Una strana giornata

Cappuccino

“Immaginate di vivere in un piccolo villaggio della Calabria con quasi diecimila abitanti, dove tutti si conoscono e sanno tutto di tutti. Immaginate la nascita di una bambina nera, senza la presenza di suo padre che, se presente, avrebbe quantomeno potuto proteggerla. Suo padre era quell’uomo di passaggio, in quel villaggio, per motivi di lavoro, per conto di un’azienda occidentale. Uno straniero di passaggio, un po’ come i soldati americani in Sicilia al tempo della seconda guerra mondiale.

Immaginate lo scandalo della gente nel vedere quella bambina color cappuccino. Cercate di mettervi per un attimo nei panni di quella bambina così diversa fin dalla nascita.

Una bambina costretta a subire il peso degli stereotipi, le parole, gli sguardi malevoli di una comunità non abituata alla differenza, addirittura chiamata per il colore della sua pelle e non più con il suo nome proprio di persona.

Faccio questo esempio per farvi capire in un modo più chiaro quella che è stata la mia infanzia nella Costa d’Avorio. Per non parlare di tutto quello che ho dovuto subire una volta arrivata in Europa, un continente che pensavo avesse una mentalità decisamente più aperta.

Africa ed Europa sono due continenti tanto lontani geograficamente, quanto vicini (o uguali) negli stereotipi e nei pregiudizi verso il diverso.

So che ci vorrà molto tempo prima che io possa guarire le ferite provocate dalle parole e dai gesti delle persone nei miei confronti. Anche perché, con le discriminazioni ci devo lottare quotidianamente ancora oggi e non è facile trovare la forza di andare avanti per la mia strada senza dargli troppa importanza.

Tuttavia è veramente molto difficile, soprattutto quando alcune cose che mi accadono mi fanno rivivere quello che ho subito a partire dalla mia infanzia e a volte le emozioni negative sono così forti da farmi venire l’emicrania.

Nel mio Paese d’origine, mi sentivo come un’aliena per come venivo trattata dalla gente del villaggio. Dentro di me si susseguivano mille emozioni, pensieri e sensi di colpa per il solo fatto di essere nata. Tante volte guardavo gli altri bambini che avevano tutto: un padre, una madre ed erano accomunati da un unico colore di pelle. Beati loro. A quei bambini era permesso di essere capricciosi, estrosi. Invece io non ho mai potuto permettermi di essere estrosa.

Il mio mondo era sempre in movimento e passavo da una famiglia all’altra.

Non ero figlia di nessuno.

Anche se era palese che fossi soltanto una bambina innocua, le persone mi facevano male con le loro parole e i loro gesti e non se ne rendevano conto, anzi erano convinti di avere totalmente ragione nel comportarsi così, perché pensavano davvero di essere migliori di me.

E pensare che sono cresciuta credendo che avessero ragione e convinta di essere una figlia maledetta, nata dal peccato, che il colore caffellatte della mia pelle fosse la conferma del peccato di mia madre per aver avuto una figlia fuori dal matrimonio. Pensavo inoltre che il colore della mia pelle fosse una punizione di Dio per avvisare tutta la comunità del tradimento di mia madre, che subiva spesso questi insulti. E io ero lì con lei.

Penso di aver intrapreso la strada verso la guarigione interiore, e spero che funzioni, perché sento che ne ho bisogno, dopo trent’anni passati a vivere dietro una maschera in un mondo che non mi dà pace.

È stata davvero una giornata strana: dopo aver avuto una conversazione con una persona cara, mi sentivo persa e con delle nuove emozioni. Il mondo era cambiato ai miei occhi e non sentivo quasi nulla. Tutto sembrava silenzioso e tranquillo, senza tanta agitazione e chiasso.

Dentro di me qualcosa si stava muovendo come un nuovo inizio.

Dopo essere tornata a casa, continuavo a guardarmi allo specchio e non mi ci ritrovavo, quasi non riconoscevo più il mio riflesso.

Subito dopo ho fatto la doccia e lavato i capelli, ma non ero tranquilla. Allora mi sono guardata ancora allo specchio per un bel po’. Piano piano iniziavo a vedermi per quella che ero davvero. Le parole della mia cara amica non mi lasciavano pace, continuavano a risuonare in me, dicendomi che dovevo essere me stessa e non dare troppa importanza al colore della mia pelle. Ricordandomi che io non c’entravo assolutamente nulla con i presunti peccati dei miei genitori.

È bastato un attimo per vedere la vera Cappuccino, per come ero e per come sono.

Non mi sentivo né debole, né triste, né nera, né bianca, ero IO. “Come sono bella, fragile, ma soprattutto forte” mi ripetevo.

Dopo aver sentito queste bellissime emozioni, sono uscita di corsa da casa e ho preso la macchina per andare da un parrucchiere. Mentre guidavo mi batteva il cuore all’impazzata. Sembrava che stessi per vincere al Superenalotto. Una parte di me, diceva “dai calmati, mica avrai il coraggio di fare ciò che stai per fare”. Un’altra parte di me che saltava di gioia, come per dire “evviva, sei tu Cappuccino! Dai, non mollare!”.

Una volta arrivata dal parrucchiere non ci ho pensato due volte. Gli  ho detto “so che stai per chiudere”, erano già le 19:40, “ti prego tagliami i capelli, vorrei tornare al mio riccio naturale”. Quasi come una supplica, una richiesta d’aiuto. Dentro di me non volevo tornare a casa senza aver tagliato i capelli. Quel giovane parrucchiere marocchino, che mi conosceva bene, in diverse occasioni aveva provato a convincermi a tornare al mio riccio naturale con il quale mi aveva conosciuta, appena arrivata a Roma. All’epoca, avevo 19 anni.

Io cercavo in tutti i modi, coi capelli lisci, di sembrare più europea possibile per non subire più discriminazioni e dimenticare una parte di me, la parte nera, la parte del caffè.

Ma quel giorno, il latte e il caffè si sono rimescolati dentro di me. Il giovane parrucchiere mi guardò e rimase in silenzio per un paio di minuti. Dopo, con un sorriso grande sulla faccia, mi disse “finalmente sorella, ti ritrovo. Dai siediti, così facciamo un capolavoro sulla tua testa”.

Lui sembrava più contento di me, aveva una tale gioia e non sembrava che stessimo per fare un semplice taglio di capelli. Continuava a ripetermi questo mentre mi tagliava i capelli: “Evviva il riccio naturale! Sorella sembri diversa stasera, hai un viso solare e illuminato, non stressato”.

Mentre questo giovane mi tagliava i capelli, ero sorridente e per ogni ciocca che cadeva dei miei lunghi capelli sentivo liberarmi da un peso immenso.”