High Life è l’ultimo film della regista Claire Denis con Robert Pattinson, Juliette Binoche e Mia Goth presentato al Toronto International Film Festival 2018 e ora in arrivo nelle sale italiane. La pellicola sci-fi si apre nello spazio profondo, dal nero compare la vegetazione di un giardino filmato in alcuni dettagli. I fluidi movimenti di macchina e le dissonanze della musica di Stuart A. Staples rimandano a uno storico incipit, quello de L’anno scorso a Marienbad di Alais Resnais, generando un’atmosfera altrettanto straniante di quella costruita dall’organo e dai lunghi corridoi dell’albergo labirintico.
Dal giardino la macchina da presa entra nella navicella spaziale, fotografandone gli interni spogli e desolati. Ora si ode un pianto di neonato che si trasforma in lallazione, è la piccola Willow. Il papà Monte (Robert Pattinson) cerca di tranquillizzare la bambina che si trova sola all’interno dell’astronave mentre egli è intento a sistemare un bullone. Monte e Willow vivono a bordo della navicella, in completo isolamento. Ogni giorno l’uomo registra un rapporto dove riferisce lo stato di salute e gli eventuali aggiornamenti tecnici; è consapevole che nessuno lo ascolterà, almeno non prima di un secolo, ma è l’unico modo per prolungare i sistemi di supporto vitale per altre 24 ore. Sugli schermi dei computer presenti nell’astronave si vedono passare dei video “terrestri” (una partita di rugby, un documentario e un filmino amatoriale), archivi di un passato ormai irrecuperabile.
Dopo il prologo, High Life ci riporta indietro nel tempo, presentandoci l’equipaggio composto da detenuti condannati alla pena capitale, cavie perfette per una missione che si rivela come finta promessa di libertà, unica alternativa alla morte. Tuttavia, la navicella spaziale appare come un luogo fisico e mentale altrettanto chiuso della prigione, distante anni luce dalla vita e dalla legge, nient’altro che un braccio della morte programmato per finire in un buco nero. Al suo interno, sotto la supervisione della diabolica e sensuale dottoressa Dibs (Juliette Binoche), una Medea dai capelli lunghissimi e corvini, si effettuano esperimenti di riproduzione tramite inseminazione artificiale. L’unico a distinguersi dal resto dell’equipaggio è Monte, che tiene stretto il suo seme, per cui si è imposto una rigida routine disciplinata da principi ascetici come scudo per le pulsioni.
Difficile non pensare a 2001: Odissea nello spazio, lo afferma la regista stessa che, nel girare High Life, si è impegnata a “dimenticare” il capolavoro kubrickiano e pare ci sia riuscita. Non si può dire lo stesso per Andrej Tarkovskij; l’incipit di High Life sembra proprio una citazione alla “zona” di Stalker, tant’è che la regista ha dichiarato: «vicino allo studio dove abbiamo girato in Germania, c’era uno stagno con salici piangenti. Lì, ho pensato a Stalker di Tarkovsky. A differenza di Kubrick, Tarkovsky non blocca la tua immaginazione, la apre, ne alimenta le fiamme. Solaris e Stalker sono i miei film portafortuna, geni benevoli che mi proteggono, mi incoraggiano, mi ispirano».
Il regista russo viene in mente anche in un altro momento del film, quello che segna l’incontro tra esseri umani e animali, dove questi ultimi, dei cani, appaiono come uno specchio dell’uomo, portatori dello stesso macabro destino comune. È inoltre inevitabile pensare a Laika, la prima cagnolina lanciata nello spazio nel 1957.
La componente dark e di allucinato erotismo avvicina High Life a una pellicola sci-fi di qualche anno più vecchia, Under the Skin (2014) di Jonathan Glazer, seppure non raggiungendo tali livelli di disturbante sensualità (la stanza del sesso sembra strizzare l’occhio proprio agli scenari percorsi dal film di Glazer).
Più di ogni altra cosa, il punto di forza di High Life risiede nell’atmosfera generata dai personaggi in relazione, e in conflitto, tra loro e con l’ambiente circostante: una prigione fantascientifica gettata verso la fine del tempo e dello spazio, portatrice al suo interno di numerose contrapposizioni come vita e morte, speranza e disillusione, innocenza e colpevolezza, affetto e violenza, raziocinio e istinto animalesco. Questa moltitudine di contrasti emotivi trova perfetta espressione nel sonoro, nelle musiche e nei silenzi, capaci di dar voce al vissuto interiore, designando ora atmosfere eteree e fluttuanti, ora alienanti, perturbanti e colme di suspense. Una nota di riguardo va dedicata al personaggio centrale di Willow, è proprio il suo linguaggio fatto di pianto, suono inarticolato, sensazioni ed emozioni primordiali a dare origine al film e a porsi come creatura pura e innocente di un’umanità alla deriva.
High Life è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI.
Voto: 7
Al cinema dal 6 agosto 2020!
Martina Cancellieri