Negli anni ’50 lo scienziato Jonas Salk sta cercando una cura per la poliomelite. La ricerca è a un punto morto. Esausto per la mancanza di risultati, decide di evadere dal tetro laboratorio sotterraneo in cui è sepolto. Approda in un monastero tra le ariose montagne umbre. E luce fu!
Nella calma e serenità del chiostro ritrova la giusta ispirazione e riesce finalmente a riprendere le ricerche e scoprire il vaccino per la terribile malattia. Convinto che l’ambiente contemplativo abbia aiutato la sua ricerca ad uscire dallo stallo, torna negli USA e riunisce un team di esperti, capitanato dal famoso architetto Luis Kahn, per fargli realizzare una struttura che favorisca la concentrazione e il pensiero creativo in ambito scientifico. Così è sorto, su una suggestiva scogliera lambita dall’oceano, il Salk Institute, uno dei più importanti edifici del XX secolo.
Insomma, esisterebbe una connessione tra l’architettura e lo stato psicologico. Rispetto al concetto di qualità della vita in connessione con l’ambiente in cui viviamo è possibile dire che si stia bene o meno non solo fisicamente ma anche psichicamente. È abbastanza lampante quando pensiamo ad esempio alla ampie cattedrali gotiche, dove la navata centrale, la spinta verso l’alto degli archi rampanti, le finestre colorate rendono l’ambiente ascetico e spirituale. Un altro esempio è Disneyland, creato considerando alcuni aspetti psicologici come lo di spaesamento dovuto alla mancanza di riferimenti precisi, per creare effetti sorprendenti e divertenti. Marc Augée – antropologo dell’ EHESS di Parigi – descrive Disneyland come il perfetto emblema di ‘nonluogo’, dove avviene la trasformazione della realtà in finzione: «Disneyland è il mondo di oggi, in quello che ha di peggiore e di migliore: l’esperienza del vuoto». Un altro esempio è la Kingsdale School di Londra: ridisegnata con l’aiuto di psicologi per favorire l’attenzione, la creatività e la coesione sociale.
In architettura è possibile progettare uno spazio in base alle proprie esigenze e comodità ma gli studi neuroscientifici hanno dimostrato come un uso particolarmente attento degli spazi possa dare un valore aggiunto alla ricerca architettonica, avvalorando in maniera specifica lo spazio da realizzare. Ettore Bellini, nell’introduzione al libro “Lo spazio terapeutico”, afferma: «Nell’edilizia pubblica gli spazi, e in particolare l’ambiente interno, sono spesso considerati come indifferenti e scissi dalle attività che contengono e dalle persone che li vivono. Questo approccio progettuale teorico ha generato spazi “estranei”, difficili da vivere e costosi da manutenere, causa di malessere ambientale, scarso coinvolgimento personale nelle attività e insoddisfazione nei riguardi del servizio pubblico, identificato con l’ambiente stesso». E ancora: «Le azioni, le attività e l’esperienza umana non sono astraibili da “dove” avvengono; è fondamentale perciò approfondire il rapporto tra spazi, persone ed attività, inteso come sistema complesso di interazioni, cercando di comprendere gli effetti e le conseguenze che tali interazioni provocano sul funzionamento di un organismo edilizio. Dal momento che gli esseri umani si riconoscono e sperimentano se stessi, attraverso il loro intorno sensibile, gli spazi e tutte le componenti fisiche che intervengono a definirli influenzano lo svolgimento delle attività, contribuendo a determinare la qualità positiva o negativa dell’esperienza. I messaggi che l’ambiente comunica sono immediatamente recepibili a livello intuitivo, anche se spesso non razionalizzabili: lo spazio può generare sensazioni di benessere o disagio, può essere stimolante, formativo o profondamente deprimente, può trasmettere messaggi di autostima, posizione sociale, sicurezza, identità; in ogni caso interviene come catalizzatore nelle dinamiche personali e sociali».
Alcuni studi dimostrano come, ad esempio, una finestra in una camera d’ospedale, che apre su un paesaggio naturale, aiuta i processi di guarigione. Anche l’uso e la scelta dei colori, soprattutto in una situazione di ricovero, possono contribuire al miglioramento dell’umore, canalizzando le energie verso la creatività e l’ottimismo e distraendo dalla sofferenza e dalla malttia. L’intervento del colore, stimolando il punto di vista sensoriale, contribuisce al mantenimento dell’equilibrio psicofisico e influisce, se ben pensato, al processo di guarigione. Pensandoci bene, la fusione dei saperi architettonico e neuroscientifico può essere utilmente applicata al campo della salute mentale. Franco Rotelli, psichiatra e collaboratore di Basaglia, ha lavorato in questa direzione. Nella sua opera di deistituzionalizzazione la ristrutturazione degli spazi socio-sanitari rende l’idea della necessità di trasformare i luoghi di restrizione in realtà abitative più a misura d’uomo per i pazienti psichiatrici. Rotelli ha operato sulla vivibilità degli spazi di cura dedicati ai pazienti, rendendoli aperti alla città, al sociale.
Per una maggiore adeguatezza degli spazi della salute (mentale e non) è necessario l’impegno di architetti e designer. Gli Stati Uniti d’ America sono probabilmente il paese in cui la ricerca neuro-architettonica è ad un livello più avanzato, vantando un prestigioso organo di ricerca, l’ANFA (Accademia delle Neuroscienze per l’Architettura) di San Diego, la cui missione è di studiare le reazioni del sistema nervoso con l’ambiente costruito. Si stanno promuovendo ricerche multidisciplinari per capire come la progettazione degli ambienti possa agire sulla mente. Esiste poi l’EDAC (Evidence-based design), un programma di certificazione statunitense con una ricca banca dati sugli effetti oggettivi dell’ambiente architettonico rispetto al nostro stato di salute. L’architetto David Allison, che dirige il programma di architettura e salute alla Clemson University spiega: «Le recenti scoperte nel campo delle neuroscienze possono aiutarci a comprendere ancora meglio in che modo l’ambiente costruito influenza la nostra salute e il benessere, ma anche come ci muoviamo e ragioniamo nei vari ambienti di vita e lavoro e come ci sentiamo in essi».
Foto del Salk Institute di Rex Boggs | Flickr |CCLicense