Viviamo nell’epoca digitale, quella dei social network, di Facebook, di WhatsApp e questo pare che ci abbia dato un grande potere: quello di decidere della buona reputazione delle persone, della loro integrità psicofisica, della loro privacy. Come si esercita questo potere? Con un click.
Cliccare su un’immagine o su un video ne aumenta la diffusione, la condivisione con il popolo della rete. Ed è attraverso questo meccanismo che si sta esercitando una nuova forma di violenza sulle donne che può prendere il nome di cyberbullismo. Cosa può distruggere psicologicamente una donna? Uno stupro, ancora più grave se di gruppo, la diffusione in rete delle foto o del video, gli sghignazzamenti di chi lo condivide, l’emarginazione che ne segue, essere nell’occhio del ciclone. Non è con un click che si commette uno stupro, ma dire sì a un click vuol dire contribuire all’annientamento di chi l’ha subito. Vuol dire violentare una seconda volta la vittima. Vuol dire capovolgere il senso della reazione ad una violenza, al posto di indignarsi e di denunciare, di soccorrere e di proteggere, si ride, si accusa.
Ci sono purtroppo parecchi casi ormai di questa nuova violenza. Il più recente è il caso di Tiziana Cantone, 31 anni morta suicida. Tiziana non ha subito un vero e proprio stupro ma si può dire nel suo caso che sia stata stuprata dalla rete. La sua terribile storia inizia acconsentendo di girare un video hard con un uomo in macchina in un parcheggio, si tratta di sesso orale. Chi ha girato il video ha pensato bene di diffonderlo in rete e ben presto è diventato di dominio pubblico spopolando ovunque. I click su quel video sono stati talmente tanti che hanno costretto Tiziana a cambiare città e identità, a sporgere denuncia per ritirare il materiale. Ma tutto questo a nulla è servito. L’integrità psichica di Tiziana era compromessa dalla vergogna e dalle vessazioni che la additavano come una puttana.
A Rimini una 17enne va in discoteca con delle amiche si ubriaca al punto di non capire più niente e cade nelle mani di un ragazzo che la spinge in bagno chiude la porta a chiave e la violenta. Un fatto molto grave, ma nel caso di questa ragazza è aggravato dal fatto che le amiche dal bagno accanto filmano tutta la scena e la fanno girare su WhatsApp. La ragazza realizza quello che è accaduto solo quando vede il video in rete. Poi c’è Amanda Todd, 15 anni, che si è suicidata bevendo candeggina per colpa di un cyberbullo. Ancora, possiamo citare il caso di Carolina che ad una festa si sente male perché ubriaca e va in bagno. Sei ragazzini la seguono, la circondano, la molestano e la filmano. Il video finisce in rete su Facebook e dopo qualche tempo Carolina decide di farla finita e sceglie il salto nel vuoto lanciandosi dal terzo piano della sua casa di Novara a soli 14 anni.
Sono tre storie, non sono tutte ma sono troppe e le reazioni sulla rete tardano ad arrivare. C’è un caso che fa eccezione perché la vittima ha saputo reagire. Zoe Quinn ha vissuto e continua a vivere personalmente molestie in rete, sa che spesso è difficile trovare buoni consigli per quanto riguarda l’approccio da adottare davanti molestie online, per questo motivo ha creato la prima associazione a sostegno delle vittime del web, Crash Override insieme a Alex Lifschitz. L’obiettivo è quello di aiutare le persone che subiscono molestie in rete offrendo consulenza, risorse e sostegno a chi affronta questo tipo di situazioni. L’iniziativa è attualmente finanziata dagli stessi Quinn e Lifschitz, che sperano che Crash Override possa essere di supporto alle persone minacciate, riempiendo un vuoto importante. Se esistessero più realtà come questa, se il web reagisse fornendo strumenti atti a tutelare le persone, a proteggerle magari con delle campagne contro la violenza del cyberbullismo, allora dire di sì a un click potrebbe significare salvare una persona.