essere valutata e documentata in modo preciso. Attualmente i docenti avvertono la difficoltà anche sul piano burocratico, per i molti documenti che devono essere compilati, questo anche perché sono pochissimo abituati a farlo. È un super lavoro che viene richiesto alle scuole.
Possiamo dire dunque che ora gli studenti hanno un vero e proprio “ curriculum flessibile”.
È uno degli aspetti su cui stiamo lavorando. Sicuramente è importante che i ragazzi abbiano certificate le esperienze e le competenze che possiedono in modo chiaro e oggettivo. È importante anche per quei ragazzi che non si limitano ad avere un’esperienza solo in Italia ma che hanno la possibilità di andare all’estero. È fondamentale un curriculum che testimoni le loro esperienze e che dimostri le loro competenze acquisite in modo formale e informale. Ripeto, è un lavoro che richiede una competenza da parte dei docenti nell’individuazione di quelle che sono effettivamente le competenze certificabili.
Uno dei commi più importanti della legge è senz’altro il numero 16, che vuole assicurare l’attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole l’educazione alla parità dei sessi, la prevenzione alla violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti, ma anche i genitori. Tutto questo si sta già realizzando da voi?
Alcuni aspetti mettono in luce delle attività che fanno parte della normale formazione che la scuola dà. La scuola italiana è fondata sui principi declinati nella nostra Costituzione e le diverse “educazioni”, alla sessualità, al superamento delle diversità di genere, all’interculturalità… sono alla base della formazione che dà la scuola. I ragazzi vengono educati alla cittadinanza, ad essere cittadini consapevoli, responsabili, solidali e capaci di scelte.
Cosa può dirci invece del cosiddetto “school bonus”? Sappiamo che è previsto un limite massimo di 100.000 euro per le donazioni, ma qualcuno già sta parlando di “sponsor”.
Le donazioni sono sempre benvenute, se non hanno poi una richiesta di corrispettivo. Secondo me è giusto che la società si renda conto che la scuola è la realtà sulla quale si gioca il futuro di una Nazione e della società stessa. Ottenere nuovi fondi è sicuramente importante, ma se poi si richiede anche di dare degli indirizzi di carattere educativo o che riguardino interessi particolari, su questo non sono assolutamente d’accordo. La scuola deve rimanere fuori da qualunque tipo di business.
Avete avuto modo di lavorare con soggetti affetti da disturbi dell’apprendimento? Come vi siete comportati a riguardo?
Certamente abbiamo alunni certificati come DSA. Nella nostra scuola questa presenza è cresciuta nel corso degli anni. Sto parlando di una crescita di tipo esponenziale negli ultimi 2-3 anni. Su 850 ragazzi ce ne sono una 50ina con DSA. Ci sono poi studenti non italiani, di immigrazione recente, per i quali, nonostante il piano di interventi predisposto dalla scuola e il rapporto con associazioni che ci aiutano con l’italiano per stranieri le difficoltà di carattere linguistico costituiscono un oggettivo limite. La scuola è chiamata anche a costruire strategie flessibili per tutti i ragazzi BES, (con bisogni educativi speciali). Il problema più grave è che a volte non c’è piena consapevolezza, anzi c’è una difficoltà oggettiva con alcune famiglie, che non sempre si rendono conto che il rispetto di un diritto riconosciuto dalla normativa presuppone anche di trovare delle soluzioni comuni ed un stretta collaborazione. Demandare solo alla scuola la risoluzione di certi problemi non è possibile. La scuola deve avere la collaborazione di tutti.
Foto di Charles Knowles (CC BY 2.0)